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27 gennaio 1945:
le truppe
dell'Armata
rossa in marcia
verso la
Germania
entrarono nel
campo di
concentramento
di Auschwitz, il
più noto tra i
tanti che i
tedeschi
disseminarono in
tutta Europa.
Caso volle che i
primi soldati a
mettere piede in
quel tetro
teatro
dell'orrore
facessero parte
di una divisione
composta
prevalentemente
da soldati
ucraini, guidati
dal maggiore
Anatoliy
Pavlovych
Shapiro, ebreo
nato a
Krasnohard,
cittadina non
lontana da
Charkiv,
tristemente resa
famosa dagli
orrori
contemporanei
praticati da chi
pervicacemente
vuole spostare
all'indietro le
lancette
dell'orologio.
Nel 2005 l'ONU
ha scelto
proprio la data
del 27 gennaio
per commemorare
le vittime
dell'olocausto,
consacrandola
alla storia come
"Giorno della
Memoria", quale
monito affinché
mai più abbiano
a ripetersi tali
mostruose
atrocità. Per
quanti sforzi si
possano
compiere,
tuttavia, non
sarà mai fatto
abbastanza per
civilizzare una
buona fetta di
umanità che, a
distanza di
ottantadue anni
da quella immane
tragedia,
seconda solo
allo sterminio
per fame del
popolo ucraino
perpetrato da
Stalin negli
anni Trenta, in
un delirio che
atterrisce
continua a
sventolare i
vessilli del più
becero razzismo
contro chiunque
non risponda ai
canoni della
propria
psicotica
visione del
mondo.
L'antisemitismo
è più vivo che
mai e non a caso
la senatrice
Liliana Segre,
che le atrocità
di Auschwitz
porta nel corpo
e nell'anima,
nei giorni
antecedenti alle
tante
manifestazioni
organizzate a
gennaio, ha
dichiarato
testualmente:
"Una come me
ritiene che tra
qualche anno ci
sarà una riga
tra i libri di
storia e poi più
neanche quella.
Le iniziative
che possono
venire da una
vecchia come me
a volte sono
noiose per gli
altri, questo lo
capisco
perfettamente,
so cosa dice la
gente del Giorno
della memoria.
La gente già da
anni dice,
'basta con
questi ebrei,
che cosa
noiosa'. Il
pericolo
dell'oblio c'è
sempre". Frasi
che fanno
riflettere,
soprattutto se
seguite da fatti
concreti: negli
stessi giorni,
in un teatro di
Milano, un
"professore" ha
interrotto
l'attrice che
parlava
dell'olocausto
definendo
baggianate le
sue asserzioni.
Non è un caso
isolato, essendo
il negazionismo
ancora molto
diffuso nella
società
contemporanea.
Una più efficace
formazione,
quindi,
soprattutto in
ambito
scolastico,
risulta
fondamentale per
combattere
l'intolleranza
figlia
dell'ignoranza.
Non bisogna mai
smettere di
sviscerare le
brutture della
storia, in
qualsiasi epoca
siano state
consumate, per
portare alla
luce fatti
obnubilati vuoi
per leggerezza
vuoi per
manifesta
complicità con i
despoti o per
biechi calcoli
di opportunismo.
Attorno alle
mostruosità
naziste, per
esempio,
gravitano ancora
molte vicende
oscure tenute
ben nascoste in
un vaso molto
più grande di
quello di
Pandora.
Scoperchiarlo
consente di
penetrare nei
meandri della
storia e
scoprire cose
che noi umani
non potremmo mai
immaginare
perché compiute
da esseri che
degli umani
avevano solo le
fattezze
morfologiche,
essendo dei veri
e propri demoni.
QUELLE
BOMBE MAI CADUTE
Sul finire della
guerra la
Germania era
ridotta a un
ammasso di
rovine: 635 mila
i morti civili,
10 milioni i
senzatetto,
intere città
rase al suolo,
"quasi tutte" le
linee
ferroviarie
distrutte.
"Quasi tutte"
perché,
stranamente,
quelle percorse
dai vagoni
diretti verso i
campi di
concentramento
rimanevano
intatte. Il solo
lager di
Buchenwald fu
bombardato, ma
per un mero
errore che costò
la vita a
Mafalda di
Savoia, rimasta
gravemente
ferita e
lasciata morire
dissanguata dai
carnefici dopo
una terribile
amputazione del
braccio che si
trasformò in una
vera tortura.
Gli Alleati
conoscevano la
dislocazione di
tutti i campi e
quello di
Auschwitz,
dall'aprile 1944
al giorno della
conquista, fu
fotografato dai
ricognitori
aerei almeno
trenta volte. La
distruzione dei
campi, possibile
sol che si fosse
voluta, avrebbe
salvato la vita
a milioni di
persone. La
salvezza degli
Ebrei - oramai
non è più un
mistero - non
costituiva una
priorità per le
nazioni alleate
contro la
Germania. Su
raicultura.it,
nella sezione
"Eco della
storia", è
possibile vedere
un interessante
documentario di
Gianni Riotta
dedicato proprio
a questa
vicenda: "Perché
non bombardare
Auschwitz?".
Il bravo
giornalista
intervista lo
storico Umberto
Gentiloni
Silveri, autore
del saggio
"Bombardare
Auschwitz.
Perché si poteva
fare, perché non
è stato fatto",
Mondadori,
Milano, 2015. Un
saggio molto
illuminante
perché spiega
bene come
fossero rimasti
inascoltati gli
appelli dei
sopravvissuti,
che nel periodo
della detenzione
sobbalzavano
quando sentivano
in lontananza il
rombo degli
aerei, sperando
nel loro
soccorso, per
poi rattristarsi
di nuovo quando
il rumore
svaniva
lentamente e con
esso la speranza
della libertà.
Giorno dopo
giorno, mese
dopo mese, fino
a quel fatidico
27 settembre,
quando però il
colpevole
ritardo aveva
contribuito a
rendere
spaventoso il
numero delle
vittime. Con un
linguaggio
crudo, che
scuote e
tormenta,
l'autore ci
ammonisce non
solo sul ritardo
dell'intervento
in tempo di
guerra ma anche
sui troppi anni
occorsi affinché
il mondo si
rendesse
pienamente conto
di cosa
rappresenti la
Shoah.
L'INFERNO
STALINIANO -
L'ANTISEMITISMO
RUSSO
Per Marx gli
Ebrei erano i
demoni accecati
dal denaro, ma
li identificava
comunque come
minoranza
religiosa
facilmente
integrabile.
In Russia, con
Lenin e Stalin,
il problema
ebraico assunse
caratteri
diversi, in
virtù del
concetto di
nazione che si
andava
affermando. Nel
1913 Stalin
scrive
testualmente:
"Una nazione è
una comunità
storicamente
evoluta e
stabile, con un
linguaggio,
territorio, vita
economica e
formazione
comuni, che si
esprime in una
comunanza di
cultura1".
