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RENZI-CALENDA:
ATTENTI A QUEI
DUE |
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Matteo Renzi e
Carlo Calenda?
Guai a
sottovalutarli.
Oggi litigano
sulla
costruzione del
partito unico
dei riformisti,
ma descriverli
come due figli
di papà che per
farsi
reciprocamente
dispetto rompono
il giocattolo è
quantomeno
semplicistico e
fuorviante. La
rottura,
intervenuta tra
i due, ha
motivazioni
serie, per
comprendere le
quali non
occorrono
espressioni
caricaturali.
Azione e Italia
Viva, preso atto
del fallimento
di un progetto
ardito, devono
necessariamente
riposizionarsi.
E proprio il
riposizionamento
strategico
risulta al
momento
impraticabile
nella
combinazione
unitaria per la
semplice ragione
che tra le due
forze politiche,
di là dalla
convergenza su
un programma
elettorale e
sulle
candidature, non
vi sia una
visione
condivisa circa
la futura
collocazione
dell'area
centrista sulla
scena politica.
Ma facciamo un
passo indietro.
Prima Matteo
Renzi, poi Carlo
Calenda lasciano
il Partito
Democratico
nella
convinzione che
una terza via al
bipolarismo,
radicato nella
contrapposizione
frontale tra un
centrosinistra e
un centrodestra,
sia possibile
anche in
costanza di una
legge elettorale
- il Rosatellum
- che premia le
aggregazioni
coalizionali.
L'idea, benché
suggestiva,
viene
letteralmente
demolita dalla
successione dei
risultati delle
urne riscontrati
in cinque
tornate
elettorali - una
per le Politiche
e quattro per le
Regionali in
Sicilia, nel
Lazio, in
Lombardia e in
Friuli-Venezia
Giulia -
tenutesi tra il
settembre dello
scorso anno e
questo mese di
aprile.
Indipendentemente
da chi le abbia
vinte e chi
invece le abbia
perse, il dato
politico
decisivo, emerso
dal voto, è dato
dall'incontrovertibile
volontà degli
italiani di
preferire il
sistema bipolare
a soluzioni che
lascino mani
libere alle
forze partitiche
di combinare in
Parlamento
maggioranze di
governo non in
linea con gli
orientamenti
dell'elettorato.
Il progetto
costruito da
Renzi e Calenda
puntava a
incuneare
un'area di
centro tra i due
schieramenti
principali, che
avesse tale
forza numerica
in Parlamento da
annichilire le
vocazioni
maggioritarie
della sinistra e
della destra e
ne impedisse
l'autosufficienza
ai fini della
costruzione di
maggioranze di
governo.
Sappiamo com'è
andata. Lo
scorso 25
settembre la
lista
Azione-Italia
Viva per Calenda
presidente ha
ottenuto alla
Camera dei
deputati il 7,79
per cento dei
consensi e 21
seggi; al Senato
il 7,73 per
cento e 9 seggi.
Se alle
Regionali in
Sicilia,
svoltesi in
contemporanea
con il voto per
le politiche, la
lista
Azione-Italia
Viva ha
replicato il
risultato
nazionale (7,79
per cento),
successivamente
nel Lazio, dove
la lista
Calenda-Renzi si
presentava in
coalizione con
il Partito
Democratico, ha
ottenuto il 4,86
per cento; in
Lombardia, dove
il Terzo polo
sosteneva la
candidatura
dell'outsider
Letizia Moratti,
ha conseguito il
4,25 per cento;
in
Friuli-Venezia
Giulia, con un
proprio
candidato, ha
ottenuto il 2,73
per cento.
Alla luce di un
tonfo clamoroso
i due leader
centristi non
potevano non
pensare a un
riposizionamento
strategico che
coinvolgesse il
processo di
unificazione dei
due partiti in
un unico
soggetto
politico. La
fase di
transizione
prevedeva, come
primo step, la
creazione di un
contenitore
unico nel quale
fare confluire i
gruppi
parlamentari di
Azione e Italia
Viva; in seconda
battuta, lo
scioglimento dei
due partiti e la
costituzione di
un soggetto
politico unico.
Ora, se il primo
step non è messo
in discussione
per evidenti
convenienze,
anche
economiche, a
presentarsi
uniti in
Parlamento,
quello che è
saltato in
queste ore è il
secondo step.
Perché? Le
questioni poste
da uno stizzito
Carlo Calenda
sull'indisponibilità
di Renzi a
sciogliere
anticipatamente
Italia Viva e a
mettere in
comune la cassa
appaiono
risibili.
Verosimilmente,
il leader di
Azione, con
l'elezione
dell'ultra
progressista
Elly Schlein
alla guida del
Partito
Democratico, ha
visto profilarsi
la possibilità
di diventare un
punto di
attrazione per
la corposa area
liberale-riformista
del Pd,
pesantemente
penalizzata
dalla svolta a
sinistra
intrapresa dal
nuovo corso del
partito.
Plausibilmente,
Calenda pensa di
rappresentare
una sorta di
gruppo di élite
che faccia da
contrappeso
pensante a un
poco riflessivo
e massimalista
movimentismo
impersonato
dalla "liberal"
Schlein. Ciò
comporterebbe
una collocazione
degli
"azionisti" di
Calenda in forma
organica nel
campo del
centrosinistra,
sulle orme
dell'esperienza
politica del
Partito
d'Azione, nato e
vissuto tra il
1942 e il 1947 e
al quale con
ogni evidenza
Carlo Calenda ha
inteso ispirarsi
nella scelta del
nome del suo
movimento
politico.
Tuttavia, il
Partito
d'Azione,
nonostante i
magri risultati
riportati alle
elezioni del 2
giugno 1946 per
l'Assemblea
costituente, non
mancò di fornire
alla nuova
Italia
repubblicana,
che sorgeva
dalle ceneri
della tragedia
della Seconda
guerra mondiale,
un personale
politico di
altissima
qualità, che è
agli onori della
storia della
nazione. Ora,
senza scadere
nella volgarità,
viene difficile
pensare che
Calenda possa
convincerci del
fatto che, come
nella celebre
aria del
Rigoletto, una
Mariastella
Gelmini e una
Mara Carfagna,
"questa o quella
pari sono", in
quanto a statura
politica, a un
Ferruccio Parri,
un Ugo La Malfa,
un Riccardo
Lombardi, un Leo
Valiani. Ma
tant'è.
Matteo Renzi,
invece, non
abdica all'idea
di rappresentare
il "terzo
incomodo" alla
tavola dei
grandi. Ciò
comporta il
rafforzamento di
una libertà
assoluta da
vincoli che lo
legherebbero a
uno dei due poli
maggiori. La
tattica corsara
di Matteo Renzi
sta
nell'affiancarsi
episodicamente,
cioè senza
cementare
rapporti
organici,
all'una o
all'altra delle
coalizioni, a
seconda degli
interessi della
propria base
elettorale,
delle
convenienze dei
dirigenti del
partito e del
momento storico.
Attraverso tale
chiave deve
essere
interpretata la
decisione,
tutt'altro che
bizzarra, di
Matteo Renzi di
assumere la
direzione
editoriale del
quotidiano Il
Riformista.
