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UNO, CENTO,
MILLE CAMPOLILLO |
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Commuove questa
Italia dei
buoni, dei
responsabili,
dei sindaci che
firmano
petizioni, degli
idraulici, dei
porporati e
delle shampiste,
che si mobilita
per convincere
Mario Draghi a
restare al suo
posto. Il mutuo
soccorso è una
cosa bellissima,
soprattutto
quando promana
dalla mitica
"società
civile". Il
problema,
semmai, è capire
per cosa la
grande macchina
della
solidarietà si
sia messa in
moto. Qui,
dobbiamo fare a
capirci. Si
vuole che Draghi
resti non per
salvare l'Italia
ma per tenere al
sicuro, per
altri otto-nove
mesi o forse
più, il Partito
Democratico e la
palude dei
neo-centristi -
quelli del
consenso da
prefisso
telefonico -
all'interno
della stanza dei
bottoni. Già,
perché, stando a
tutti i sondaggi
disponibili (per
quel che
valgono),
un'elezione
anticipata
porterebbe a una
schiacciante
vittoria del
centrodestra,
alla sconfitta
della sinistra,
alla quasi
sparizione della
palude centrista
e all'estinzione
dei grillini. È
ciò che si vuole
impedire
implorando Mario
Draghi di non
abbandonare la
nave. Per
raggiungere lo
scopo, in queste
ore, il tono
apocalittico è
schizzato alle
stelle, segno
che quando si è
presi dal panico
la prima cosa di
cui ci si libera
è la decenza.
Bisogna sentirle
le "Cassandre"
del Palazzo:
senza Draghi le
mucche non
faranno più
latte, le api
non daranno più
miele e le donne
non partoriranno
più figli.
Devono averci
presi per idioti
che si bevono
qualsiasi
fregnaccia.
Siate seri e non
raccontate
balle. Se il
Governo si
dimette e la
legislatura
viene sciolta,
per qualche mese
il Governo in
carica andrà
avanti per il
disbrigo degli
affari correnti
che, per prassi
costituzionale e
orientamento
giurisprudenziale,
si traduce nella
libertà
dell'Esecutivo
di adottare
tutte le misure
necessarie a
mettere in
sicurezza il
Paese e a
produrre tutti
gli atti
destinati a
incidere su
eventi
indifferibili.
L'unica cosa che
non si potrà
fare a Camere
sciolte è di
votare eventuali
"fiducie" al
Governo.
Inconveniente
superabile
mediante la
stipula di un
"gentlemen
agreement" tra
le forze che
finora hanno
sostenuto il
Governo Draghi,
ad eccezione,
com'è ovvio, dei
Cinque Stelle.
Novanta giorni e
si avrà un nuovo
Parlamento
depurato della
presenza
debordante di
una forza
politica, il
Cinque Stelle,
che non
rappresentando
più alcuno nel
Paese, nella sua
gran parte ha
scelto,
parafrasando
Karl Marx, di
costituirsi come
esercito
parlamentare di
riserva del
Partito
Democratico.
E Mario Draghi?
Lui vuole andare
via. Su questo
non ci piove. Lo
abbiamo scritto:
il premier è
grato a Giuseppe
Conte di avergli
fornito il
pretesto per
togliere il
disturbo. Uscire
ora
significherebbe
salvare la
propria
reputazione
prima che sia
tardi. Prima
cioè che la
tempesta che si
sta addensando
all'orizzonte
non gli si
abbatta addosso
in tutta la sua
violenza. Il
vizio capitale
che inficia la
narrazione dei
draghiani della
prima e dell'ultim'ora,
a sinistra come
al centro, sta
nel dare per
scontato che il
premier sia in
grado di
affrontare il
peggio mettendo
al riparo le
famiglie e le
imprese italiane
dalla crisi che
si scatenerà a
partire dal
prossimo
autunno. Non è
così e il primo
a esserne
consapevole è
proprio Mario
Draghi. Non è
questione
d'inattitudine.
A differenza dei
politici in
circolazione
l'ex capo della
Banca centrale
europea avrebbe
tutti i numeri
per gestire la
situazione. Il
problema è, per
così dire,
oggettivo. Nel
senso che
dipende
principalmente
da variabili
esterne ed
estranee al
contesto
nazionale. La
crisi scaturita
dal
riposizionamento
strategico
dell'Unione
europea rispetto
alla Federazione
Russa, in
relazione alla
vicenda ucraina,
avrebbe
richiesto una
risposta
totalmente
unitaria di
tutti i Paesi
dell'Unione.
Risposta che non
c'è stata. In
Europa si
procede in
ordine sparso e
ciascun
governante segue
la bussola che
indica nella
difesa
utilitaristica
dell'interesse
nazionale la
propria stella
polare. Ne
consegue che, di
là da qualche
intervento
random di
Bruxelles su
specifici temi
di crisi, nel
complesso
l'Italia dovrà
cavarsela da
sola per evitare
di affondare.
Purtroppo,
questa forza il
nostro Paese non
l'ha. Di certo
non la possiede
nella misura che
occorrerebbe per
evitare il
peggio. Tale
condizione di
debolezza ha
cause antiche ma
ne ha anche di
sgradevolmente
attuali.
La scelta
politica di
Mario Draghi di
farsi alfiere
della reazione
più
intransigente
contro Mosca e
di sostenere
senza riserve le
ragioni di Kiev
in una sorta di
ortodossia
neo-atlantista
che non è mai
appartenuta ai
governi italiani
della Seconda
Repubblica e,
ancor più, a
quelli a
egemonia
democristiana
della Prima
Repubblica, ha
di molto
complicato la
nostra posizione
sulla scena
internazionale.