Il popolo russo,
in massima
parte, aveva
sentimenti
ostili agli
Ebrei e le
sommosse
popolari
antisemite, che
ebbero luogo dal
1871 al 1921,
passate alla
storia con il
termine pogrom,
ne costituiscono
un'inconfutabile
testimonianza.
Negli anni
Trenta il
nazionalismo
raggiunse
livelli apicali
e furono tempi
duri non solo
per gli Ebrei.
Nel 1937, con la
prima
deportazione di
massa, la
minoranza
coreana fu
trasferita nel
duro e
inospitale
territorio del
Kazakistan. Nel
1940 furono
deportati gli
estoni e i
finlandesi. Nel
1941 toccò ai
Tedeschi del
Volga. Dopo la
guerra toccò ai
ceceni, ai
Tartari e ad
altre etnie
caucasiche2.
Milioni di
cittadini,
considerati non
integrabili
nella società
russa, furono
deportati nei
territori dove
poi avrebbero
sviluppato le
rispettive
etnie. Stalin,
in quanto a
crudeltà, non
aveva nulla da
invidiare a
Hitler. Sui suoi
crimini, però,
si è preferito
stendere per
molto tempo una
patina
oscurantista,
sgretolatasi
progressivamente
dopo la caduta
del muro di
Berlino.
Massacrò oltre
dieci milioni di
kulaki, i
contadini russi
ostili al vento
rivoluzionario e
decimò la casta
degli ufficiali
con le famose
"grandi purghe"
(circa 40 mila
validissimi
soldati, la cui
assenza si sentì
pesantemente
quando la
Germania invase
la Russia), per
l'infondato
timore che
potessero
sobillare
l'esercito. La
cifra degli
Ebrei si aggira
sui cinque
milioni, ma il
dato va
considerato
inferiore al
numero
effettivo.
Con il massacro
di Katyn' fu
decimata
l'intellighenzia
polacca (tutti
gli ufficiali
dell'esercito
erano
espressione
della borghesia
illuminata e
dell'aristocrazia3),
in modo da
impedire ogni
possibile
ribellione alle
mire egemoniche
nell'area:
quindicimila le
vittime. Negli
anni Settanta
non ebbe fortuna
l'importante
saggio di
Aleksandr
Solženicyn,
"Arcipelago
Gulag4",
osteggiato sia
dalla sinistra,
asservita a
Mosca, sia dalla
destra, che
cercò
tiepidamente di
valorizzarlo per
lo più in chiave
anti-comunista.
Anche a destra,
infatti, un
becero
antisemitismo
"di riflesso",
caratterizzato
quindi solo
dall'ignoranza
di chi si
approcciava a un
mondo molto
complesso e
composito senza
solide basi
culturali,
costituiva una
tragica realtà.
Oggi il fenomeno
è molto sfumato
e riguarda
precipuamente i
gruppuscoli
estremisti. Non
mancano,
tuttavia,
soggetti che,
pur avendo
raggiunto un
discreto livello
culturale, non
disdegnano di
manifestare,
magari in un
ambito ristretto
perché
consapevoli del
loro anacronismo
intellettuale,
quell'odio
razziale
difficilmente
scardinabile
perché
incrostato nella
nostalgia di un
passato dal
quale non
riescono a
decantare il
bene dal male.
L'autore di
quest'articolo,
vox clamantis in
deserto insieme
con quelle di
pochi altri,
tentò invano di
dare voce
all'illustre
esule, essendo
il fronte dei
denigratori
vasto, variegato
e di grosso
peso. Giorgio
Napolitano, con
il pieno
sostegno di
tutto il PC,
all'epoca
diretto da
Berlinguer,
definì aberranti
le analisi
socio-politiche
di Solženicyn e
legittimo
l'esilio.
Ancora più
terribili furono
i giudizi
espressi da
altri due
campioni del
radicalismo
sinistrorso:
Umberto Eco e
Alberto Moravia.
Per il primo
Solženicyn era
"una sorta di
Dostoevskij da
strapazzo"; per
il secondo un
"nazionalista
slavofilo della
più bell'acqua".
Vittorio Foa,
molto
candidamente, a
novanta anni
dichiarò che il
libro non lo
aveva proprio
letto.
La cosa più
triste,
comunque, fu
l'ignominioso
comportamento
della
"Mondadori":
invece di
pubblicizzare il
saggio secondo
normali regole
aziendali
protese a
produrre utili
dai propri
investimenti, lo
trascurò
artatamente e
spostò
l'attenzione
mediatica sul
saggio di Oriana
Fallaci
Intervista con
la storia,
uscito nello
stesso periodo.
Il libro
dell'esule
russo, intanto,
spopolava in
tutto il mondo
e, ça va sans
dire, in modo
particolare in
Francia.
PAPA
PACELLI E LE
COLPE DELLA
CHIESA
L'argomento è
delicato,
soprattutto in
un momento come
questo, che vede
la Chiesa in
grossa
difficoltà nel
conciliare la
propensione
dogmatica alla
mutevolezza dei
tempi e alle
pressioni di una
società allo
sbando, che
sovverte tutti i
valori. Le
terribili
responsabilità
in tema di
antisemitismo,
però, che pur
avendo radici
antiche
raggiunsero
livelli
d'imbarazzante
complicità nella
seconda guerra
mondiale, non
possono essere
sottaciute. Dal
sostegno alle
leggi razziali
del 1938 al
silenzio di Papa
Pacelli, vi è
davvero tanto da
farsi perdonare.
Il pragmatismo
del Papa
(termine non
utilizzato a
caso perché
trova riscontro
in molte
cronache
dell'epoca e
nelle analisi di
eminenti
studiosi) lo
portò a
considerare il
nazismo come
l'ultima
spiaggia contro
il bolscevismo.
Va anche detto,
comunque, che
molti Ebrei
ebbero salva la
vita grazie agli
esponenti
ecclesiastici
che non facevano
perfidi calcoli
politici e
offrirono loro
ospitalità
all'interno del
Vaticano.
Questo scottante
argomento è
stato oggetto di
una importante
opera teatrale,
Il Vicario, (il
titolo
originale, Der
Stellvertreter,
fa riferimento
proprio al Papa,
Vicario di
Cristo), scritta
dal drammaturgo
tedesco Rolf
Hochhuth nel
1963 e fonte di
non poche
polemiche per la
manifesta accusa
di complicità.
In Italia fu
addirittura
censurata dopo
la prima
rappresentazione
e solo nel 2007
fu resa di nuovo
disponibile.