Forte di un
rapporto con
l'editore,
Alfredo Romeo,
che risale ai
tempi in cui un
giovane Renzi
faceva il bello
e il cattivo
tempo da Palazzo
Chigi, il leader
di Italia Viva
intende usare il
tema del
garantismo per
sollecitare una
qualche
scomposizione
nel traballante
mondo
post-berlusconiano
di Forza Italia.
Non a caso,
Renzi ha
chiamato a
ricoprire il
ruolo di
direttore
responsabile del
giornale l'ex
parlamentare
forzista Andrea
Ruggieri, caro a
Silvio
Berlusconi e al
suo potente zio,
Bruno Vespa.
Renzi si prepara
a un lungo ed
estenuante
stop-and-go con
il Governo
Meloni nella
convinzione di
poter trarre
profitti
elettorali da
un'opposizione
"diversamente
dialogante" con
la maggioranza.
Tale schema
tattico è
assolutamente
inconciliabile
con il
riposizionamento
a cui pensa
Calenda. A
tentare una
previsione
possiamo dire
che il
contenitore
unico per Azione
e Italia Viva,
posto sotto il
segno zodiacale
del progressismo
liberale-progressista
macroniano,
resterà attivo
almeno fino alle
Europee del 2024
dove, per
conquistare
seggi
all'Europarlamento,
bisognerà
superare la
soglia di
sbarramento del
4 per cento
(Legge 10/2009).
Invece, il
futuro unitario
del Terzo polo
resta in mente
Dei. Anche se
dubitiamo che
financo il
Padreterno ci
abbia capito
qualcosa del
rapporto tra
quei due. Carlo
e Matteo.
Aggiornato il 15
aprile 2023 alle
ore 10:06
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IN FRIULI IL
CENTRODESTRA
VINCE E CONVINCE |
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Il centrodestra
ha stravinto
alle Regionali
in
Friuli-Venezia
Giulia. Il
candidato
Massimiliano
Fedriga,
presidente
uscente, passa
con una
percentuale di
consenso
significativa
(64,24 per
cento). La
sinistra, che ha
riunito nel
campo largo
Partito
Democratico,
Movimento Cinque
Stelle, Alleanza
Verdi-Sinistra,
è stata
terremotata
(28,37 per
cento).
Alessandro Maran,
candidato per il
Terzo Polo di
Matteo Renzi e
Carlo Calenda:
non pervenuto
(2,73 per
cento).
Le vittorie, in
genere, hanno
molti padri e,
mai come in
questo caso, è
giusto
riconoscerlo.
Fedriga, nei
cinque anni del
precedente
mandato, ha
fatto un ottimo
lavoro
dimostrando di
avere una
visione del
futuro del suo
territorio che i
cittadini hanno
compreso e
apprezzato. Di
certo, il
candidato della
coalizione di
centrodestra ha
beneficiato
dell'onda lunga
del gradimento
che il Paese sta
dimostrando al
Governo di
Giorgia Meloni.
Ed è ugualmente
vero che la poca
credibilità del
sodalizio tra
estranei, che ha
caratterizzato
il rassemblement
a sinistra, sia
stata un fattore
di spinta per la
riconferma di
Fedriga. I
numeri ottenuti
dalle singole
liste lo
attestano. Il
Partito
Democratico,
primo tra quelli
dell'opposizione,
si piazza quarto
nel computo
generale con il
16,49 per cento
dei voti. É
dietro alla Lega
(19,02 per
cento), a
Fratelli
d'Italia (18,01
per cento) e
alla lista
Fedriga
presidente
(17,77 per
cento). I Cinque
Stelle si sono
letteralmente
dissolti (2,4
per cento).
Segno che
l'ipotesi della
terza via,
padroneggiata
dal qualunquismo
populista
dell'utopia
grillina, alla
quale in passato
- alle Politiche
del 2018, acme
del successo
pentastellato -
i friulani
avevano concesso
ampio credito
(24,57 per
cento, Camera
dei deputati),
non è risultata
minimamente
attrattiva
quando c'è stato
da scegliere per
il Governo del
territorio.
L'esito
elettorale in
Friuli dimostra
che la
polarizzazione
della lotta
politica in due
blocchi
contrapposti si
conferma la
declinazione del
principio
democratico
preferita dagli
italiani. In
tale ottica, il
voto che
consegna il
Terzo Polo, e
con esso tutte
le suggestioni
neo-centriste,
all'irrilevanza
lo si può
definire
paradigmatico in
vista del
consolidamento
del bipolarismo
per le prossime
scadenze
elettorali, a
eccezione delle
Europee,
modellate sul
sistema
proporzionale. I
media organici
alla sinistra,
visti i
risultati
devastanti per i
loro sponsor
politici, si
sono affrettati
a separare le
responsabilità
della nuova
leader del
Partito
Democratico,
l'ultra
progressista
Elly Schlein,
dagli esiti
delle urne
friulane,
arrivando a
sostenere, con
una spericolata
acrobazia
argomentativa,
che la sconfitta
dovesse essere
messa nel conto
della precedente
gestione del
partito. Non è
così. L'effetto
Schlein c'è
stato e,
verosimilmente,
è servito ad
arginare uno
smottamento che,
nelle condizioni
pregresse
determinate
dall'anarchia
feudale della
stagione
lettiana,
sarebbe stato
ancor più
disastroso. La
verità è che si
sono
fronteggiati due
modelli di
società
sostenuti dalle
organizzazioni
partitiche le
quali,
nell'ambito dei
rispettivi
schieramenti,
risultano più
assertive
rispetto alla
radicalizzazione
del confronto
politico. In
tale schema, la
destra ha vinto
e la sinistra ha
perso. Tuttavia,
il pur nitido
risultato non
deve indurre i
vincitori a
cullarsi sugli
allori.
C'è un dato,
poco rimarcato,
che interviene a
guastare la
festa al
centrodestra e a
gettare un'ombra
sulla brillante
vittoria di
Fedriga. È
quello
dell'affluenza.
Troppo bassa per
passare
inosservata e
per non destare
preoccupazione.
Su 1.109.395
aventi diritto
al voto si sono
recati alle urne
in 502.209, cioè
il 45,27 per
cento del corpo
elettorale. È un
segnale forte
per il
neo-governatore,
che ha cinque
anni a
disposizione per
convincere più
della metà dei
suoi
concittadini a
riappropriarsi
della fiducia
nella politica.
Il Venezia
Giulia ha un
passato
industriale di
tutto rispetto
al quale
vorrebbe
rapidamente
tornare. Basti
pensare che
appena qualche
anno fa, nel
2015, il
Friuli-Venezia
Giulia era, dopo
il Piemonte e
insieme al
Veneto e alle
Marche, tra le
regioni più
industrializzate
d'Italia (fonte:
Prometeia) con
un comparto
manifatturiero
in grado di
pesare per il 38
per cento
sull'economia
regionale e un
tessuto
imprenditoriale
di circa 7mila
aziende. Le
crisi che si
sono susseguite
in questi anni
hanno colpito
duramente
l'apparato
produttivo
friulano.