Un esempio per
intenderci. La
potente
Germania, che è
stata costretta
dalle pressioni
statunitensi a
schierarsi
contro Vladimir
Putin, in queste
ore non si è
fatta scrupolo
di reperire in
Canada i pezzi
di ricambio per
la manutenzione
delle turbine
del gasdotto
russo Nord
Stream 1 perché
potesse
rapidamente
riprendere
l'erogazione del
gas, interrotta
per motivi
tecnici dallo
scorso 11
luglio. Lo ha
fatto in palese
dispregio delle
sanzioni
comminate
dall'Occidente a
Mosca, che
vieterebbero le
forniture di
materiali
all'industria
russa. L'Italia,
che ha un
problema analogo
a quello tedesco
in ordine alla
necessità di
continuare a
ricevere materia
prima energetica
dalla Russia,
preferisce
cambiare
fornitore. Il
Governo italiano
scende a patti
con i più
sanguinari
dittatori
africani invece
di tentare di
riallacciare il
dialogo con il
Cremlino.
Sfidare
apertamente
Mosca non l'ha
ordinato il
medico. Si
tratta di scelte
politiche che
non possono non
avere gravi
conseguenze.
Draghi le ha
assunte contando
sulla
solidarietà
dell'Europa e
degli Stati
Uniti. Ma è
stato un calcolo
sbagliato. Per
questa ragione
vuole andare
via: non ha
intenzione di
esserci quando
la realtà
busserà alla
porta di Palazzo
Chigi per
presentare il
conto.
Le forze
politiche
nostrane hanno
la testa
altrove,
impegnate come
sono a guardarsi
l'ombelico. Si
sono date a
contemplare il
pelo dei
rapporti di
forza tra i
partiti,
ignorando le
dimensioni della
trave della
crisi che sta
per crollarci
addosso. C'è una
protesta sociale
pronta a montare
nelle prossime
settimane,
appena
scavallata la
pausa d'agosto.
Eppure, c'è
qualcuno - è il
caso di Giuseppe
Conte - che
immagina di
poter cavalcare
la rabbia
popolare
ricostruendosi
frettolosamente
una verginità
grazie a un
rapido passaggio
all'opposizione,
dopo aver
ininterrottamente
governato dal
2018. Che genio
l'"avvocato del
popolo", il
quale vorrebbe
imporre agli
altri di restare
a guardia del
bidone di
benzina mentre
lui e i quattro
gatti che gli
restano accanto
si predispongono
a impallinare il
Governo dai
banchi
dell'opposizione.
Tuttavia,
l'ingenua follia
non è soltanto
dell'avvocato di
Volturara Appula.
È anche di
Enrico Letta e
di Luigi Di Maio
che pensano di
essere furbi.
Draghi lo
farebbero
restare
cambiando
etichetta
all'ennesimo
gruppetto di
transfughi a
Cinque Stelle,
pronti a farsi
"responsabili"
alla Alfonso
Ciampolillo,
detto Lello - il
senatore più
corteggiato
d'Italia quando
si tentò di
salvare in
Parlamento il
Conte bis - pur
di restare
incollati alla
cadrega. Mario
Draghi, così
attento a
mantenere
integra la sua
reputazione, si
presterà alla
pagliacciata di
Palazzo con una
crisi politica
che si
risolverebbe
grazie a un
artificio da
azzeccagarbugli?
Fuori
formalmente i
Cinque Stelle da
un nuovo patto
di fine
legislatura e
dentro i
"responsabili"
per salvare le
natiche del
"soldato
Enrico",
dell'"appuntato
Renzi" e
dell'"attendente
Giggino".
E il
centrodestra di
Governo della
coppia
Berlusconi-Salvini
si presterà al
gioco,
rischiando la
rottura con
Fratelli
d'Italia? Già,
perché Giorgia
Meloni non
"capirebbe" il
rifiuto dei due
di segnare un
goal a porta
vuota. Ma con
tutto il
rispetto per la
signora Meloni,
ci chiediamo: lo
capirebbero i
milioni di
italiani che a
differenza dei
mille sindaci
firmatari
dell'appello
"Draghi resta
con noi", degli
idraulici, dei
porporati e
delle shampiste,
vorrebbero un
altro Governo,
un'altra
maggioranza e
una guida di
leggibile
impronta
politica per
raddrizzare una
barca che sbanda
pericolosamente?
Non fatevi
illusioni, se
Draghi resterà
al timone della
nave Italia sarà
solo perché
glielo chiede,
dall'altra
sponda
dell'Atlantico,
l'inquilino
della Casa
Bianca. Con
motivazioni
tutt'altro che
tranquillizzanti
per la
democrazia
italiana. E per
la sovranità che
in teoria, ma
solo in teoria,
apparterrebbe al
popolo.
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I SORDOMUTI |
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È credenza
comune che
l'espressione
'utili idioti'
sia da
attribuire a
Lenin, in
riferimento a
coloro che
all'interno dei
Paesi
Occidentali
sostenevano
ingenuamente il
regine
sovietico. In
verità, la frase
nel tempo,
assunse un
significato più
ampio e il
lessico comune
al di qua della
cortina di ferro
ne ribaltò il
significato a
marchiatura di
coloro che
credendo di far
'bene'
favorivano
l'illiberalità
dell'ideologia
comunista. Un
esempio è
l'avversione
alla politica
nucleare
manifestata,
spesso
vittoriosamente,
dalle forze di
sinistra
occidentali
mentre la 'Casa
Madre' riempiva
i silos di
testate.
In realtà, è in
dubbio che Lenin
l'abbia usata
mentre pare
certo che la
prima volta che
venne espressa
nel mondo
occidentale fu
in un articolo
sul New York
Times del 1948
in riferimento
alla politica
italiana. Poiché
Wikipedia non
fornisce il
contesto di tale
citazione, ho
provato a
trovarlo in
altri siti ma
inutilmente.