Da essa,
intanto, nel
2002 il regista
Costa Gravas
trasse lo spunto
per il film
"Amen",
allargandone il
contesto
narrativo con
l'inserimento di
Kurt Gerstein,
membro
dell'Istituto
d'igiene delle
Waffen-SS che,
dopo aver
depurato l'acqua
potabile con lo
Zyklon B, scoprì
che l'agente
fumigante a base
di acido
cianidrico era
stato utilizzato
anche nelle
camere a gas di
Auschwitz.
Scioccato, tentò
di informare il
Papa affinché
levasse la sua
voce contro i
campi di
sterminio,
ottenendo, però,
una chiusura
totale a ogni
tentativo di
denuncia.
STERILIZZAZIONE
DI MASSA NELLA
CIVILISSIMA
SVEZIA.
In premessa devo
dire che amo
molto il popolo
svedese sia per
retaggio
ancestrale sia
per solidi
vincoli amicali5.
Affetto e
stupendi
ricordi,
tuttavia, non
m'impediscono di
segnalare
l'eccellente
saggio di Piero
Colla intitolato
"Per la nazione
e per la razza.
Cittadini ed
esclusi nel
modello
svedese", edito
da Carocci nel
2000.
Nella
civilissima
Svezia, tra il
1934 e il 1997
(avete letto
bene: 1997!) ben
63.000 persone,
in prevalenza
donne, furono
sterilizzate in
ossequio a quei
principi
razziali non
certo dissimili
da quelli che
caratterizzavano
l'aberrazione
nazista. Anche
in Svezia
l'antisemitismo
ha radici
antiche e fino
al 1870 gli
Ebrei non
potevano
scegliere dove
abitare, subendo
pesanti
vessazioni e
discriminazioni,
tra le quali
assume
particolare
rilevanza il
"passaporto
speciale"
adottato nel
1938 e subito
emulato in
Germania e
Svizzera, che
prevedeva una
"J" maiuscola di
colore rosso
timbrata sulla
prima pagina.
CONCLUSIONI
L'articolo
potrebbe
continuare
ancora per molte
pagine perché
non vi è Paese
al mondo immune
da colpe nei
confronti degli
Ebrei, a
cominciare dagli
Stati Uniti e
non solo per il
mancato
bombardamento
dei campi di
concentramento.
Un antisemitismo
"strisciante" si
è sempre
registrato nella
società
americana, salvo
poi affievolirsi
in virtù
dell'affermazione,
in tutti i
campi, proprio
degli Ebrei. Tra
i tanti episodi
va ricordato il
drastico
intervento di
Roosevelt, che
impedì con la
forza l'approdo
di un piroscafo
pieno di
fuggiaschi,
partito da
Amburgo.
Churchill, dal
suo canto,
minacciò di
silurare a
Sulina, nel Mar
Nero, un altro
carico di Ebrei
in navigazione
verso la
Palestina.
Nel febbraio del
1942, lo
"Struma", una
nave di profughi
proveniente
dalla Romania,
affondò nel Mar
Nero, con 770
persone a bordo,
dopo essere
stata respinta
dagli inglesi e
dai turchi.
Perirono tutti.
Le vessazioni
praticate dagli
inglesi agli
Ebrei già
residenti in
Palestina, con
fucilazioni
sommarie, per
scoraggiare
nuovi sbarchi,
costituiscono
una pagina di
storia che
ancora deve
essere decantata
in tutta la sua
tragicità. In
tanti presumono
di conoscere la
storia di Anna
Frank, o per
aver letto il
diario o per
aver visto il
film. Pochi
sanno, però, che
il papà tentò
invano, sin dal
1941, di
emigrare negli
USA, ottenendo
sempre un
rifiuto. Con la
nascita di
"Israele" i
vincitori della
seconda guerra
mondiale hanno
presunto di
mettersi a posto
con la
coscienza. Vana
presunzione, con
quel che è
successo dopo e
continua a
succedere.
Siamo nel XXI
secolo, sono
trascorsi 78
anni dalla fine
delle più
terribile guerra
che la storia
dell'umanità
ricordi e il
razzismo (di cui
l'antisemitismo
è solo una delle
componenti
principali, ma
non certo
l'unica), non
solo non è stato
debellato, ma
prolifera in
modo spaventoso.
Parimenti sembra
svanire il sogno
degli Stati
Uniti d'Europa,
annichilito da
quel cancro
sociale che si
chiama
nazionalismo,
primario
alimento del
razzismo.
Ciò che si fa
per combattere i
rigurgiti di
nazionalismo e
il razzismo,
pertanto, è
sempre poco.
Forse dovremmo
tutti emulare
quei tipi un po'
scemotti adusi
ad indossare
magliette con
scritte che
inneggiano alla
propria
superiorità
razziale.
Indossiamole
anche noi,
stampandovi una
sola semplice
frase: "L'unica
razza che
conosco è quella
umana e nessuno
ha colpe o
meriti per dove
nasce ma solo
per come vive".
NOTE
1 Josef Stalin,
Il marxismo e la
questione
nazionale e
coloniale,
Einaudi Editore,
1974
2 A scanso di
equivoci (già
verificatisi in
passato), si
precisa quanto
segue. I nomi
dei popoli delle
varie nazioni
vengono scritti
con iniziale
minuscola, nel
rispetto delle
corrette regole
grammaticali
(coreani,
estoni,
finlandesi,
etc.). "Ebrei"
viene scritto
con carattere
maiuscolo in
quanto
identifica un
nome storico,
che richiede
appunto
l'iniziale in
maiuscolo (Ittitti;
Fenici; Sanniti
e Greci
(antichi);
sanniti e greci
se si facesse
riferimento a
quelli
contemporanei).
Parlando degli
"israeliani" si
sarebbe
utilizzato il
carattere
minuscolo.
"Tedeschi del
Volga" è scritto
con la "T"
maiuscola perché
in questo caso
indica le radici
etniche di un
popolo e quindi
si applica la
regola del nome
storico. In
qualche testo si
trova la
definizione con
la "t" minuscola
ma l'autore di
questo articolo
considera tale
formula un
errore, a meno
che non si
faccia loro
riferimento
utilizzando una
diversa
definizione
(es.: Stalin
sciolse la
Repubblica
socialista
sovietica
autonoma tedesca
del Volga ed
ordinò
l'immediata
deportazione
delle persone di
etnia tedesca
sia dalla
regione del
Volga sia dalle
loro altre
tradizionali
aree di
insediamento".
Nella frase in
cui si parla di
ceceni e Tartari
i primi hanno
l'iniziale
minuscola in
quanto
configurabili
con gli
occupanti della
Cecenia, a
prescindere
dalle variazioni
territoriali
subite dal Paese
nel corso dei
secoli; i
Tartari sono un
"gruppo etnico"
disseminato in
vari stati,
senza un proprio
territorio e
quindi anche per
loro vale la
regola del "nome
storico".