Oggi cosa
chiedono
principalmente
gli attori della
produzione al
Governo
regionale? Non
sussidi e
prebende ma
un'accelerazione
sul versante
dell'infrastrutturazione
del territorio,
dell'innovazione
tecnologica,
della
sburocratizzazione
e delle misure
atte a rendere
più competitive
le produzioni
locali sui
mercati
nazionali ed
esteri. Tale
istanza viene
evidenziata dal
successo -
inatteso per i
media - della
Lega. Il fatto
che il partito
di Matteo
Salvini sia
tornato a essere
il più votato
nelle terre del
confine
nord-orientale
del Paese ha un
preciso
significato. Se
gli elettori
friulani
l'avessero
voluta punire,
senza per questo
autolesionisticamente
consegnarsi alle
follie
ultra-progressiste
della sinistra,
avrebbero votato
in massa per
Fratelli
d'Italia, come è
accaduto alle
Politiche dello
scorso settembre
quando il
partito di
Giorgia Meloni
ha ottenuto uno
storico 31,30
per cento di
consensi contro
il 10,95 per
cento della
Lega. Avrebbero
potuto optare
per un voto alla
lista del
presidente
Massimiliano
Fedriga, con ciò
distinguendo
platealmente tra
l'apprezzamento
per la persona
del governatore
uscente e il
partito di cui
questi fa parte.
Non è accaduto.
Perché?
Si può desumere
che un'apertura
di credito non
sia stata
soltanto offerta
a Fedriga ma che
anche Matteo
Salvini ne abbia
beneficiato. Non
il Salvini
"capopopolo"
sovranista e
anti-europeo e
neppure il
Salvini truce
ministro
dell'Interno del
Conte I, ma il
Salvini dal
basso profilo,
titolare del
dicastero delle
Infrastrutture
del Governo
Meloni, che sta
dimostrando di
far presto e
bene il suo
mestiere. Il
premio concesso
dall'elettorato
friulano alla
coppia
Fedriga-Salvini
va a innestarsi
sull'asse
Trieste-Roma per
la realizzazione
in tempi
accelerati di
quelle opere
pubbliche
funzionali alla
ripresa
economica del
territorio
regionale. È
questo il dato
politico
centrale che il
risultato
elettorale ci
restituisce. Ed
è questa la
chiave per
sistematizzare
una prassi di
Governo del
centrodestra,
non limitandola
ai soli
territori del
Nord ma
estendendola
all'intero
Paese. Sembrerà
pure una
previsione
forzata, ma
siamo convinti
che in ciò che è
accaduto in
Friuli la scorsa
domenica e
lunedì vi siano
contenuti i
fattori di
stabilità che
potranno portare
il centrodestra
a governare una
fase storica
ultradecennale
alla guida della
nazione.
Adesso il
pallino passa
nelle mani di
Giorgia Meloni,
di Matteo
Salvini e, più
marginalmente,
di Silvio
Berlusconi. Sta
a loro
giocarselo al
meglio delle
proprie
possibilità,
lasciando che la
sinistra giri a
vuoto
continuando a
fomentare lunari
polemiche a
sfondo
etico-ideologico,
assolutamente
minoritarie
nell'idem
sentire degli
italiani. Se, in
questi anni,
l'istanza
primaria
dell'elettorato,
capita dalla
Meloni e non
dagli altri -
alleati o
competitori che
fossero - poteva
riassumersi
nella parola
"coerenza",
d'ora in avanti
il claim
appropriato per
descrivere le
aspettative
degli italiani
sarà
"concretezza".
Il discrimine
che segnerà la
linea di confine
tra il successo
e la sconfitta
starà nella
capacità di fare
le cose di cui
gli italiani
hanno bisogno
per rimettersi
in piedi e
ripartire. Non è
già questa una
bella notizia? A
noi sembra che
lo sia davvero. |
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NELL'ITALIA
DELLE CULLE
VUOTE |
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Accade che,
mentre la
politica
s'impantana su
questioni prive
di valore
sostanziale,
piomba sulle
nostre vite, e
sui nostri
sogni, come un
macigno
scagliato
dall'alto di una
rupe, la dura
sentenza
dell'Istat a
proposito della
curva
demografica
italiana. Non
passa giorno che
ciascuno dei
protagonisti
della politica
non si faccia
avanti per
illustrare la
sua personale
visione del
mondo che verrà,
non
preoccupandosi
minimamente che,
di questo passo,
non ci saranno
più italiani a
cui trasmettere
ciò che le
generazioni
precedenti hanno
lasciato in
eredità.
Secondo il
report
dell'Istat sulla
dinamica
demografica nel
2022, al 31
dicembre 2022 la
popolazione
residente in
Italia ammonta a
58.850.717
unità, -179.416
rispetto alla
stessa data del
2021 (-0,3 per
cento). Siamo di
recente venuti
fuori da una
pandemia che ha
fatto strage tra
i nostri
connazionali, ma
non può essere
il Covid la
spiegazione
sufficiente a
giustificare
l'impressionante
calo
demografico. Con
le sole
eccezioni del
2003 e del 2006,
il saldo
naturale resta
negativo da
trent'anni. È
dal 1993 che
muoiono in
Italia più
persone di
quanto ne
nascano. Nel
quadriennio
2019-2022, il
rapporto tra
morti e nati si
è stabilizzato
su un saldo
negativo del
-0,3 per cento,
con un picco nel
2020 a -0,7 per
cento, motivato
dall'esplosione
pandemica.
Il fenomeno
rilevato
dall'Istat non
riguarda, come
in passato,
alcune zone
geografiche più
interessate
rispetto ad
altre dagli
effetti dello
spopolamento, ma
si spalma in
modo omogeneo
sull'intero
territorio
nazionale. Se a
Nord, nel 2022,
è andata un po'
meglio (-0,1 per
cento), nel
Mezzogiorno è
stato registrato
il calo più
significativo
(-0,6 per
cento). Il
Centro, invece,
si è tenuto
nella media
generale (-0,3
per cento). Il
calo demografico
determina un
sempre più
rapido
invecchiamento
della
popolazione.
All'inizio di
questo secolo
l'età media
italiana era di
41,9 anni, nel
2021 è salita a
46,2 anni. Se,
in ipotesi, si
continuasse su
questo trend,
alla fine del
secolo l'età
media italiana
corrisponderebbe
a quella
dell'accesso
alla pensione.
Si obietterà: vi
sono molti
sistemi per
rimediare al
crollo
demografico.
Vero, ma se
scartiamo quello
naturale della
regolare
successione
delle
generazioni, dal
momento che il
tasso di
fecondità totale
italiano - cioè
il numero medio
di figli per
donna in età
feconda (tra i
15 e i 49 anni)
- è pari a 1,25,
quindi
lontanissimo da
quel 2 che
consentirebbe di
mantenere
stabile il dato
numerico della
popolazione,
resta soltanto
da considerare
il ricorso ai
rimedi
artificiali.
Il primo tra
questi è
l'immissione nel
tessuto
socio-economico
italiano di una
massa
d'immigrati di
proporzioni tali
da riportare in
positivo il
saldo
demografico. Su
questa linea è
attestata la
sinistra. E ciò
spiega il
perché, negli
anni in cui ha
governato, non
solo non ha
fatto nulla per
impedire
l'arrivo
indiscriminato
di masse
d'immigrati
illegali ma ha
deliberatamente
operato per
incentivare i
flussi migratori
verso il nostro
Paese. In tale
ottica, si
comprende
perfettamente la
tentazione dei
progressisti di
intervenire
sulla legge che
disciplina la
concessione
della
cittadinanza a
persone
straniere,
rendendola più
elastica e a
maglie più
larghe di quella
attuale. Ancor
più si comprende
il motivo per il
quale i
progressisti
stiano soffiando
sul fuoco della
propaganda per
ottenere la
legalizzazione
delle
registrazioni
all'anagrafe dei
figli di coppie
omogenitoriali.