Comunque, non
faccio fatica a
credere che
nell'ottica del
giornalismo
americano
arrembante
dell'epoca i
giovani
mandolinisti, i
pizzaioli e i
gondolieri,
attivissimi per
ardimento e
anche grazie al
piano Marshall,
fossero degli
ottimi
acquirenti del
made in USA.
Del resto, a
quel tempo, il
mito americano
faceva palpitare
i cuori e
accendeva gli
occhi di
speranza. Se non
fosse stato, nel
'54, per il film
di Steno col
grande Sordi che
faceva
l'americano a
Roma, avremmo
mangiato pure le
tartine di pane
con yogurt,
marmellata e
senape, invece
di dedicarci ai
mai tanto
osannati
maccheroni. Eh!
Sì. La satira,
specie se fatta
con ironia
pacata e
discorsiva, sia
pur con
puntatine fino
allo scherno e
all'invettiva
sferzante,
faceva più
effetto della
spada e del
cannone. Erano
altri tempi e
avevamo un altro
animo.
Ma, per tornare
alla frase in
questione, una
luce alla
chiarezza sembra
giungere dallo
scrittore Edvard
Radzinsky che
nel suo libro su
'Stalin'
l'attribuisce
all'artista
Jurij Pavlovič
Annenkov il
quale però,
nelle sue
memorie1,
asserisce di
averla letta in
alcune carte
lasciate da
Lenin. Parrebbe,
infatti, che
essa fosse
contenuta nel
suo testamento
originale, in
parte nascosto e
sostituito con
un nuovo testo
su richiesta
della nuova
Segreteria del
Partito
Comunista
sovietico la
quale, come si
nota, manifesta
una non usuale,
anticipatrice,
sensibilità:
"… […] I
cosiddetti
elementi
culturali
dell'Europa
Occidentale e
degli USA sono
incapaci di
comprendere lo
stato attuale
dei fatti
[internazionali]
e il reale
equilibrio delle
forze, perciò
devono essere
considerati come
sordomuti e
trattati di
conseguenza...".
"Una rivoluzione
non si sviluppa
mai secondo una
linea retta, per
espansione
continua, ma
forma una catena
di esplosioni
ovvero,
"avanzate" e
ritirate,
attacchi e
quiete, durante
la quale le
forze
rivoluzionare
ritrovano le
forze per la
preparazione
della vittoria
finale...".
"Dobbiamo, per
tener buoni i
sordomuti,
proclamare la
fittizia
separazione del
nostro governo
dal Comintern,
dichiarando che
questa agenzia è
un gruppo
politico
indipendente. I
sordomuti lo
crederanno.
Esprimere il
desiderio di
riannodare
subito le
relazioni
diplomatiche con
i paesi
capitalisti,
sulla base della
completa non
interferenza con
i loro problemi
politici
interni. Ancora
una volta, i
sordomuti lo
crederanno.
Anzi, ne saranno
entusiasti ed
apriranno poco a
poco le porte,
attraverso le
quali gli
emissari del
Comintern e le
agenzie di
spionaggio del
Partito si
infiltreranno
rapidamente in
questi paesi,
camuffati come
personale
diplomatico,
culturale e come
rappresentanti
di commercio. I
capitalisti di
tutto il mondo e
i loro governi,
nel loro
desiderio di
conquistare il
mercato
sovietico,
chiuderanno gli
occhi di fronte
alle attività
summenzionate e
si tramuteranno
in ciechi e
sordomuti. Ci
daranno credito
che sarà un
mezzo di
appoggiare i
partiti
comunisti nei
loro stessi
paesi, e, nel
passarlo a noi,
sarà un mezzo
per ricostruire
la nostra
industria
bellica, che
sarà essenziale
per attacchi
futuri contro i
nostri
fornitori. In
altre parole
loro lavoreranno
per il loro
stesso suicidio.
[…]".2
Non c'è che
dire.
'Sordomuto' è
senz'altro più
politicamente ed
eticamente
corretto di
'idiota' il
quale, tra
l'altro, può
denotare una
sconcertante
stupidità se non
addirittura una
patologia:
l'idiozia,
ovvero
un'insufficienza
mentale,
un'oligofrenia.
Così, mentre per
l'idiozia può
sorgere il
dubbio,
offensivo, se
uno ci fa o c'è,
per il
sordomutismo
invece l'unico
commento,
affettuoso
quasi, che può
nascere
spontaneo verso
il colpito è:
poverino,
sciagurato,
infelice,
meschino. E,
purtroppo,
sembra che tra
le varie fughe
di virus, in
barba alle
misure di
contenimento più
avanzate, vi sia
quello del
sordomutismo,
appunto, e della
meschinità.
Lo so che è
difficile
accorgersi del
dilagare della
patologia: un
po' come la
nebbia di Milano
descritta da
Mezzacapa/Castellani
ai fratelli
Caponi/Totò e
Peppino, in
missione di
salvataggio del
nipote, che è
uno studente che
studia, dalle
grinfie della
soubrette
Marisa/Dorian
Gray. Quando c'è
la nebbia a
Milano, non si
vede. Così, in
piena estate,
l'insidiosità
della nebbia è
talmente elevata
da chiedere
all'ufficiale
austriaco, in
arte un 'ghisa',
da che parte si
deve andare per
andare dove
dobbiamo andare.
E meno male che
il 'ghisa' parla
italiano così da
offrirsi di
accompagnarli
personalmente in
manicomio. Ma
quella risposta
è la
dimostrazione
pratica che
l''ufficiale
austriaco' non
ha capito la
domanda.