3 Uno dei pochi
saggi che
affronta con
obiettività la
terribile
vicenda, che per
molti anni
registrò
reciproche
accuse tra
tedeschi e
russi, è quello
scritto dallo
storico canadese
di origine russa
e vissuto in
Italia Victor
Zazlavsky,
Pulizia di
classe. Il
massacro di
Katyn, Il
Mulino, 2006 (Lo
storico è stato
anche consulente
della
Commissione
parlamentare
d'inchiesta sul
terrorismo in
Italia e sulle
cause della
mancata
individuazione
dei responsabili
delle stragi con
il compito
precipuo di
indagare
sull'apparato
paramilitare del
PCI).
Assolutamente da
vedere, inoltre,
il film Katyn,
diretto nel 2008
dal regista
polacco Andrzej
Wajda.
4 Aleksandr
Solženicyn,
Arcipelago Gulag
1918-1956,
Arnoldo
Mondadori
Editore, 1974
(quasi
irreperibile la
prima edizione,
ma disponibili
quelle più
recenti).
5 I miei avi
raggiunsero la
Pannonia
partendo dalle
sponde della
Scania, per poi
entrare in
Italia al
seguito di re
Alboino. Tra le
imprese più
belle ed
esaltanti
portate a
compimento nella
mia frenetica
vita vi è
senz'altro la
mostra
internazionale
sui "Ponti di
Leonardo",
concepita quale
supporto
culturale alla
faraonica opera
ingegneristica
che unisce, con
un ponte sul
Baltico, le
città di Malmö e
Copenaghen e che
tanto successo
riscosse nelle
tre esposizioni
di Malmö,
Göteborg e
Stoccolma.
(www.galvanor.wordpress.com/2012/11/01/i-ponti-di-leonardo-il-ventennale-della-grande-mostra)
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CULTURA |
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CAVALIERI |
L'alba si diffondeva come una festa che virava
al rosa tutti i grigi della notte.
Quando passarono gli uccelli ammutolirono al
suono cavo degli zoccoli sulle pietre tonde del
fiume quasi in secca. Ogni sorta di animale
molle, e strisciante nell'incerto confine
putrido tra la terra e la melma si rintanò: loro
passavano.
Dal folto del suo rifugio di rami secchi, spesso
visitato per gioco, ora per paura, riuscì solo a
vedere il posteriore dell'ultimo cavallo della
fila, che danzava, un passo indolente, la lunga
coda nera che si immergeva nell'acqua bassa. Lo
scartare improvviso di un cavallo tra le pietre
del greto, il continuo muovere le orecchie gli
sembrarono segnali umani in quella sequenza di
persone impietrite sui loro arcioni che
oscillavano nella semioscurità.
Le canne dei loro fucili oscillavano sulle
spalle degli uomini come le canne del fiume al
vento.
I primi cavalli già risalivano l'argine con un
galoppo raccolto, come di liberazione dalle
angustie del guado, dalla cautela imposta loro
dall'acqua. Gli ultimi della fila ancora si
preparavano a discendere la ripa del greto.
Tutti, uomini e cavalli, rispettando la consegna
del silenzio.
Nel silenzio, rotto solo dal tramestio degli
zoccoli, mentre nasceva e si diffondeva il rosa
sulle cime dei monti intorno, il concerto dei
suoni notturni si interrompeva al passaggio
dello squadrone.
Lui, uscito con circospezione dal suo
nascondiglio quando l'ultimo cavaliere aveva
risalito l'argine opposto, non seppe mai chi
fossero e dove andassero, né perché si fosse
nascosto tra i rovi dell'argine.
Pare tuttavia che, da racconti nati tra i
pastori del luogo, quel drappello da anni si
aggirasse da quelle parti alla ricerca di una
traccia, attraversando in inverno le gole
profonde e d'estate i fiumi in secca,
accampandosi sulle alture, senza mai accendere
fuochi.
I loro cavalli erano magnifici, dissero alcuni
che si erano avvicinati con circospezione al
bivacco, belli come non si può descrivere,
avevano ciglia lunghe come le donne, e criniere
arricciate e fluenti, le code poi erano lunghe e
di seta, come i capelli delle zingare.
La loro robusta costituzione suggeriva loro di
muoversi con ampie falcate, come una danza, e
pareva addirittura che essi comandassero i loro
cavalieri.
Questi erano obbedienti e asserviti ai loro
voleri: li montavano con osservanza del loro
desiderio di procedere giorno per giorno, paghi
di attraversare quelle contrade con la grazia
regale del loro portamento. |
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CULTURA |
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A NATION ONCE AGAIN |
(Sesta e ultima parte)
DAL VENERDÌ SANTO A SAINT ANDREWS
Il XXI secolo trova un'Irlanda del Nord assopita
dagli Accordi del Venerdì Santo, ma non certo
rassegnata. La cenere è sempre calda e sotto la
cenere cova il fuoco di A Nation Once Again, pur
senza raggiunge l'intensità del trentennio
precedente. Un mondo in continua evoluzione non
lascia indifferenti i giovani irlandesi, molti
dei quali, agli albori del nuovo secolo,
s'incamminano verso l'età adulta avendo vissuto
solo di riflesso e senza assimilarli, per ovvi
motivi anagrafici, i tormenti e i disagi causati
dai Troubles.
A Belfast i muri della pace, intatti nella loro
cupa tristezza, ricordano in ogni momento che
quella parte dell'isola è ancora sotto
occupazione straniera, alla pari dei cippi e dei
monumenti eretti in onore degli eroi caduti
inseguendo un sogno, disseminati in ogni angolo
della città. La vita continua, tuttavia,
imponendo ritmi e regole che spesso
annichiliscono la pur forte volontà di chi
vorrebbe condizionare gli eventi secondo la
propria visione del mondo. Non vi è ricorrenza
che non sia celebrata da chi porta nel cuore
l'indelebile sofferenza per la perdita di una
persona cara, ma non sono pochi coloro che
passano distrattamente davanti ai simboli di una
storia plurisecolare, per indolenza temporale o
perché semplicemente afflitti dalle nuove
problematiche, che prendono il sopravvento su
tutto il resto.
Nel Sinn Féin persone di alto spessore studiano
con attenzione le veloci mutazioni sociali e
soprattutto i turbamenti giovanili, e si
attivano affinché non si smetta di sognare,
adeguando le strategie comunicative a una realtà
sostanzialmente diversa rispetto a quella
segnata da un clima di guerra civile. Sono gli
occhi attenti di Gerry Adams, ovviamente,
l'ultimo eroe della vecchia IRA, nato a Belfast,
affiancato dall'amico di una vita, di soli due
anni più giovane, Martin McGuinnes, nato nel
1950 nell'altra città simbolo della resistenza
irlandese, Derry, che nell'IRA entrò a soli
venti anni, assurgendo subito a ruoli di
comando.