L'assunto
iniziale è: se
la famiglia
naturale non è
più il totem
intorno al quale
si costruisce la
società, è
giusto che ogni
persona si
procuri la
genitorialità
per proprio
conto, anche se
tale ricerca
dovesse
comportare una
transazione
commerciale per
essere conclusa
positivamente.
La destra,
all'opposto, da
sempre punta
sulle misure
d'incentivazione
alla natalità
per colmare il
deficit
demografico.
Lodevolissimo
proposito,
sebbene un
tantino
utopistico
quando sganciato
da radicali
politiche
sociali, al
momento
impraticabili
alla luce del
quadro
economico-finanziario
del Paese.
Parliamoci
chiaro, come si
può pretendere
da una coppia di
giovani di
mettere su
famiglia e fare
i figli quando
il lavoro non
c'è, e se c'è è
precario o non è
adeguatamente
remunerativo per
sostenere i
costi di un
ménage
familiare?
La nazione si è
consegnata al
declino
demografico nel
momento in cui
ha cancellato
dalle proprie
priorità le
politiche
abitative. È dal
"Piano Fanfani"
del febbraio
1949 che in
Italia non vi è
stato un
massiccio
investimento
nell'edilizia
pubblica
residenziale.
Senza una casa a
costo agevolato
e senza un
lavoro stabile e
ben remunerato,
è da pazzi
pretendere che i
nostri ragazzi
si mettano a
fare figli. Né
può valere in
eterno la
soluzione del
welfare
domestico, in
base al quale le
pensioni dei
nonni vengono
impegnate per
aiutare i nipoti
a sopravvivere.
Ciononostante,
fa bene il
Governo Meloni a
insistere
sull'estensione
delle misure a
favore della
natalità.
Tuttavia,
bisogna essere
consapevoli del
fatto che non si
svuota l'oceano
con un
cucchiaio.
Allora che si
fa? Ci si
arrende alla
sinistra e alla
sua promessa di
fare dell'Italia
l'hotspot del
mondo? Niente
affatto. Se è
che bisogna
guardare
nell'immediato
ai rimedi
artificiali, si
punti lo sguardo
nella giusta
direzione. La
difesa
dell'identità
nazionale è un
valore pari, se
non superiore, a
quello
dell'inclusione
del diverso da
noi. Perché,
come ebbe a dire
l'allora
arcivescovo di
Bologna,
cardinale
Giacomo Biffi, a
una conferenza
sull'immigrazione,
organizzata nel
settembre 2000
dalla Fondazione
Migrantes: "Una
consistente
immissione di
stranieri nella
nostra Penisola
è accettabile e
può riuscire
anche benefica,
purché ci si
preoccupi
seriamente di
salvaguardare la
fisionomia
propria della
nazione".
Si cominci
allora a
dialogare con
gli italiani
residenti
all'estero.
Attualmente
risultano
iscritti
all'Anagrafe
degli italiani
residenti
all'estero
(fonte:
Ministero degli
Esteri)
5.486.081
persone, di cui
869mila nella
sola Argentina.
Se una quota di
costoro
decidesse di
fare ritorno -
con i propri
discendenti -
nella
Madrepatria, la
curva
demografica ne
beneficerebbe.
Sono italiani o
figli e nipoti
di italiani e
questa è la
terra in cui vi
sono le loro
radici. Ora, tra
le molte
attività che
verranno
finanziate
nell'ambito del
Piano nazionale
di resistenza e
resilienza (Pnrr)
ce ne è una che
riguarda
l'accoglienza
dei discendenti
degli italiani
emigrati
all'estero nei
secoli scorsi.
Si chiama
"turismo delle
radici". Ma
perché limitarsi
a programmare a
soli scopi
turistici il
ritorno nella
terra dei padri
di persone
cresciute in
altri Paesi?
Perché non
pensare a una
"legge del
ritorno" sulla
falsariga di
quella in vigore
in Israele dagli
anni Cinquanta
del secolo
scorso? La legge
israeliana
garantisce la
cittadinanza a
ogni persona di
discendenza
ebraica ma di
altra
nazionalità,
purché si
trasferisca in
Israele con
l'intenzione di
rimanervi. Si
potrebbe fare
anche da noi,
aggiungendo alla
cittadinanza una
serie di
agevolazioni per
un immediato
inserimento
lavorativo oltre
a facilitazioni
per la
sistemazione
abitativa.
Abbiamo un
colossale
problema di
spopolamento
della dorsale
appenninica.
Perché non
pensare di
recuperare quei
luoghi
meravigliosi,
ricchi di
bellezza e di
memoria,
affinché possano
tornare a
vivere?
Comprendiamo
l'egoismo di
molti nostri
connazionali che
si domandano: se
non prendiamo
gli immigrati
chi ci pagherà
domani le nostre
pensioni? La
preoccupazione è
legittima,
mentre il
rimedio non lo è
quando si
manifesta in
forma di
invasione di
irregolari.
Bisogna
decidersi. Si
preferisce la
soluzione
comoda, costi
quel che costi
alla tenuta
della coesione
intracomunitaria,
oppure si è
pronti a qualche
sacrificio per
salvare ciò che
ci è stato
lasciato in dono
dai nostri
progenitori? Non
stupisce che non
siano pochi
quelli che, col
pretesto del
buonismo, sono
più che
disponibili a
spalancare le
porte della
nazione a
chiunque purché
i propri
interessi
vengano
garantiti. Per
quanto ci
riguarda, saremo
pure degli
irredimibili
sentimentali, ma
le persone che
hanno venduto le
fedi nuziali dei
propri genitori
e i gioielli di
famiglia
ricevuti in
eredità, per
potersi
permettere la
vacanza in
qualche località
alla moda, non
ci sono mai
piaciuti. E mai
potranno
piacerci.
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POLITICA |
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RICETTA MARINARA |
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Tra meno di una
settima, se il
Buon Dio me lo
consentirà,
inizierò a
vivere
l'ottantesimo
anno della mia
non breve vita
su questa terra.
Il, come si suol
dire, "combinato
disposto" di
anzianità di
servizio
esistenziale ed
il fatto di
essere appena
uscito, forse
(!?), da gravi
problemi di
salute, mi
induce dunque a
togliermi -
senza
particolari
titubanze e
prendendo in
prestito un
termine equestre
(o equino che
dirsi voglia) -
la testiera, o
testale che sia,
dell'attuale,
opprimente,
frustrante e
castrante
"correttezza
politica" di
lessico ed idee
e dare sfogo ad
un libero
discorso con
l'unico vincolo
della coerenza
logico-espositiva
E vengo al
punto. Cioè, a
quel fritto
misto dai sapori
non soltanto
molto variegati,
ma anche
sommamente
contraddittori,
che potremmo
semplicemente
definire
"disordinata
immigrazione
dall'Africa
sub-sahariane"
veicolata, ed
integrata a sua
volta, dal
concorso sia in
accondiscendenza
politica che in
notevole
contribuzione di
afflusso
numerico, degli
stati islamici
della sponda Sud
del mar
Mediterraneo.