Sembra una scena
surreale, da
Fellini ante
litteram, resa
casareccia dal
grande Camillo
Mastrocinque, ad
illustrazione
satirica di un
tempo dove c'era
indubbiamente la
nebbia ma le
domande potevano
essere sollevate
suscitando
tutt'al più
perplessità e,
comunque, una
risposta. Oggi,
invece, il
sordomutismo è
più subdolo,
perché non c'è
tampone che
possa rilevarlo:
le grandi
umanitarie case
farmaceutiche,
le cosiddette
big pharma, sono
due anni che
inseguono una
sfera
bitorzoluta che,
peggio di
Houdini, cambia
il vestimento e
sfugge ad ogni
costrizione. E
nonostante ogni
strenuo sforzo
produttivo di
centinaia di
milioni di dosi,
il 'parassita
obbligato', il
sembiote, sembra
deridere tale
impegno,
peraltro
alacremente
sostenuto da
tenaci
sordomuti.
Non c'è
accortezza che
non sia stata
adottata:
immediata
cremazione di
cadaveri, al
pari delle
memorie di
Brancaleone da
Norcia sullo
'nero morbo che
tutti ci
piglia',
distanziamento
sociale,
mascherine a
gogò, acquistate
con urgenza
persino dagli
antichi
tessitori di
Bisanzio,
padroni delle
tecniche del
Neolitico;
schermi
protettivi in
plexiglass,
ripari in
compensato a
triplo strato,
serrate di
luoghi pubblici
e di lavoro
racchiuse nella
nobile e
generosa
definizione di 'lockdown',
un gergo che con
immediatezza
manifesta
efficacia ed
efficienza.
Insomma, un
tripudio, una
baldoria,
l'apoteosi di
risorse fisiche,
psichiche ed
economiche,
'bruciate'
sull'altare del
sordomutismo
mentre il
sembiote
deridente
cambiava volto.
Di recente, la
scienza è giunta
ad emettere
l'estrema
sentenza circa
il 'parassita
obbligato': la
sua variante,
Omicron, nella
sua
sub-mutazione,
sembra colpire
con particolare
riguardo i
vaccinati. Alé!
Non resta che
chiederci da che
parte dobbiamo
andare per
andare dove
dobbiamo andare.
Ma il fatto è
che i nostri
attivi
interlocutori
sono sordomuti,
colpiti da un
più insidioso
germe patogeno,
non in grado
quindi di
ascoltare le
domande e di
formulare le
risposte. Così,
non ci resta
altro che
restare in
Piazza Duomo in
attesa titubante
ma con l'animo
sereno di aver
almeno ripagato
adeguatamente le
altruistiche big
pharma e quelle
dei tessitori di
Bisanzio.
Ma quella,
purtroppo, non
pare essere la
sola
manifestazione
del concomitante
Citomegalovirus;
e, peraltro,
sintomi
precedenti non
erano stati
tenuti nella
giusta
considerazione:
pensiamo
all'Afghanistan
e allo
stressante,
altruistico,
caritatevole
impegno di
trasportarvi la
democrazia.
Un'opera così
misericordiosa
da essere
costata ai
contribuenti
'occidentali'
(un astruso
aggettivo che
s'infila
dappertutto)
migliaia di
miliardi e di
vite umane: si
pensi a quanti
carichi di una
così preziosa
merce possano
essere stati
effettuati nel
tempo di
vent'anni e
quanti armamenti
si siano resi
necessari per
difendere i
trasporti e
l'immagazzinamento
in attesa della
creazione delle
reti di
distribuzione.
Ma inutilmente.
La mercanzia non
ha attecchito.
Comunque, è
stato un intento
umanitario
svolto con
l'umiltà dei
degni: la
fornace bellica
ha 'bruciato'
per due decenni
ingente
carburante umano
ed economico
nella solitudine
degli sconfinati
deserti e delle
brulle montagne
senza disturbare
il resto del
mondo il quale
per quattro
lustri ha potuto
serenamente
godersi le
serate
domestiche
dinanzi alla TV
senza la
brutalità di
immagini,
inappropriate
per gli over 30,
che potessero
disturbare la
ninnananna di
Morfeo. Si può
dire che la
'notizia' che ha
scosso animi,
quella che ha
suscitato
altisonanti
perplessità, è
stata la
decisione
improvvisa di
abbandonare
quella terra.
Qualche
immagine,
comunque, è
sfuggita al
safety family
per quanto non
cruenta: file di
militar-soldati
che
ordinatamente
s'imbarcavano
abbandonando
nelle mani di
assolutisti
dispotici con
turbante un
subisso di
articoli
guerreschi che,
fortunatamente,
erano già stati
pagati e non
c'era da far la
resa.
In ogni caso, il
tentativo è
stato fatto con
tutta la
determinazione
necessaria da
parte dei
sordomuti e,
ovviamente,
delle aziende
produttrici di
materiale
bellico. Forse,
la manovra
commerciale
sarebbe potuta
durare un po'
meno ai fini del
risparmio in
vite umane e
risorse
materiali ma, si
sa, i contagiati
dal
Citomegalovirus
sono ostinati,
non si arrendono
facilmente alle
loro affezioni.
La lezione,
però, era stata
utile: ed
infatti, di lì a
breve, un tristo
oscuro figuro ha
pensato di
dettar legge al
di fuori dei
suoi confini
giuridici.
E, poi, … si
dice il Caso e
la fortuna dei
sordomuti.
Pensiamo per un
solo attimo se
fossimo rimasti
ancora
impigliati tra
le spine delle
rose del deserto
e la nostalgia
dei non ti
scordar di me.