Nel 1977 conquista senza particolari sforzi un
seggio al Parlamento di Westminster,
rifiutandosi di occuparlo, alla pari di Adams e
degli altri parlamentari repubblicani che non
riconoscevano il trattato anglo-irlandese del
1921. Nel 1998 capeggiò la delegazione del Sinn
Féin per gli Accordi del Venerdì Santo e fu
designato vice-premier (definizione impropria
perché il ruolo è paritetico a quello del
premier) del nuovo governo di coalizione,
guidato dal reverendo Ian Paisley, leader del
DUP (Democratic Unionist Party), calvinista
ortodosso e famoso per la sua ferma opposizione
a ogni rapporto con i cattolici: nel 1988 arrivò
addirittura a definire papa Giovanni Paolo II
l'Anticristo sceso sulla Terra per corrompere
l'umanità!
Come sappiamo dal precedente capitolo, però,
l'Assemblea dell'Irlanda del Nord fu minata
dalle continue accuse che i lealisti rivolgevano
al Sinn Féin per il mancato completo disarmo
dell'IRA. Bisognerà attendere l'Accordo di Saint
Andrews, sottoscritto nel novembre del 2006, e
le conseguenti elezioni del 7 marzo 2007, per
risolvere la perniciosa questione e ripristinare
l'autogoverno, che consentì finalmente a
McGuinnes di esercitare pienamente il suo ruolo
fino al gennaio 2017, quando si dimise per
protesta contro lo scandalo sulla promozione
delle energie rinnovabili1.
Sempre nel 2007 assunse anche la carica di
leader del Sinn Féin nell'Irlanda del Nord,
prendendo il posto dell'amico Gerry Adams, che
mantenne il ruolo di leader nazionale del
partito (quindi anche della componente
nell'Eire), esercitato sin dal 1983.
Nel 2012 si verificò l'evento più importante
della sua vita, almeno dal punto di vista della
rilevanza storica2:
l'incontro e la stretta di mano con la Regina
Elisabetta presso il teatro Lyric di Belfast.
Era la prima volta che un sovrano inglese
metteva piede in Irlanda del Nord e McGuinness
salutò in gaelico sia la Regina sia Michael
Higgins, presidente dell'Eire, per ricordare,
caso mai fosse stato dimenticato, che era quella
la lingua che si parlava in tutta l'isola fino a
quando Enrico II, otto secoli prima, non andò a
scompaginare la tranquilla vita di un popolo che
viveva all'insegna di una tradizione millenaria,
rimasta incontaminata tanto dall'inarrestabile
espansione romana quanto dalle successive
turbolenze continentali.
L'OMBRA LUNGA DELLA BREXIT
Il rapporto della Gran Bretagna con il resto
d'Europa non è mai stato idilliaco e ha radici
antiche. Si ritiene superfluo rievocare in
questo contesto secoli di storia, essendo
sufficiente ricordare che il forte attaccamento
alla sovranità nazionale è sempre stato il
carattere dominante della politica inglese,
favorendo il necessario spirito di sopravvivenza
che consentì di bloccare l'ingerenza delle
potenze continentali (Spagna e Francia) e di
costruire il grande impero che si dissolse solo
con la decolonizzazione.
Il forzato isolamento, suffragato dalle
conquiste territoriali, contribuì anche a
sviluppare quel diffuso complesso di superiorità
ancora oggi ben percepibile, ancorché smitizzato
proprio dai tanti inglesi capaci di volare alto
e leggere la realtà di là dalle apparenze. "Gli
inglesi: trenta milioni, in maggioranza
cretini", chiosava causticamente Thomas Carlyle
verso la metà del XIX secolo, criticando il
materialismo esasperato dei connazionali;
Benjamin Disraeli, più o meno nello stesso
periodo, ripeteva spesso la famosa frase di
Napoleone Bonaparte: "L'Inghilterra è una
nazione di bottegai", conferendole quindi un
peso ancora più pregnante, in linea con quello
esercitato nella società sia come saggista sia
come politico.
Davvero infinita la lista delle perle di
saggezza sui limiti caratteriali e
comportamentali degli inglesi affidate ai
posteri dai connazionali e dagli stranieri che
hanno avuto la ventura (o la sventura) di
conoscerli bene; per chiudere il discorso,
pertanto, basta la pungente sagacia di due
grandi irlandesi dell'epoca vittoriana: George
Beranard Shaw e Oscar Wilde.
Per il primo "Gli inglesi non saranno mai
schiavi. Avranno sempre la libertà di fare ciò
che il governo e l'opinione pubblica pretendono
da loro"; per il secondo, che pur essendo nato a
Dublino parla da inglese essendosi trasferito a
Londra dopo gli studi presso il rinomato Trinity
College, "Pensare è la cosa meno salutare al
mondo e le persone muoiono di ciò come muoiono
di altre malattie. Fortunatamente in
Inghilterra, in ogni caso, il pensiero non si
afferma. Il fisico splendido del nostro popolo è
interamente dovuto alla stupidità nazionale".
Gli aforismi consentono di tratteggiare, sia
pure per grandi linee, la dimensione intima di
una persona o anche di un intero popolo, ma è
solo legando con cura i fili tracciati dalla
storia che possiamo comprendere il perché di
certi accadimenti.
Al termine della seconda guerra mondiale - e
questa è storia - l'unico Paese europeo a
potersi considerare vincitore fu proprio il
Regno Unito. Nondimeno gli inglesi compresero
quasi subito che l'agognato iniziale proposito
di recuperare i possedimenti coloniali, fonti di
tanta ricchezza interna, non avrebbe mai trovato
l'avallo della comunità internazionale e
insistere avrebbe potuto generare un pericoloso
effetto "boomerang". Da qui la trasformazione
dei possedimenti nel Commonwealth di Stati
indipendenti comunque legati alla Corona.
Scelta sensata, ancorché imposta dalle
circostanze. Le stesse circostanze, però,
avrebbero dovuto suggerire anche di accettare
l'invito ad entrare nella Comunità del carbone e
dell'acciaio, come noto embrione della futura
Cee. Ancora troppo forte e diffuso il sentimento
di mondialismo per "ridursi" a mera espressione
di una realtà continentale e lo spocchioso
atteggiamento, nonostante i preziosi consigli
provenienti da "quasi" tutti gli angoli
d'Europa, fu reiterato anche nel 1955 dal
mediocre Primo Ministro Eden con il rifiuto di
partecipare alla Conferenza di Messina,
prodromica del Trattato di Roma che istituì la
Cee e l'Euratom.