Tralascio al
momento , e
volutamente, il
discorso
relativo agli
autentici
profughi
politici dal
medio-oriente e
dall'Afghanistan
la cui lettura
del fenomeno
merita
tutt'altra
caratura e
conseguente
rispetto di
carattere,
diciamo,
storico.
E cominciamo
innanzitutto dal
lessico, croce e
delizia, a
seconda dei
casi, di ogni
descrizione e/o
stortura dei
vari fenomeni
esistenziali.
S.O.C.C.O.R.S.O
(Aiuto prestato
a chi si trova
in situazioni di
pericolo
imminente o di
grave
necessità.). I
mezzi-busti (e,
naturalmente, le
mezze -buste) di
tutte, dico
tutte, le TV
nazionali e gli
scrivani di
tutti, o, almeno
quasi tutti, i
giornaloni ed i
giornalini del
nostro beneamato
paese
accreditano,
senza se e senza
ma, l'assioma
(Principio
evidente per sé,
e che perciò non
ha bisogno di
esser
dimostrato,
posto a
fondamento di
una teoria
deduttiva; com.,
principio,
massima) secondo
cui chiunque,
caratterizzato
come emigrante,
si trovi in mare
e non, dicesi
non, stia a
bordo, di,
chessò, un
transatlantico
della Costa
Crociere, debba
essere
s.o.c.c.o.r.s.o
(sic !) sempre e
comunque. Vi
prego, cerchiamo
di ragionare:
affinché scatti
in automatico il
concetto del
soccorso c'è una
esigenza di
ineludibile
natura logica e
cioè che a monte
di ogni e
qualsivoglia
ragione per un
tale intervento
vi sia
l'imprescindibile
condizione
dell'incidente,
dell'imprevisto,
dell'imponderabile
casualità.
I naufraghi del
"Titanic" non
dovevano
trovarsi affatto
nello stato nel
quale si vennero
a trovare e cioè
a mollo
nell'Atlantico.
La loro naturale
condizione era
quella di
passeggeri sulla
più grande nave
del mondo in
serena rotta per
New York.
Soltanto il
caso,
l'incidente,
l'errore umano
involontario, il
fato avverso, la
si metta come si
preferisce,
causarono il
tragico evento.
Ed ecco, per
inciso, il
motivo per il
quale io vado ai
matti quando
sento, ad
esempio, dire
dall'apposito
mezzo busto TV
che l'elicottero
del Servizio
alpino ha
s.o.c.c.o.r.s.o
l'imbecille di
turno sorpreso
da una tempesta
sul Cervino in
maglietta ed
infradito (tanto
in pianura si
moriva dal
caldo!). No! Il
sullodato non è
stato soccorso:
a causa della
sua imprudenza è
stato recuperato
e preso a bordo.
Se parliamo di
soccorso
chiamiamo
indirettamente
in causa,
l'incidente,
l'imponderabile
con la
pericolosa
conseguenza di
de-responsabilizzare
di fatto la
posizione
dell'interessato
al fine di
suscitare a suo
favore
commiserazione e
solidarietà
piuttosto che
esplicita
condanna per un
atto imprudente
e pericoloso sia
per se stessi
che per chi si
dovrà poi
preoccupare di
andarlo a "p.r.e.n.d.e.r.e"
e non, dicesi
non, a "s.o.c.c.o.r.r.e.r.e".
Fuori
dall'esempio, è
questa la
ragione per la
quale tengo ben
netta la
distinzione
sopra accennata
tra profughi
politici
provenienti da
guerre e feroci
dittature
(evidente
prodotto di
cause di forza
maggiore) ed
avventurieri
prettamente
economici a
caccia di
velleitarie e
non meglio
definite,
opportunità
europee. E'
evidente che per
questi ultimi
non può più
esserci
generalizzata ed
indiscriminata
accoglienza nel
nostro paese, a
totale
discapito,
dopotutto, degli
stessi
interessati che
dal nord-Africa
fanno rotta
verso Lampedusa
o approdi
similari. E ciò
con buona pace
delle varie
Schlein,
Boldrini e
compagnia
cantante che non
mancheranno,
ahimè, di
stracciarsi le
vesti dinnanzi a
cotanta
scontata, e
seppur per loro
inaccettabile,
constatazione.
E torniamo al
maledetto uso
distorto del
lessico
mediatico:
B.L.O.C.C.O
N.A.V.A.L.E (Il
blocco navale è
un'azione
militare
finalizzata a
impedire
l'accesso e
l'uscita di navi
dai porti di un
Paese o di un
territorio) e
qui, proprio,
non ci siamo!
Il termine evoca
infatti una
precisa
procedura
militare nei
confronti del
natante
interessato: 1)
Colpo in aria di
artiglieria
navale a mò di
avvertimento, 2)
Colpo in acqua
davanti la prora
di detto natante
ed infine, 3)
Colpo
indirizzato
direttamente
allo scafo del
battello da
bloccare. Il
tutto
evidentemente
inaccettabile
per una serie di
motivazioni
(d'ordine
morale, etico,
religioso,
sociale,
umanitario,
culturale ed,
infine e
naturalmente,
anche politico)
che non serve
specificare
ulteriormente a
chi almeno
pretenda di
appartenere al
genere
cosiddetto
umano). Parlare
dunque di blocco
navale nel
termine
strettamente
tecnico del suo
significato è
del tutto fuori
dalla realtà e
controproducente
per chi osa
appena farvi
cenno.
Secondo me
esiste però un
modo molto, ma
molto, più
"soft" di far
riferimento al
medesimo
concetto secondo
formule che sono
già state
adottate da
paesi
super-democratici
ed afflitti
anch'essi da
ampie coste,
come ad esempio
l'Australia ; e
ciò ai tempi
delle fughe via
mare dei
vietnamiti del
sud dopo la
caduta di Saigon
negli anni '70
del secolo
scorso
(intercettazione
dei barchini in
mare da parte
della marina
militare
australiana e
loro
convogliamento
in un apposito
isolotto di
quarantena)
ovvero, e
fortunati loro,
da quei paesi
che, non avendo
frontiere di
mare e quindi
soggetti alle
leggi di
quest'ultimo,
possono filtrare
e respingere a
loro piacimento
(Svizzera docet)
i relativi
immigranti non
desiderati. Dato
dunque che tutti
i nostri
problemi nascono
dal fatto che
quasi tutta
l'Italia confini
col mare,
cerchiamo di
ragionare:
A) E' scontato
il fatto che,
anche se essa si
affacci sul
mare, ciò non
diminuisca di
una virgola la
sua piena e
totale sovranità
sul proprio
territorio, sia
dalla parte cha
da sulla terra
che da quella
che confini con
le acque. E
necessario
dunque
investigare per
quale ragione il
semplice fatto
di essere
bagnati dal mare
debba limitare
la sovranità
nazionale nei
confronti di che
si presenti
davanti le
proprie coste
minacciato
soltanto da un
potenziale
pericolo di
naufragio
B) Mi si dirà:
in questo caso
vige il diritto
della
navigazione, che
fa premio su
qualsiasi altra
considerazione e
che esso, più o
meno, recita
così: "il
comandante di
una nave ha
l'obbligo di
prestare
soccorso a
chiunque sia
trovato in mare
in pericolo di
vita ed è,
altresì, tenuto
a procedere -
con tutta
rapidità -
all'assistenza
di persone in
pericolo in
mare, di cui
abbia avuto
informazione "
nonché
"L'obbligo di
salvare la vita
in mare
costituisce un
preciso obbligo
degli Stati e
prevale su tutte
le norme e gli
accordi
bilaterali
finalizzati al
contrasto
dell'immigrazione
irregolare. ……
Eventuali intese
operative tra le
autorità di
Stati diversi, o
la paventata
"chiusura" dei
porti italiani
(sic ! n.di r.)
