CULTURA  
    di Fausto Provenzano    
       
    LA STORIA E LE STORIE    
   
I racconti di fatti personali, ai quali il volgo attribuisce il disvalore di non essere né sostenitori né sostenuti da valori di universalità (quasi che chi li riferisce si proponesse ipso facto di essere uno scrittore rinomato) sono invece la trama cui appendere, addirittura, la storia del mondo.
Non certamente la Storia, quella che venne definita "un'impostura che dura da secoli", ma la storia vera, quella che gli uomini, uno solo e tutti insieme, quotidianamente scrivono e appendono a quella "trama di sogni avidi che siamo" che è il tempo.
Quindi scrivere di fatti personali, anche quelli definiti minimi, vuol dire addentrarsi tra le fondamenta della storia dell'umanità e il fatto minimo che segue lo dimostrerà:
- due vecchietti seduti su di una panchina del paese marino, attraversato dalla ferrovia
- parlano fitti fitti raccontandosi reciprocamente qualcosa;
- io che, seduto loro accanto ho da un poco spento l'audio, non interessato dai loro discorsi;
- io che mi annoio e sto per andare altrove;
- la palma della piazzetta che oscilla ad una brezza di mare benvenuta;
- nel frattempo, un locomotore diesel elettrico mugghia avanti e indietro per formare un convoglio;
- il mare che si percepisce a tratti , secondo le manovre del convoglio;
- ad un tratto uno dei due dice all'altro "la combinai bella con questa pasta".
Sono passati almeno trent'anni da questo avvenimento, pure quella espressione è entrata a far parte del lessico familiare ad indicare le più svariate occasioni nelle quali abbiamo voluto usarla tra di noi, con assoluta certezza del significato assunto. Ciò ha causato commozione per la sua riproposizione all'interno di un gruppo del tutto estraneo a quello in cui la frase fu formata, restando del tutto ignari del seguito di questo incipit, di una frase che non ascoltai per intero.
Quindi una frase storica, paragonabile, si parva licet, a quante sono attribuite ai fantocci del passato, da Brenno a Cesare, da Napoleone a Garibaldi. Infatti di queste grandi mai e poi mai comprenderemo appieno il senso, mentre, dei due vecchietti, ce ne ricordiamo ancora e così faranno i miei discendenti nei 100/200 anni a venire, almeno come io mi ricordi di frasi e modi di dire della mia trisavola, veicolati fino a me da mia nonna e poi da mio padre.
Ora vi chiedereste invano come mai un così robusto e sostenuto prologo per un fatterello come questo, ma credetemi, non è così.
Si pensi solo al fatto che quei due vecchietti sono certamente passati a miglior vita e che di essi non rimane nulla ormai, non uno scritto, non un immobile, non un terreno, null'altro che quella frase, che per equità attribuisco a tutt'e due e che da me raccolta, farcita di senso, anzi di molti sensi, ora gira per sempre, (un sempre umano) per il mondo. Ora che da un fortuito autore, quale io sono, sia transitata dal suono della parola alla magia imperitura della stampa, vi pare poco? Ma ora i tempi sono maturi per riferire del secondo esempio collegato alla mia tesi.
Frequentavo il primo anno della facoltà di architettura, alla fine del quale avevo deciso di sostenere l'esame di Chimica Generale ed Applicata ai materiali.
Decisione saggia in quanto la intrinseca idiosincrasia degli aspiranti architetti alla nobile scienza della chimica si manifestava in tutta la sua virulenza nel fatto che questa materia e il relativo esame, erano causa della rinuncia di tanti ingegni ad accedere alla professione.
Entro nella sala d'aspetto e mi vedo circondato da padri di famiglia, che, da almeno dieci anni, tentavano di superare l'esame: l'incontro fatale, con il professore NLD, spauracchio di un intero corso di laurea, la cui materia si era fatta carico di sconsigliare la proliferazione di aspiranti geni dell'architettura, certamente a seguito di un'attenta valutazione del locale mercato professionale.
Dopo quattro o cinque bocciati, che escono dalla saletta esami sbattendo la porta e imprecando a tutte le formule stechiometriche, alle valenze, alle madri delle molecole etc. viene il mio turno e mi dirigo al patibolo, certo dell'esito infausto riservatomi dal boia.
Ora dovete sapere che il prof. NLD era un bassetto acido (o basico?) dall'aria autoritaria che era tanto convinto della necessità che la chimica facesse parte dell'indispensabile bagaglio della formazione dell'architetto da arrivare a sostenere, ogni anno, durante la prolusione al corso, che un architetto sempre dovesse effettuare la analisi dell'acqua da usare nel cantiere; da solo, ricercando joni sciolti, il grado di durezza francese, il ph, il residuo fisso, abbassamento crioscopico (?) etc.