Comunque, non
l'avesse mai
fatto
quell'oscuro
figuro. I
sordomuti, fermi
a piè pari, sono
stati pronti a
rintuzzar le
inique mire. E,
manco a dirlo,
sostenuti in ciò
dalle mai lodate
a sufficienza
aziende
produttrici di
militaria. Una
caterva di
sordomuti che,
memori degli
errori del
passato, hanno
cercato il
massimo risalto
alla loro
altruistica
opera a plateale
sostegno della
libertà delle
genti e della
democrazia
attraverso la
preziosa opera
dei massmedia i
quali, a scapito
del loro agio,
hanno filmato e
commentato ogni
scarpinata degli
eserciti, ogni
sgambata dei
volontari
combattenti,
ogni giravolta
di carri, ogni
decollo
missilistico,
ogni sparata di
bengala su
centrali
nucleari. Ma sì,
dalli all'untore
… no, no, quello
è Manzoni ...
dalli
all'invasore.
Ecco, questo è
Stoltenberg.
E, poi ancora …
la straziante
tristezza delle
immagini delle
famiglie e dei
bambini: la
popolazione
civile del
Donbass, quella
che sta pagando
il maggior
tributo tra le
parti in causa
perché subisce
una doppia
imposizione e un
doppio danno
insieme ad una
beffa: essere
filo-russi e
venire invasi
dai russi e al
contempo essere
accanito teatro
di scontri tra
russi e truppe
ucraine e
volontari;
quelle truppe e
quelle milizie
che, otto anni
fa, in nome
della democrazia
e della libera
espressione,
hanno cercato di
dissuadere,
amorevolmente
s'intende ma
inutilmente,
quelle genti dal
dichiararsi
filorussi, nel
silenzio
assoluto dei
sordomuti. Bè, a
loro scusante
c'è da dire che
erano ancora
impegnati in
Afghanistan.
Peraltro, un
emulo di Erich
Maria Remarque
che invertisse
il riferimento
del 'punto
cardinale' non
era ancora nato
e del soldato
Katczinsky si
son perse le
tracce.
Un inciso è
d'uopo. Pensiamo
per un attimo a
quale 'combusta'
fine potrebbe
fare oggi un
libro che
indicasse un
sarcastico
'Niente di nuovo
sul fronte
orientale'. Se,
del primo, i
nazisti, biechi
ottusi per
antonomasia, ne
hanno fatto
alimento di
pubbliche pire,
dell'ipotetico
secondo i
sordomuti ne
farebbero
sicuramente un
integratore di
calore delle
stufe a pellet
che tra poco
verranno in uso
e perdureranno
fintanto che una
nuova ondata
naturalistica,
green, non si
schiererà,
inconsapevolmente,
a difesa degli
Ent di tolkiana
memoria e
proporrà in
alternativa
l'uso della
pietra focaia su
minute
sterpaglie del
sottobosco per
un minimo di
tepore almeno
nelle notti più
rigide.
Ehhh! Quando si
dice 'progresso'
nell'ottica
illuminata dei
contagiati dal
Citomegalovirus.
Non conoscono
ostacoli e non
demordono: è
nella loro
indole e un
effetto della
'affezione'. Si
consideri che
per una migliore
combustione
futura stanno
intanto
accatastando
libri per
bambini tra i
quali l'opera di
Lindgren,
Pippicalzelunghe,
il cui padre
Efraim, dopo
essere stato
terrore dei mari
è divenuto 're
dei negri'. Che
cosa
disdicevole. O
la Bella
Addormentata nel
Bosco dove il
lascivo
Principe, in
barba a Perrault,
dopo il bacio
avrebbe
sicuramente
voluto stuprare
l'indifesa
donzella. Meglio
prevenire. Già,
poverini, è il
virus che li
spinge a tanto.
A fin di 'bene'.
Naturalmente.
Alcuni,
incontenibili,
hanno anticipato
i roghi a
beneficio
dell'infanzia ma
sono attività
sporadiche: ogni
cosa a suo
tempo. E, già
che ci sono,
hanno messo mano
su volgari,
sedicenti
documenti
storici e
prendendo ottimo
spunto dalle
sole meccaniche
della dottrina
sovietica e di
quella maoista
circa
l'informazione,
stanno
correggendo la
storiografia ed
emergenti
paradossi, al
solo vantaggio
della Nuova
Storia nella
proiezione di
una Nuova Era.
Al che, per
andare dove
dobbiamo andare
da che parte
dobbiamo andare?
Manca il 'ghisa'
a rispondere il
quale, comunque,
non potrebbe
offrirsi di
accompagnarci in
manicomio.
Nell'ipotetico
caso, l'unico
luogo dove
potrebbe
condurci è un
presidio di
trattamento per
diversamente
senzienti.
Ma per tornare
alle dolenti
note dell'Est,
la frenesia
umanitaria dei
sordomuti è
inarrestabile e
versatile,
culturale
persino: nel
mentre, a
debito, forniamo
materiale di
prima scelta per
la pugna in
corso, ci
saremmo anche
potuti
interrogare sul
perché stiamo
sostenendo
milizie ucraine
che innalzano
bandiere con
svastiche, visto
che
settantacinque
anni fa ci siamo
ravveduti e,
anche grazie
alle allora
fiere schiere
della falce e
del martello,
abbiamo posto
fine alle
nefandezze di
coloro che erano
arrivati persino
ad invertire
simbolicamente
il corso del
Sole. Poi, ci
siamo
ulteriormente
ravveduti quando
ci sono state
palesate sia le
'purghe' che le
mire sull'Europa
del baffuto capo
del Cremlino.
E lì, mentre i
lungimiranti
yankee
'cernevano' gli
intelletti più
fulgidi tra i
nostalgici
norreni, utili
al loro
progresso, la
Germania
smembrata dal
Muro,
testimoniava
l'integrale
contrapposizione
di una parte
dell'Europa ad
un oscuro stile
di vita di
popoli
dell'altra parte
della stessa
Europa al quale
il Patto di
Yalta li aveva
destinati. Ed
ora?
Ricominciamo da
capo invertendo
l'ordine dei
fattori? Ma no,
che andiamo a
pensare, ci
tranquillizzano
i sordomuti,
suffragati
dall'elevato
pensiero dei
fornitori di
militaria.