non possono
consentire
deroghe al
principio di non
respingimento in
Paesi non sicuri
affermato
dall'art. 33
della
Convenzione di
Ginevra". I
granitici
capisaldi
concettuali che
sovraintendono
alle regole
dell'obbligo del
soccorso
/salvataggio in
mare
sembrerebbero
dunque essere:
1) Il
t.r.o.v.a.r.s.i
in mare in
p.e.r.i.c.o.l.o
di v.i.t.a e, 2)
Un divieto di
respingimento
verso porti di
p.a.e.s.i n.o.n
s.i.c.u.r.i. . A
questo punto la
logica mi
indurrebbe ad
affermare che se
non fosse
attuale il
pericolo di vita
e qualora il
porto di
respingimento
fosse verso
paese
s.i.c.u.r.o
allora l'obbligo
di cosiddetto
soccorso /
salvataggio in
mare con
relativo
trasbordo in
Italia non
dovrebbe
scattare in modo
automatico . Mi
sbaglio o no?
C) Per
semplificare il
ragionamento ed
in merito alla
considerazione
relativa al
cosiddetto
"porto NON
sicuro", sgombro
il campo con una
semplice domanda
: se Libia,
Tunisia,
Marocco, Algeria
hanno accolta,
apparentemente
senza batter
ciglio, i
profughi
economici
sub-Sahariani
affluiti alle
loro frontiere
meridionali in
cerca di non
meglio
identificati
sbocchi europei,
perche mai tali
paesi di prima
accoglienza,
diciamo da Sud,
dovrebbero poi
risultare
destinazioni del
tutto inadatte
per le stesse
persone che vi
facessero
ritorno, questa
volta però via
mare e da Nord?
Ecco il doversi
chiedere,
secondo me, per
qual motivo un
"porto", o costa
che sia,
oggettivamente
adatto per la
partenza in
barcone verso
l'Italia
diventerebbero
improvvisamente
e senza
spiegazione
alcuna, approdo
"non sicuro" nel
caso di rientro
in loco, stesso
mezzo, di chi se
ne sia appena
allontanato. Ad
ogni modo non
sarebbero questi
argomenti di
pertinenza
dell'Italia.
D) E veniamo
finalmente alla
considerazione /
proposta che
sottopongo
umilmente alla
cortese
attenzione di
tutti i
buonisti,
terzomondisti e
solidaristi
nostrani con la
mia sincera ed
accorata
preghiera di
volerla
cortesemente
smontare pezzo
per pezzo
attraverso un
ragionamento che
possa ben
contenere tutte
le spiegazioni,
commenti,
critiche o
giustificazioni
di ogni natura,
ordine e grado,
ma con l'unica
modesta,
sentitissima
esigenza e cioè
che eventuali
commenti di
relativo,
legittimo
smontaggio e /o
critica
avvengano nel
rispetto di un
sostenibile
ragionamento di
natura
logico-conseguenziale
e di nient'altro
e ….. grazie!
Ed ecco dunque:
1) E' ormai
accertato che in
tutta la
striscia del
Nord-Africa si
riceva senza
alcuna
difficoltà ogni
tipo di
comunicazione
televisiva,
internet,
telefonica,
social "what's
up", e chi più
ne ha più ne
metta. Sarebbe
pertanto
facilissimo per
la nostra
presidenza del
Consiglio dei
ministri mettere
in rete, e
nell'etere, una
comunicazione
inoltrata a
pioggia a tutti
i governi e
popolazioni
degli amici
paesi
dell'Africa
settentrionale
mediterranea,
più meno del
seguente tenore,
corredata
naturalmente dal
sommo stato
dell'arte della
computer grafica
visivo-comunicativa
e da ripetersi
incessantemente
per almeno un
paio di mesi:
"Amiche
popolazioni dei
paesi
rivieraschi del
nostro mar
Mediterraneo,
nonché
potenziali
emigranti
dell'Africa
sub-Sahariana
che vi accingete
a raggiungerne
la costa del
continente nel
desiderio di
imbarcarvi alla
volta del nostro
paese, siamo
purtroppo
costretti a
darvi una brutta
notizia:
l'Italia ha
fatto il pieno,
non siamo più in
grado, pena il
collasso della
nostra identità
nazionale e
struttura
socio-economica,
di accogliere
ulteriori amici
a casa nostra, e
col rischio che,
una volta
arrivati qui da
noi potreste
anche provare
l'amara
delusione di
sperimentare
disagi e
condizioni
addirittura
peggiori di
quelli da cui
cercate di
allontanarvi
lasciando le
vostre case.
L'Italia lavora,
insieme ai
propri partner
europei, per
porre comunque
in atto
condizione e
strutture tali
da poter
convogliare, in
un futuro non
lontano, un
ordinato flusso
migratorio
formalmente e
sostanzialmente
organizzato e
che possa
garantire a chi
giungerà qui da
noi un dignitoso
futuro di
accoglienza e
lavoro, ma che
al momento non
siamo purtroppo
in grado di
potervi
assicurare.
Certamente non
vi
dimenticheremo e
siamo, al
momento,
impegnati, sia a
livello
nazionale che
con i partner
dell'Unione
Europea in tale
auspicata
direzione.
ATTENZIONE per :
per il momento e
fino a nuova
comunicazione,
gli sbarchi in
Italia non
saranno più
consentiti e
chiunque
tentasse di
forzare tale
divieto - sia
essa
imbarcazione
privata che
naviglio gestito
da
Organizzazioni
Non Governative
sia nazionali
che
internazionali -
verranno
respinte alle
rispettive basi
di partenza"
2) Siccome è
peraltro ben
risaputo come
non vi sia più
sordo di chi non
voglia sentire,
tale garbata
comunicazione di
assoluta ed
indiscutibile
matrice sovrana
della Repubblica
italiana, verrà
ampiamente
disattesa,
almeno nei primi
tempi
dell'esperimento,
da una
consistente
fetta di non
udenti
d'oltremare che
si tapperanno
volutamente le
orecchie per il
più svariato
ordine di motivi
personali; in
tal modo sia
alcuni barchini
che qualche nave
di ONG
tenteranno
comunque la
traversata alla
volta
dell'Italia.
3) Ed ecco
scattare a
questo punto, un
"Blocco Navale"
che io definirei
"soft", ma molto
"soft",
costituito di
fatto da un
pugno di ferro
in soffice
guanto di
velluto ed
affidato NON
alla Guardia
Costiera, MA
alla nostra
Marina Militare
gestita dal
Ministero della
Difesa.