Il suo successore, Harold Macmillan, cercò di
correre ai ripari avendo ben chiaro l'errore
commesso e il quadro internazionale che andava
delineandosi con il continuo declino della Gran
Bretagna e l'ascesa della Cina. Non gli
sfuggiva, inoltre, la necessità di sviluppare un
più vantaggioso interscambio commerciale con i
Paesi europei ed "equilibrare i rapporti" con
gli Stati Uniti, che vedevano comunque il suo
Paese in una posizione di subalternità.
Obiettivi perseguibili solo con l'adesione alla
Cee, richiesta nell'estate del 1961 e supportata
dal pieno sostegno di Germania Ovest, Italia,
Paesi del Benelux e, oltre oceano, anche dal neo
presidente Kennedy, che sapeva guardare lontano
e non disdegnava una Gran Bretagna "forte"
all'interno della Cee, favorendo proprio
"l'equilibrio dei rapporti" agognato da
Macmillan. Più lungimirante di tutti, però, fu
De Gaulle, che cinicamente stoppò le ambizioni
inglesi per ben due volte, nel 1963 e 1967.
De Gaulle doveva tutto agli inglesi, nondimeno
rinunciò a ogni forma di gratitudine, asserendo
- cosa comunque vera - che la Gran Bretagna
aveva chiesto di aderire alla Comunità europea
non perché ne condividesse i principi ma solo
perché con l'acqua alla gola, considerandola
"un'ancora di salvataggio". La sua idea di
Europa, in realtà, mal si conciliava con
l'ingresso della Gran Bretagna, tanto più se
gradito agli USA, perché prevedeva il primato
della Francia sugli altri Paesi e un solido asse
tra Parigi e Bonn (all'epoca la Germania era
ancora divisa).
Bisognerà attendere il 1973 per l'agognato via
libera e, nel frattempo, a causa dell'ostracismo
francese supinamente assecondato dagli altri
Paesi della Cee, il già marcato euroscetticismo
degli inglesi si acuì non poco, soprattutto
nelle fasce meno acculturate e più convintamente
nazionaliste. Gli euroscettici non hanno mai
cessato di sobillare le forze politiche per
recuperare la "dignità perduta" e nel 2010, con
il ritorno al potere dei conservatori, trovarono
terreno fertile per dare linfa alle proprie
rivendicazioni.
Il 23 giugno 2016, il 52% degli elettori
britannici votò per l'uscita del Paese
dall'Unione europea, avviando quel processo di
"allontanamento" ancora in corso, con effetti
devastanti per la gli affari interni e
soprattutto per l'Irlanda del Nord.
Gerry Adams capì subito la gravità del problema
e dichiarò che "Il governo britannico ha perso
ogni mandato per rappresentare gli interessi
economici e politici della gente in Irlanda del
Nord".
Il timore di Adams e di quasi tutti i
nord-irlandesi, ivi compresi quelli fedeli alla
Corona, non era campato in aria. Il confine
"formale" con il resto dell'isola (e quindi con
l'Europa) si sarebbe trasformato d'imperio in un
confine reale che avrebbe previsto posti di
blocco alla frontiera, controlli doganali,
passaporti, difficoltà di accesso per le merci,
aumenti smisurati e incontrollati del costo
della vita in virtù delle inevitabili
restrizioni. Tutto ciò contraddiceva pienamente
quanto sancito dagli Accordi del Venerdì Santo e
di Saint Andrew, grazie ai quali era cessata la
lotta armata. Non a caso la maggioranza degli
elettori nordirlandesi si era schierata contro
la Brexit e il segnale fu subito recepito dai
tecnocrati di Bruxelles che, grazie anche alle
pressioni del governo dell'Eire, decisero di
preservare l'Irlanda del Nord dal confine rigido
col resto d'Europa.
Nell'aprile del 2017, il Primo Ministro Theresa
May sottoscrisse un accordo con l'Unione Europea
per mantenere il Regno Unito all'interno di
un'unione doganale finché non fosse stato
trovato un accordo per evitare la costituzione
di un confine rigido tra Irlanda del Nord e
Repubblica d'Irlanda, ma l'accordo non fu mai
ratificato dal Parlamento inglese. I continui
insuccessi di Theresa May nel tentare di
favorire una Brexit "morbida", soprattutto non
penalizzante per i nord-irlandesi, la indussero
a dimettersi nel giugno del 2019.
Le subentrò l'ipernazionalista Boris Johnson,
tra i principali sostenitori della Brexit, che
entrò a "carrarmato" sui protocolli che
riguardavano la tutela dell'Irlanda del Nord,
trasformandoli in carta straccia e minacciando
l'uscita senza accordo il 31 ottobre 2019 se non
se ne fosse trovato uno soddisfacente (per lui,
ovviamente).
Seguirono mesi di difficili trattative,
caratterizzate anche da un colpo di mano senza
precedenti: nell'agosto del 2019 Boris Johnson
sospese il Parlamento fino al 14 ottobre per
impedire ai deputati di trovare una intesa,
vanificando i suoi propositi di uscire
dall'Unione senza un accordo di tutela per il
Nord Irlanda. Essendo stato fissato al 31
ottobre il termine ultimo per la definizione
dell'eventuale accordo, infatti, con solo due
settimane a disposizione i parlamentari non
avrebbero avuto nemmeno il tempo di avviare un
discorso.
Il 31 gennaio 2020, pertanto, il Regno Unito
lasciava l'Ue, con un periodo di transizione di
11 mesi, durante il quale tutto sarebbe rimasto
come prima.
Iniziano altre snervanti e complesse trattative
per salvaguardare soprattutto i diritti dei
nord-irlandesi, almeno sotto il profilo
commerciale, mentre in tutta l'Inghilterra
incomincia una fase recessiva che s'ingigantisce
anche a causa dei devastanti effetti provocati
dalla pandemia.
Molte aziende chiudono; molte multinazionali si
trasferiscono altrove; la disoccupazione cresce
incontrollata e con essa il costo della vita.
Gli inglesi incominciano a rendersi conto di
aver fatto una sciocchezza, anche perché
acquisiscono crescente consapevolezza, cosa
trasparsa subito nelle analisi effettuate dagli
osservatori stranieri, che sono state le fasce
meno acculturate e gli anziani a favorire la
Brexit: i giovani e le persone culturalmente
evolute, in massa, avevano sostenuto il remain.
SI TORNA A COMBATTERE
Nel Nord Irlanda le tensioni sociali si
acuiscono all'improvviso in virtù degli accordi
di tutela che consentono il libero commercio con
l'Eire, superando le barriere imposte dalla
Brexit. I lealisti temono che si creino i
presupposti per la riunificazione dell'isola,
notando che in campo cattolico siffatta
"speranza" aleggia con crescente convincimento,
favorita dalla pressante e rinnovata azione
politica del Sinn Féin, che vede sensibilmente
aumentare i suoi consensi.