Quella della
bandiera è
sicuramente la
svista di
qualche
bontempone
ignorante che
invece di
adottare
l'emblema della
Swastika,
eurasiatica,
destrorsa,
creatrice, si è
confuso e ha
inalberato
quello della
Svastica,
sinistrorsa,
dissolutrice.
C'è da capirli,
so' ragazzi,
come disse il
Divo Giulio a
proposito dei
partecipanti al
1° governo
Berlusconi.
Già, ma le
sanzioni? E gli
effetti di
rimbalzo
peggiori di
quelli diretti?
Nonostante le
attuali
difficoltà nel
conciliare il
pranzo con la
cena, dobbiamo
stringere i
denti e tirare
avanti sotto le
finestre di
casa, come fece
Amatore Sciesa
prima di venir
condotto al
patibolo da un
sordomuto e
fucilato perché
il boia per
l'impiccagione
si era ammalato
il giorno prima.
Ma … d'accordo.
Possiamo almeno
conoscere il
motivo in base
al quale il
carburante da
trazione ha
avuto una così
rilevante
impennata?
Perché, si
domanda, nel
2008, anno
fatidico della
crisi mondiale,
un barile di
greggio è
arrivato a
costare 145
dollari e il
prezzo di un
litro di super
si attestava a
1,37 euro mentre
oggi che un
barile lo si
acquista per 110
dollari la super
tocca i 2,30
euro? Non
parliamo di gas
bensì di
petrolio.
Sembra di essere
tornati al
monopolio delle
Sette Sorelle,
come le definì
Mattei, e al
Consorzio per
l'Iran … che,
almeno a quel
tempo, volgevano
le loro
attenzioni alla
'mungitura' del
cosiddetto Terzo
Mondo.
Ehh! Ma le
tapine non sanno
che ride bene
chi ride ultimo:
la vigile
Commissione
Esecutiva
europea ha posto
indefettibilmente
al 2035 la fine
dei motori
endotermici e la
sola trazione
elettrica del
parco
circolante. Il
loro potere,
quindi, è al
termine
superando, tra
l'altro, gli
sforzi del
nostro premier
che si era posto
l'obiettivo di
portare l'Europa
a porre un price
cup sul
carburante da
trazione. Meno
male, perché con
i tempi degli
iter procedurali
avremmo corso il
rischio di
superare quel
termine, atteso
l'esito
positivo.
In ogni caso, ad
occhi profani
potrebbe
apparire
contraddittoria
l'attuale linea
comunitaria
green che, nel
contesto di una
crisi globale,
sconvolge
direttamente e
indirettamente
sistemi
produttivi e
livelli
occupazionali;
una scelta che,
peraltro,
potrebbe
sembrare
irrazionale
vista l'attuale
produzione di
elettricità,
insufficiente al
soddisfacimento
dell'obiettivo
il quale
comporterà,
sempre in piena
crisi,
investimenti in
centrali di un
fottio di
quattrini che
non abbiamo e la
scelta di come
alimentarle in
un periodo di
siccità. Già,
c'è il gas. Al
che sarebbe da
chiedersi perché
un Paese in
attività
belliche (non
c'è
dichiarazione di
guerra) con
l'Ucraina,
sostenuta con
ogni mezzo da
Paesi
occidentali
(ancora questo
astruso
aggettivo)
dovrebbe
continuare a
fornire gas,
come tutti
sperano che
continui a fare,
a quegli stessi
Paesi che lo
osteggiano con
ogni mezzo.
E, ancora. La
decisione di
avvalerci di gas
liquido
americano, il
cosiddetto gas
di scisto o
fracking, se non
ipocrita
potrebbe
apparire
culturalmente
contrastante con
la scelta green
in quanto, oltre
a costare il
50%, in più è
stato bandito
fino a pochi
anni fa in
Francia e
comunque
limitato e
regolamentato
dall'Unione
europea prima
della vicenda
ucraina perché
ottenuto
attraverso la
frattura
idraulica di
strati rocciosi
nel sottosuolo,
a danno
ovviamente
dell'ambiente
interessato.
Stranamente, non
si odono
associazioni
ambientalistiche,
tipiche della
vecchia cara
Europa, che
battagliano con
le autorità
locali e
centrali in
difesa
dell'habitat,
che so, dei
piumati
Charadrius
vociferus o
Botaurus
lentiginosus o
dell'ecosistema
della Fockea
capensis o del
pino di palude.
Ma, anche se si
udissero, non
credo che
avrebbero vita
facile e che
potrebbero
permettersi il
lusso di
lasciare
inutilizzati
oltre settecento
punti estrattivi
tra gas e
petrolio come
accade da noi.
In ogni caso, un
sacco
d'interrogativi
gravosi fluttua
nell'aria,
legandosi e
sciogliendosi
come una danza
funebre in
attesa di
comprendere il
senso della
morte. Aspetto
di capire … ma,
mentre la nebbia
che non si vede
si addensa
nell'aria mi
sembra di
sentire,
ovattata, la
tipica,
lapidaria
risposta di mia
moglie di fronte
ad ottusi
interrogativi
razionali di una
mentalità
maschile: No. Tu
non capisci. E
la discussione è
chiusa con una
donna che
sordomuta non è.
Figuriamoci con
gli affetti da
Citomegalovirus
dai quali non
c'è, certo, da
aspettarsi una
risposta.
Ma, allora, per
andare dove
dobbiamo andare
da che parte
dobbiamo andare?