Intercettato in
acque
internazionali,
il disobbediente
barchino o
barcone che sia
(ovvero il
vascello della
ONG), esso verrà
affiancato dai
battelli
appoggio della
corvetta,
fregata o caccia
torpediniere
competente per
la zona di
avvistamento e
rifornito di
tutto quanto
necessario per
proseguire la
navigazione in
totale
sicurezza:
carburante,
assistenza
tecnica al
motore
dell'imbarcazione,
strumento
elettronico di
localizzazione,
cibo, acqua,
coperte
individuali,
salvagenti
indossabili e
quant'altro
necessario, con
un'unica,
"piccola"
modifica di
programma:
invertire la
rotta di 180
gradi e tornare
sui "propri
passi", se così
si può dire, in
direzione della
stessa località
di partenza
adeguatamente
scortati dalla
nostra Marina
fino al limite
della acque
territoriali del
paese dal quale
esso sia
salpato. In
tutt'altro
contesto, non
accade forse la
medesima cosa
quando, a
protezione dello
spazio aereo
nazionale, si
alzano i caccia
per affiancare
un velivolo non
identificato che
si trovi a
sorvolare senza
adeguata
autorizzazione i
cieli
dell'Italia?
Anche qui tutto
si risolve senza
far del male a
nessuno e nel
pieno esercizio
del nostro
diritto di
totale sovranità
nazionale.
4) Non sono
naturalmente
così ingenuo dal
non prevedere
che nelle prime
fasi di un tale
esercizio /
esperimento di
polizia
marittima
qualcuno sui
barchini (o sui
barconi)
potrebbe anche
farsi del male e
la cosa sarebbe,
ahimè, molto
deprecabile,
seppur forse in
qualche modo
ineluttabile.
Sono tuttavia
convinto che
dopo una prima
fase di
assestamento a
tutto danno
purtroppo di
coloro che
disattendendo il
chiaro ed
esplicito
messaggio di cui
sopra, volessero
comunque tentare
un'avventura
ampiamente
sconsigliata
pagandone le
conseguenze,
potrebbe alla
fine ben passare
il messaggio
che, dopo anni
di politica
"colabrodo", nel
nostro paese non
si possa più
entrare a
propria totale
discrezione,
come peraltro
avviene nella
civilissima
Svizzera, nelle
lontana
Australia, nella
pluricentenaria
democrazia
americana,
nonché in tutti
gli altri stati
sovrani, siano
essi di terra o
di mare, che non
intendono
derogare alla
gelosa
protezione delle
loro inviolabili
frontiere,
soggiacendo,
come purtroppo
accade invece da
tempo qui da
noi, alla totale
perdita di
sovranità
nazionale con la
surrettizia
scusa che noi si
sia soggetti
soltanto alla
legge della
navigazione e
che ciò dia a
chiunque, purché
giunga dal mare,
l'autorizzazione
di fare strame
dei nostri
sacrosanti
confini
nazionali.
Aprile 2023 |
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POLITICA |
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PRIMAVERA 2023. VERSO IL RISVEGLIO? |
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Da pochi giorni é passato, per i credenti, il
giorno della commemorazione della Passione e
Resurrezione del Gesù dei cristiani. Una guerra
incomprensibile continua a svolgersi alle soglie
dell'Europa, mentre una cappa di oscurità e una
rete di inganni avvolgono nella loro morsa l'
"Occidente", o ciò che ne resta.
Potenti e facoltosi "filantropi" e presunti
"illuminati", mossi da una "hybris"
incontenibile, da una superbia oltre l'umano e
da una volontà di potenza tecnocratica degna di
miglior causa, pretendono di indirizzare il
futuro dell'umanità intera secondo una loro
visione della vita, dell'uomo e del mondo
profondamente corrotta e distopica.
Trattasi - per chi non avesse ancora compreso -
di un'ideologia intrinsecamente materialista,
intrisa di una "religione" scientista e
riduzionista, e rivestita di tinte
neopositiviste e meccaniciste. Il tutto condito
di agnosticismo/ateismo e sfociante in un
trionfante nichilismo. Sembra l'inevitabile
approdo della concezione di Democrito, colui
"che il mondo a caso pone", secondo l'immortale
definizione dell'Alighieri.
Approdo ineludibile - secondo costoro - sarà un
mondo globalizzato e standardizzato, privo di
eccessive differenze tra genti e luoghi del
pianeta (non più popoli, nazioni e stati
sovrani), retto da un unico governo mondiale
(quello, appunto, degli "illuminati") che
eserciterà il potere e un controllo capillare su
tutto e tutti secondo un "benevolo"
totalitarismo, nel nome per l'appunto del "bene
comune" (e di un bene molto maggiore per gli
"illuminati"), dunque nell'interesse collettivo
(ma davvero?) e per la salvezza del pianeta
(così dicono).
E le libertà civili individuali? Idee inutili e
sorpassate appartenenti ad un passato ormai
svalutato e capaci di portare soltanto a
divisioni e conflitti. I bravi cittadini
seguiranno rigorosamente le regole imposte dai
loro nuovi signori e padroni. D'altra parte
saranno partoriti in apposite fabbriche da
gameti geneticamente selezionati in modo
accurato, così da produrre i tipi umani
desiderati e non altri (fautori solo di problemi
e disordini).
Alcuni saranno predisposti a integrarsi con
intelligenze artificiali per poter eseguire
compiti particolarmente complessi o rischiosi.
Poi, al temine della vita per loro prevista,
potranno essere terminati. Sarà così evitata una
sovrappopolazione lesiva dell'ambiente e
dell'ecosistema terrestre.
Perché l'uomo non è che una macchina, solo un
po' più complessa e delicata di altre. E la
coscienza? E il libero arbitrio? Sovrastrutture,
epifenomeni di una realtà sostanzialmente
materiale e meccanicista.
Questo quadro futuristico - ma non tanto -
sembra essere quello verso il quale il mondo
attuale si sta indirizzando. E' davvero così? E
si tratta di sviluppi inesorabili e
ineluttabili?
Non propriamente. Questi tronfi e arroganti
"profeti" non hanno fatto a sufficienza i conti
con l'insopprimibile desiderio di libertà
dell'uomo, con la libertà di coscienza e il
libero arbitrio. E con il fatto che -
contrariamente alle loro opinioni - l'uomo non è
una macchina, e le macchine non saranno mai
uomini.
Lo spiega molto bene, e con profondità di
pensiero, Federico Faggin nel suo recentissimo
"Irriducibile - la coscienza, la vita, i
computer e la nostra natura", che ogni giovane
d'oggi - o anche meno giovane - dovrebbe
leggere.
Perché è proprio nei momenti di più grave crisi,
quando tutto sembra perduto e l'oscurità di
tenebre sempre più minacciose si addensa sul
nostro capo, che forze misteriose e
imprevedibili, ma spesso dotate di inarrestabile
potenza, irrompono nella realtà della vita degli
uomini e ne ribaltano il destino. Qualcuno - un
tempo - chiamava tali forze "Provvidenza".
Accade così che uomini coraggiosi, filosofi - in
primis - ma anche scienziati, medici, storici,
giuristi, giornalisti e opinionisti, di varie
nazionalità e culture e di vario orientamento
ideologico o politico e varia fede - o non fede
- religiosa, si stiano ribellando alle follie
del tempo presente, presentendo e prevedendo
quelle, ancor maggiori, del tempo futuro.
L'elenco sarebbe molto lungo, e proprio ciò fa
ben sperare, perché il nemico comune è stato
ormai ben individuato e caratterizzato, e non è
certamente imbattibile. Perché ad una distopia
disumana e disumanizzante è lecito opporre
un'utopia neoumanista di liberazione e di
riscatto. Perché il "progresso" di cui questo
nemico si fa orgogliosamente promotore rischia
di precipitare in un clamoroso "regresso" e in
una crisi definitiva e irreversibile, non solo
della cosiddetta "civiltà occidentale", ma della
civiltà umana in generale e della stessa più
intima e vera essenza umana.