Nel mese di aprile 2021, per fare pressioni sul
Governo affinché fosse preservato il confine
rigido, avviarono una feroce campagna di
violenze contro i reparti della polizia. Poi,
però, inevitabilmente, ripresero gli scontri
anche tra le opposte fazioni, condannate da
tutti i partiti politici. Le trattative,
intanto, proseguivano con ritmo serrato, in un
caos di difficile decantazione perché
caratterizzato dalle continue rivendicazioni,
non scevre di lobbismo, avanzate da chiunque si
sentiva minacciato dai provvedimenti adottati,
inevitabilmente destinati ad accontentare pochi
e scontentare molti, con continui ribaltamenti
degli umori dopo ogni rivisitazione, essendo
impossibile trovare una soluzione al problema in
un contesto che non prendeva in considerazione
l'unica opzione in grado di sanare ogni
controversia: la riunificazione dell'Irlanda.
ACCORDI DI WINDSOR E PROSPETTIVE FUTURE
Il 27 febbraio 2023 i giornali di tutto il mondo
titolano a caratteri cubitali che è stato
trovato un accordo sull'Irlanda del Nord "tra
Regno Unito e Unione europea". Già
l'impostazione trionfalistica dell'annuncio,
pressoché unanime, lascia l'amaro in bocca. Due
soggetti si mettono d'accordo sulle sorti di un
intero popolo, in barba ai tanti trattati nei
quali è scritto che nulla sarebbe stato deciso
senza l'assenso dei diretti interessati. L'amaro
si trasforma in fiele leggendo i punti
dell'accordo, che fanno assomigliare i
trionfalistici titoli dei quotidiani a quegli
ingannevoli slogan pubblicitari che inducono i
consumatori fessacchiotti a prendere lucciole
per lanterne.
Il premier Rishi Sunak e il presidente della
Commissione europea Ursula von der Leyen
s'incontrano nei pressi del castello reale
inglese e suggellano quello che viene definito,
con abile e allo stesso tempo sconcertante
fantasia descrittiva, "Windsor Framework", ossia
un quadro strutturale provvisorio, necessitante
di futuri aggiustamenti: "corridoio verde" per
la libera circolazione delle merci dal Regno
Unito verso Belfast, senza ostacoli burocratici,
accordi doganali e altri impedimenti; "corridoio
rosso" per le merci esportate dall'Irlanda del
Nord verso i Paesi dell'Unione, in modo da
preservare l'integrità del mercato unico
europeo. Bontà loro, ai nord irlandesi è
assicurato l'accesso ai beni essenziali del
Regno Unito, tra i quali le medicine. L'ultimo
punto è un vero pateracchio: le leggi europee
continueranno ad applicarsi in Irlanda del Nord,
ma il Parlamento nordirlandese potrà usare "un
freno di emergenza" (testuale) in caso di
provvedimenti che ne possano minare l'autonomia.
E cosa succederebbe dopo aver tirato il freno?
Ursula von der Leyen non poteva essere più
chiara: "La Corte di Giustizia europea avrà
l'ultima parola sulle dispute". Tanto vale non
tirarlo proprio il freno, quindi, per evitare di
andare a sbattere contro qualche ostacolo. Sic
est. Quando si conclude la stesura di questo
ultimo capitolo dedicato alla storia d'Irlanda
non ci è dato sapere quali saranno gli sviluppi
del "Framework". Si sa solo che da un lato Boris
Johnson sta affilando le armi per tornare alla
guida del Paese, sabotare gli accordi di Windsor
e riportare l'Irlanda del Nord nell'alveo della
Corona senza divagazioni europeiste. In Irlanda,
invece, le due regine del Sinn Féin, Mary Lou
McDonald, dal 2018 presidente del partito, e
Michelle O'Neil, dal 2017 leader nel Nord
dell'isola, s'impegnano senza risparmio, con
determinazione e grande forza di volontà, ben
sapendo che ogni giorno devono dimostrare di
essere all'altezza dei giganti di cui hanno
preso il posto, Gerry Adams e Martin McGuinnes.
Con il cuore che batte forte sentono sempre più
vicino il giorno che consentirà anche a loro di
entrare alla grande nei libri di storia, grazie
a quel referendum che sancirà la riunione coi
confratelli dell'Eire. Non sanno ancora e
nemmeno ci pensano, anche perché non hanno certo
avuto il tempo di leggere i saggi di Jacques
Monod, che a volte caso e necessità si sposano,
contribuendo a risolvere delicati problemi. In
questo caso l'aiuto giungerebbe da chi meno
potessero aspettarselo: il popolo inglese.
Milioni di persone, avvilite tanto dalla
contingenza socio-politica e dai nefasti effetti
della Brexit quanto da quello che sempre più
spesso viene definito come un "fardello", si
convincono con crescente intensità che sarebbe
proprio il caso di rientrare nell'Unione europea
e che vi sia tutto da guadagnare, anche per
loro, con la riunificazione dell'Irlanda. I
lealisti nordirlandesi se ne facessero pure una
ragione, senza perdere tempo con inutili
proteste o controproducenti azioni delittuose:
non ci sarebbe partita, infatti, in una lotta
armata contro forze regolari irlandesi senza
l'aiuto dei super addestrati soldati inglesi.
Indipendentemente da ciò che sarà deciso a
Londra, comunque, il sogno di un'Irlanda unita è
destinato a trasformarsi in realtà, perché il
cammino intrapreso dal rinnovato Sinn Féin
guidato da due fantastiche donne e
opportunamente supervisionato, con estremo tatto
e delicatezza, dall'ultimo Eroe di un mondo che
sa d'antico, è inarrestabile. It's time to
change, affermano con veemenza a Belfast e a
Derry le nuove leve del repubblicanesimo
indipendentista. A Nation Once Again si canta
ancora nei pub frequentati dai vecchi che
portano nel corpo e nell'anima le ferite di
mille battaglie.
Tá sé in am don Athrú, gridano giovani e
anziani, replicando nella lingua degli avi il
nuovo slogan, opportunamente trascritto
dappertutto, affinché fosse ben chiaro che la
strada da percorrere è già asfaltata.
All'insegna di quel motto, auspicio di un futuro
rafforzato dal meraviglioso passato che si perde
nella notte dei tempi, un intero popolo spezzerà
le catene e marcerà, compatto, verso quella
meravigliosa radura che si chiama "Libertà".