Da perderci il
capo ma i
manicomi sono
chiusi per la
legge Basaglia
dando un più
ricco e
articolato
significato al
senso di quel
famoso aforisma
che si dice
fosse posto su
una targa al
loro ingresso:
'Non tutti qui
ma sparsi per il
mondo'. Già, non
sembra facile
scorgere in giro
un po' di
razionalità con
l'incalzante
sordomutismo che
sembra trovare
particolare
attecchimento in
talune zone:
specialmente in
quelle
contornate dal
mare, ricche di
sole, di arte,
di bellezze
naturali, di
vestigia di un
antico passato.
Ecco. Sembra che
là il virus in
parola abbia
trovato modi di
fondersi con
quello della
rosolia e col
parassita del
Toxoplasma per
accrescere i
suoi dannosi
effetti.
In generale, i
contagi derivano
da una ridda di
varianti indotte
da un range che
va dalla
gestione
assennata dei
social forum a
cura delle big
data,
all'amministrazione
giudiziosa delle
risorse
alimentari a
cura delle big
farm, al governo
saggio della
finanza a cura
delle big
finance
companies: nel
big è il futuro
che annovera,
come detto, le
big pharma e le
big companies
armies. Ed in
genere, in
località meno
amene, i
contagiati di
fronte alla
'grandezza'
tacciono ed in
silenzio
eseguono.
Tutt'al più,
qualche
borbottio mentre
menadi danzanti,
liberatesi di
Dioniso,
affondano unghie
e denti nel
povero piccolo
daino
semplicemente
per cibarsene.
Ma in località
gradevoli il
contagio è più
fastidioso,
ricco di parole
inutili, quasi
petulante. E,
lì, la legge di
Murphy trova un
naturale
arricchimento.
Quando il medico
militare John
Paul Stapp pose
mano alle
riflessioni
dell'ingegnere
statunitense
Edward Murphy e
ne trasse i noti
nove corollari,
ne dimenticò
certamente uno:
'quando pensi di
essere arrivato
in fondo, guarda
meglio e trovi
la botola'. Già,
la botola. Mezzo
mondo è alle
prese con i
drammatici
problemi
dell'inflazione,
delle picchiate
economiche,
dello
sfilacciarsi del
tessuto
produttivo; lo
spettro della
disoccupazione e
della
regressione
danza irridente
davanti ai
nostri occhi;
l'Europa sta
perdendo uno
dopo l'altro
punti di
riferimento
certi; leaders
balbettanti sono
alle prese con
problemi di
maggioranza e di
comprensione,
quando non di
etica; il
Mediterraneo è
diventato una
parata di samba
dalle flags più
variopinte
mentre le ONG
proseguono
indisturbate la
loro meritoria
opera
scegliendosi
addirittura i
porti
d'attracco.
Ecco, dinanzi a
tutto questo,
nostri amati
rappresentanti
del 'daino', di
governo e di
opposizione,
drasticamente
colpiti dagli
effetti
combinati delle
tre patologie,
discutono
animatamente e
progressisticamente
di cannabis, di
ius scholae,
oltre che delle
beghe di un
movimento di
attorucoli
parodianti
infelicemente i
fratelli Caponi.
Non penso che
sia facile
scorgere in giro
riscontri di
contagio così
allarmanti. Già,
La botola, che
trova finalmente
il fondo nel
secretum della
Capitale dove
senz'altro si
avverte un
cambio di passo
rispetto alla
trascorsa
gestione. Non
c'era giorno
dove i massmedia
non additassero
all'attenzione
delle genti le
manchevolezze
della passata
amministrazione.
Oggi, la
differenza è
palese: i
massmedia
tacciono mentre
la Capitale
affonda tra
cumuli di
rifiuti, nel
degrado urbano,
immersa in un
caotico traffico
ingrugnito da
lavori annosi
senza fine. Una
Capitale
all'insegna di
un Paese che il
Citomegalovirus
sta destinando
alla miseria.
Una situazione
degna di un
rinato Pasquino:
Quod non
fecerunt
barbari,
fecerunt
Barberini.
Chissà perché,
ripensando alle
parole finali
della
sostituzione
operata dalla
allora 'nuova'
Segreteria del
Partito
Comunista
sovietico sul
testamento di
Lenin, mi viene
in mente la
favola
attribuita a
Esopo sullo
scorpione e la
rana.
Conoscevamo gli
effetti dannosi
del virus;
eppure, dopo
quale
tentennamento,
abbiamo lasciato
che i contagiati
salissero sulle
nostre spalle
per essere
trasportati al
di là del fiume.
Non possiamo
meravigliarci
più di tanto,
quindi, se nel
tragitto, a
causa
dell'irrazionalità
tipica dei
contagiati,
insieme a loro …
affoghiamo.
Note:
1. Vospominaniya
o Lenine, Novyi
Zhurnal
[traslitterazione
del termine
inglese journal
diario], numero
65, New York,
1961 (in russo).
Poi pubblicata
in inglese The
Lufkin News,
King Featurers
Syndicate, Inc.,
31 luglio 1962,
pagina 4,
riprodotta
infine nel
Freeman Report
del 30 settembre
1973, alla
pagina 8 -
riportato in
https://it.wikipedia.org/wiki/Utile_idiota#cite_note-4
2.
https://it.wikipedia.org/wiki/Utile_idiota#cite_note-4 |
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GOVERNO: TEMPO
DI VERIFICA |
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In politica, tra
i molti
irredimibili
brocchi, qualche
cavallo di razza
lo si trova.
Prima però di
svelare
l'identità del
purosangue,
riavvolgiamo il
nastro degli
eventi accaduti
negli ultimi
giorni. Ieri
l'altro, coup de
théâtre: il
Movimento Cinque
Stelle non ha
votato il
Decreto "Aiuti"
all'esame della
Camera per la
conversione in
legge. Eppure,
qualche ora
prima aveva
rinnovato la
fiducia al
Governo Draghi.
Che succede?
C'era aria di
tempesta nel
Paese e per il
prossimo autunno
si annuncia un
terremoto
sociale che
travolgerà la
politica.