Roma, aprile 2023
*Autore di "Gli ultimi Re
di Roma - la dinastia etrusca che governò la
Città Eterna" e di "Pensieri Pandemici - in
vista di un neoumanesimo venturo" in corso di
pubblicazione |
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SANREMO / ITALIA |
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Leggo, con costernata sorpresa, che il "Solito
Ignoto" nazionale e la "Nostra Signora dello
Shampoo" sarebbero di nuovo in predicato per
un'ulteriore conduzione del "Festival di
Sanremo", edizione 2024. Urge che io, come suole
dirsi, mi munisca di carta e penna e verghi un
accorato appello alla nostra cara Giorgia
nazionale :
" Signora Presidente del Consiglio e mia (si,
proprio mia!) carissima Giorgia,
chi ti scrive è un signore ottantenne di cui tu
ignori del tutto, e ci mancherebbe altro,
l'esistenza. Eppur, credimi, nell'assoluto
anonimato che giustamente mi circonda, io sono
una persona che tu, forse, non dovresti
permetterti di non tenere in dovuta
considerazione. Da convinto ammiratore e
sostenitore sin dal tuo primo apparire sulla
scena politica nazionale, mi glorio ancora
dell'esplicita testimonianza di carissimi amici
ai quali, sin da tempi non sospetti, esternai la
mia esplicita convinzione che tu saresti un
giorno diventata il capo del nostro governo.
Inoltre - e lo affermo con molta, ed ahimè
malcelata, modestia - svariati numeri dell'amata
rivista CONFINI possono dare testimonianza di
come io non ti abbia mai fatto mancare,
naturalmente per quel poco che esso valga, il
mio totale, esplicito, articolato e direi anche
ammirato ed affettuoso incoraggiamento e
sostegno sia nella tua lunga ed inesorabile
scalata a Palazzo Chigi che in quei difficili
momenti, nei più disparati settori di tua
responsabilità, che abbiano richiesto una tua
azione di governo da me sempre apprezzata, sia
per stile che per sostanza.
Ciò, doverosamente premesso a mo' di
introduzione, vengo al punto e lo faccio
preceduto dal richiamo di un paio di detti
popolari, tipo: " il diavolo si nasconde nei
dettagli", "per un sol punto Martin perse la
cappa" e similari. Cosa intendo dire? In vero un
qualcosa di molto semplice: come non ti sarà
certamente sfuggito, le edizione del Festival
della canzone italiana condotto negli ultimi
anni dall'ineffabile Amadeus sono state, con la
debole scusa di farci ascoltare insipide
canzonette, un modo volutamente surrettizio per
propinarci a forza, entrando del tutto non
richiesti nelle nostre case, massicce dosi di:
1) propaganda pseudo-sovversiva (vedi Maneskin,
assurti poi ad osannati rappresentanti europei e
mondiali (sic !) della cosiddetta "canzone
italiana"),
2) oscene dissacrazioni dei pilastri portanti
della fede cattolica (Achille Lauro e le sue
messe sataniche)e, da ultimo,
3) trionfi di sodomia, certamente non da prima
serata Rai (grazie a Fedez e Rosa Chemical).
Quanto sopra, come ben vedi, è già di per se
stesso, alquanto disturbante. Peraltro è ben
risaputo come al giorno d'oggi, l'osceno, lo
pseudo-dissacrante, la volgarità facciano
"audience" in questo nostro mondo che, avendo
definitivamente archiviata la figura del "padre"
inteso come "creatore di regole" ed "auriga di
comportamenti", rende tutto consentito in una
società ormai preda di un magmatico "buonismo"
di natura, diciamo, materno/femminile ove vige
ogni liceità purché produca benessere e piacere.
Ormai, purtroppo, è così e bisognerà farsene
dunque una ragione. Ma ciò dovrebbe essere
relegato unicamente nell'ambito delle seppur
democratiche e costituzionali iniziative di tipo
individuale e privatistico e non invece oggetto
di forzata somministrazione all'intera
cittadinanza italiana (ed a sue canoniche spese)
che ben potrebbe non riconoscersi per intero nei
buonisti, alternativisti, minoritaristi,
laicisti, accondiscendisti e, in una parola,
sinistrorsi messaggi provenienti da un "Festival
di Sanremo" a trazione Amadeus e relativa corte
dei miracoli.
Si, mia cara Giorgia, questo è il punto che
intende sollevare il tuo modesto, anonimo e
numericamente insignificante elettore che qui di
sotto si firma con nome e cognome. Stai dunque
ben attenta. Come ho già detto, il diavolo ama i
dettagli apparentemente insignificanti che
potrebbero invece rivelarsi poi dirompenti come,
ad esempio, nel caso in esame ed a motivo del
quale - ed ancora, per il momento, come
remotissima ipotesi dell'irrealtà o di scuola,
che dir si voglia - ed a seguito di mia
relativa, cocente delusione personale, potresti
trovarti persino priva - udite, udite (!) -
anche di quel mio singolo, ma, ti assicuro,
ancora preziosissimo, voto. E, credimi, cara
Signora Primo Ministro, una tale perdita sarebbe
per te "vulnus" irreparabile perché, come tu ben
sai, sono milioni i voti come il mio,
prettamente di opinione, che ti hanno portato a
Palazzo Chigi; e ciò non tanto per le tue
proposte programmatiche di legislatura dato che,
come è ben risaputo, in politica tali cose
valgono per quel che valgono, quanto e
piuttosto, per un venir meno di quella
individuale percezione, da parte dei tuoi
elettori, di ciò che tu sia effettivamente come
"leader" e quale sia la caratura di tale tua
precipua caratteristica agli occhi di quella
moltitudine che, proprio a causa di essa, ti ha
votato con convinzione e sentita partecipazione
emotiva. In soldoni, cara Giorgia: non so (non
me ne intendo) come ed in quale sostenibile
maniera legale, procedurale e, in ultima
analisi, soprattutto politica, tu possa
ricalcare, dopo svariati anni, l'indimenticabile
passo di quel tuo ineffabile predecessore a
Palazzo Chigi, ma dovrà pur esserci un qualche
modo per riproporre su Sanremo una sorta di
"editto bulgaro" dalla felice memoria del tempo
che fu. Ritengo comunque che, per il tuo bene
politico, come significativo segnale di
indirizzo governativo, nonché per mantenere
vivo, in un fedele sostenitore come me quel
sostegno "elettorale" che io ancora
incondizionatamente ti porto, tu debba trovare
un qualche modo per far si che nel prossimo
Festival di Sanremo - che sarà ancora una volta,
e come avviene da oltre settant'anni, di durata
settimanale, in prima serata, sul Primo canale
TV e soprattutto finanziato sempre dal canone di
tutti quanti i cittadini - possano essermi
risparmiate (in una loro eventuale quarta,
consecutiva riedizione) le dissacranti litanie
laico-progressiste sia del trito "Solito Ignoto"
nazionale che dell'ineffabile " Nostra Signora
dello Shampoo". Con speranzosa, ma forse un po'
troppo ottimistica attesa, resto, con l'immutata
stima di sempre, il Tuo, |
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