Tanto infervorato era in questa narrazione che pareva di vederli i muratori circondare lo stregone dal caschetto rosso, mentre armeggia con storte ed alambicchi, pareva di sentirlo l'hurrà che si levava all'esito positivo, la delusione, al contrario, fino a decretare che a causa del grado di durezza, e dell'infausto Ph, non era possibile realizzare quella casa e, quindi tutti a casa.
Questo era l'uomo.
Premetto che a corroborare il mio stato di terrore aveva contribuito, la mattina prima dell'inizio degli appelli, l'essere andato al bar di fronte la facoltà per un caffè e ivi avessi notato il prof NLD che, alterato e quasi urlando concionava con un collega, certamente perito di controparte, di un incidente avvenuto a seguito di un crollo della pensilina di uno stadio.
La loro conversazione si agiva ai massimi livelli, con tesi contrapposte, ma certamente ambedue sostenute da valide considerazioni scientifiche, circa le cause del crollo.
L'uno sosteneva che…
L'altro ribadiva invece che…
Essendo i due sempre più alterati, ne conclusi che il clima non era certo propizio a che il boia ungesse di adeguato sapone il nodo della corda e davo, ormai per scontata, la mia morte con ignominia.
Mi siedo e, senza neanche guardarmi in volto, il prof comincia: “mi spieghi il processo della pila di Volta"
Domanda apparentemente facile che mi fece farfugliare, non senza pentimenti e riprese patetiche, una lunga risposta, quasi inadeguata.
Notavo che il prof. era del tutto assente e ancora accigliato: forse, pensai, per lo scontro culturale-scientifico avuto da poco con l'illustre collega, perito di controparte.
Ad un tratto lui si sveglia dallo stato di risentito torpore e mi fulmina:
"un caso pratico ora. Si verifica il crollo di una pensilina…. lei che ne pensa?"
Un mondo di possibilità ora si apre al mio spirito e agogno a giocarmi la partita fino in fondo, Già mi vedo con un casco giallo tracciare le strade del mio futuro luminoso e senza più ostacoli e comincio:
"il caso è complesso… io non sono certo all'altezza… ma se proprio dovessi dire la mia…" e sciorino disordinatamente le dieci parole chiave che avevo ascoltato proferite dal prof al collega al bar.
Attivo un'aria dimessa e umile, proprio dei veri scienziati, un parlare misurato di chi tasta il terreno scivoloso in cui va addentrandosi, senza proferire contrapposizioni con la tesi del collega, quanto piuttosto contrapponendola alle cinque parole chiave che avevo sentito dall'altro, e che ne traesse lui stesso la mia preferenza per la tesi del citato NLD.
Non concludo la mia esposizione, e come avrei potuto d'altronde? che il professore NLD scatta in piedi, in un empito di partecipazione commossa mi afferrale mani e, stringendole con commozione, quasi urlando:
"lei sa cose che professori ordinari della facoltà di scienze sconoscono"
E altri complimenti che mi procuro di incassare con malcelata soddisfazione.
"io le metto il primo 30 e lode della mia lunga carriera. Anzi ho piacere di offrirle un caffè giù al bar."
Temendo gli esiti di una sopraggiunta lite, il bidello che da lustri assisteva a quello scannatoio, si allarmò, scolorì in volto e si fece da parte, mentre il professore raggiungeva la porta e mi prendeva sotto braccio.
L'indescrivibile sorpresa, alla vista di quanto si verificava sotto i loro occhi, convinse subito i padri di famiglia che avevano sentito le voci entusiaste provenienti dalla saletta degli esami delle due possibilità: o che io, malgrado il cognome, fossi un figlio naturale del prof, o che, in realtà, fossi l'ultimo discendente della famiglia Lavoisier, a motivo del tanto onore che mi era tributato.
La notizia del mio exploit velocemente si diffuse e, da allora, tanti colleghi, "padri di famiglia", mi si rivolgevano perché correggessi i loro appunti o spiegassi loro il ciclo della formaldeide, ed altre utilissime notizie da trasferire a forza nel lavoro quotidiano che fu di Le Corbousier:
Misteri alchemici che, ancor oggi, lungi dall'intrigarmi, mi trovano del tutto insipiente.
Ecco come può accadere, e di fatto accade, che un equivoco consegni alla storia un genio scientifico che ebbe la fortuna di non essere oggetto di ulteriori approfondimenti.
L'equivoco tuttavia lasciò tutti contenti: in primis il professor NLD che ebbe la soddisfazione di aver scoperto un genio nella sua materia, proprio al tramonto della sua carriera; i "padri di famiglia" che da allora possono ancora sperare in una botta di fortuna che allevi la disperata certezza della bocciatura; io per ovvi motivi.
E, quasi dimenticavo, la Storia, che si confermò così di essere generata dal caso, come essa stessa da tempo sospettava.

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