Note:
1 Il pazzesco provvedimento ricalca quanto
recentemente accaduto in Italia con il
Superbonus 110%, sano nella forma e malato nella
sostanza, avendo favorito solo gli speculatori e
i truffatori. Nel Nord Irlanda la protagonista
dello scandalo fu il primo ministro Arlene
Foster, leader del Partito Unionista
Democratico, che nel 2012 svolgeva il ruolo di
ministro responsabile del progetto. I
proprietari delle case, di fatto, furono
incoraggiati a efficientare i sistemi di
riscaldamento passando dai combustibili fossili
alle energie rinnovabili, ricevendo dei sussidi
in base ai consumi, senza limiti di
contenimento.
2 Sotto il profilo politico, invece, assume
particolare rilevanza "il viaggio" percorso fino
a S.Andrew, in Scozia, con Ian Paisley, per
sottoscrivere il nuovo accordo. Non sapremo mai
cosa si siano detti i due durante il viaggio o
se effettivamente si siano parlati. Ma dopo aver
visto il film di Nick Hamm del 2016, intitolato
appunto "Il Viaggio", vogliamo credere che
effettivamente quel dialogo "immaginifico" sia
reale. In ogni caso hanno viaggiato insieme e
gli accordi da loro siglati, più ancora di
quelli del Venerdì Santo, hanno consentito di
far tacere le armi. Non è ancora tutto , ma è
già tanto.
Bibliografia essenziale. (In
ordine alfabetico per il nome di battesimo
dell'autore; l'anno di edizione può essere
diverso da quello reperibile in commercio in
funzione di nuove edizioni; i titoli scritti in
inglese non hanno avuto edizioni in italiano, ma
sono facilmente reperibili in lingua originale
nei principali web store).
Penetrare nello spirito di un popolo unico al
mondo è impossibile senza conoscerne gli aspetti
reconditi legati tanto al mito e alle leggende
quanto alla storia. A prescindere
dall'impossibilità materiale di citare tutti i
testi che andrebbero letti per viaggiare tra
spazio e tempo, ritengo tale fatica inutile
perché la materia è così complessa da risultare
fruibile solo da chi fosse in grado di
sviluppare autonomamente la passione necessaria
per dedicarsi al faticoso (ma stupendamente
fascinoso) approfondimento. Leggendo i testi
segnalati, se dovesse insorgere realmente "la
passione", ciascuno troverà facilmente la strada
per entrare in contatto con i Túatha Dé Danann,
con i Re Supremi, con il celtismo, con lo
spirito di Beltane, Imbolc, Lughnasadh e Samhain,
rendendosi conto di diventare un uomo migliore a
mano a mano che colmi le lacune con tutto ciò
che si era perso fino all'inizio del viaggio.
Bobby Sands, Un giorno della mia vita,
Universale Economica Feltrinelli, 1996
Bobby Sands, Scritti dal carcere. Poesie e
prose, Pagina 1, 2020
Gerry Adams, Free
Ireland: Towards a Lasting Peace, Brandon/Mount
Eagle Publication, 1995
Gerry Adams,
Before the Dawn: An Autobiography, O'Brien
Press, 1996
Gerry Adams, The
new Ireland - A vision for the future, Brandon
Books, 2005
Gerry Adams, A
Farther Shore: Irelands Long Road to Peace,
Random House Usa Inc, 2005
Paddy Armstrong,
Life after life: a Guildford Four Memoir, Gill
Books, 2017
Paul Hill, Anni Rubati, Dalai Editore, 1995
Riccardo Michelucci, Storia del conflitto
anglo-irlandese. Otto secoli di persecuzione
inglese, Odoya 2009
Riccardo Michelucci, Guerra, Pace e Brexit - Il
lungo viaggio dell'Irlanda, Odoya, 2022
Silvia Calamati, Qui Belfast. Storia
contemporanea della guerra in Irlanda del Nord,
Red Star Press, 2013
Filmografia essenziale (In ordine
alfabetico per titolo, seguito dal nome del
regista e dall'anno di uscita). Nell'elenco sono
compresi film in grado di far comprendere il
sostrato di fattori sociali, spirituali e
culturali di un popolo, senza censure
partigiane, pur essendo l'autore di questo
saggio uomo di parte. Sono stati esclusi solo
alcuni film palesemente fuorvianti, per lo più
di produzione statunitense, realizzati ad arte
per sostenere la Gran Bretagna nel dominio
dell'Irlanda del Nord, e quindi realizzati con
il chiaro intento "partigiano" di distorcere la
realtà dei fatti. Si tenga presente che, nella
cospicua produzione cinematografica
statunitense, ancorché pregna di prodotti
eccelsi, questa deleteria propensione
ingannatoria è comunque diffusa. Basti pensare
ai tanti film che, abilmente diretti e
magnificamente interpretati da bravissimi
attori, inducono all'uso delle armi e all'abuso
di psicofarmaci e di bevande alcoliche. Tutti
film lautamente finanziati dalle multinazionali
settoriali.
71, Yann Demange, 2014 / Amiche, Pat O'Connor,
1995
Ballando a Lughnasa, Pat O'Connor, 1998 / Barry
Lyndon, Stanley Kubrick, 1975
Belfast, Kenneth Branagh, 2021 / Bloody Sunday,
Paul Grengrass, 2002
Breakfast on Pluto, Neil Jordan, 2005 /
Calvario, John Michael McDonagh, 2015
Doppio gioco, James Marsh, 2012 / Evelyn, Bruce
Beresford, 2002
Fifty dead men
walking, Kary Skogland, 2008 / Gli spiriti
dell'isola, Martin McDonagh, 2022
Hunger, Steven
Rodney McQueen, 2008 / Jimmy's Hall, Ken Loach,
2014
Il campo, Jim Sheridan, 1990 / Il mio piede
sinistro, Jim Sheridan, 1989
Il segreto, Jim Sheridan, 2016 / Il vento che
accarezza l'erba, Ken Loach, 2006
Il viaggio (The journey), Nick Hamm, 2017 / La
figlia di Ryan, David Lean, 1970
La moglie del soldato, Neil Jordan,1992 / Le
ceneri di Angela, Alan Parker, 1999
L'ombra della vendetta, Oliver Hirshbiegel, 2009
/ Michael Collins, Neil Jordan, 1996
Nel nome del padre, Jim Sheridan, 1993 / Omagh,
Pete Travis, 2004
Philomena, Stephen
Frears, 2013 / The boxer, Jim Sheridan, 1997
The Commitments, Alan Parker,1991/ The General,
John Boorman, 1998
The snapper, Sthepen Frears, 1993 / Una scelta
d'amore, Terry George, 1996
Veronica Guerin - Il prezzo del coraggio, Joel
Shumacher, 2003
(Capitoli precedenti:
Confini nn. 106, 107, 109, 111, 112) |
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