Perciò, i furbi
se la danno a
gambe. Almeno ci
provano.
Giuseppe Conte,
in caduta
verticale di
consensi, gioca
d'astuzia.
Tuttavia, il
tentativo è a
dir poco
velleitario.
Consapevole che
la protesta
sociale non
tarderà a
montare, il capo
dei Cinque
Stelle valuta
che,
dissociandosi
adesso
dall'azione di
Governo,
potrebbe
candidarsi a
rappresentare le
ragioni degli
"incavolati" per
le decisioni
sbagliate prese
dall'Esecutivo
di Mario Draghi.
È legittimo
tentare, ma non
è detto che il
giochetto
riesca. Conte
punta sulla
memoria corta
dei
concittadini. Ma
ha torto. Gli
italiani non
esiteranno a
rinfacciargli il
fatto che il
Movimento
grillino
dall'inizio
della
legislatura nel
2018, da prima
forza
parlamentare, ha
governato
associandosi a
tutti o quasi i
partiti presenti
in Parlamento.
Il Cinque Stelle
è stato
determinante nel
riplasmare, in
negativo, la
condizione del
Paese. Troppo
comodo adesso
chiamarsi fuori
e inventarsi
fuori tempo
massimo un ruolo
d'opposizione,
quando c'è già
chi ne occupa lo
spazio con
dignità e
coerenza.
Parliamo di
Giorgia Meloni e
di Fratelli
d'Italia.
Mario Draghi non
l'ha presa bene.
Lo smarcamento
di Conte gli
complica i piani
di fuga. Già,
perché l'idea di
tagliare la
corda dopo aver
ficcato il Paese
in un cul-de-sac,
con le sue
scelte
autolesionistiche
in politica
estera, lo
stuzzica.
Purtroppo per
lui, Mario
Draghi è
condannato a
restare al
timone della
barca Italia che
comincia a
sbandare. Quadro
inquietante: una
classe politica
da
encefalogramma
piatto che si
consegna
all'annichilimento
in un cupio
dissolvi.
Uno scenario
wagneriano da
"Crepuscolo
degli dei".
Ultimo atto.
Scena prima: il
Cinque Stelle il
prossimo
giovedì, al
Senato, non si
presenta a
votare a favore
del Decreto
"Aiuti",
sancendo di
fatto l'apertura
della crisi di
Governo. Scena
seconda: il
presidente del
Consiglio con
sguardo terreo,
di prassi nelle
ore buie della
Storia, si reca
al Quirinale per
rassegnare le
dimissioni nelle
mani del
Presidente della
Repubblica.
Scena terza:
Sergio
Mattarella,
emulo del suo
predecessore
Oscar Luigi
Scalfaro, gli
risponde "non ci
sto" e lo
rispedisce di
gran carriera in
Parlamento, per
verificare se vi
siano i numeri
per tenere in
piedi uno
straccio di
Governo. Anche
pochi, risicati,
ne bastano al
Capo dello Stato
per impedire il
ritorno
anticipato alle
urne. Scena
quarta: Draghi,
costretto suo
malgrado, si
presenta alle
Camere e scopre
che una
maggioranza
senza Cinque
Stelle è
possibile.
Archiviata
l'agognata fuga
resta l'obbligo
di bere l'amaro
calice della
responsabilità
governativa fino
in fondo, quando
la legislatura
perirà di morte
naturale, nel
2023. Fine del
dramma
all'italiana.
Tutto come da
copione, se non
fosse per
l'apparizione in
campo del
cavallo di
razza, non
prevista nel
canovaccio
dell'opera
buffa. Il
purosangue è il
solito Silvio
Berlusconi.
Bisognerebbe
dire: quel
satanasso di
Silvio
Berlusconi, che
quando pensi che
si sia ritirato
a vita privata
nei suoi vasti
possedimenti,
rispunta fuori
dal cilindro del
prestigiatore
per fare la
mossa che
spiazza tutti e
manda all'aria
lo screenplay
della
commediola. Che
combina il
vecchio leone?
Chiede
formalmente a
Mario Draghi una
verifica di
Governo. I più
giovani, i
millennial, una
roba del genere
neanche sanno
cosa sia.
Effettivamente,
è da liturgie
della "Prima
Repubblica". Nel
vocabolario
Treccani è
spiegata così:"
Nel linguaggio
politico e
giornalistico,
accertamento
della
sussistenza
delle
motivazioni di
fondo e delle
condizioni che
hanno
determinato
un'alleanza, una
intesa, una
coalizione di
governo tra due
o più partiti".
La "verifica" si
risolve in due
modi: o il
Governo
sopravvive, o
salta. La
formula che ne
annuncia la
soluzione è
uguale, con la
differenza della
presenza, in
caso di esito
sfavorevole
della verifica,
della forma
avverbiale della
negazione "non
esistono le
premesse per un
rilancio
dell'azione del
Governo" oppure
"esistono le
premesse per un
rilancio
dell'azione del
Governo".
Chiarito cosa
sia, proviamo a
capire perché
Berlusconi
l'abbia
scagliata sul
tavolo del
premier.
Formalmente, per
sottrarre Mario
Draghi
all'azione
ricattatoria dei
Cinque Stelle e
per consolidare
una nuova
maggioranza in
grado di
sostenere fino
all'ultimo
giorno della
legislatura
l'azione di
Governo. La
sostanza,
invece, è
l'opposto.
Berlusconi,
vecchio cane da
tartufi della
politica, ha
fiutato la
trappola che il
capo dei Cinque
Stelle vorrebbe
tendere a lui e
agli altri
partner di
maggioranza:
farli ritrovare
con il cerino
acceso in mano
nel momento in
cui l'economia
nazionale verrà
giù di botto,
trascinando
l'intera società
civile nel
crollo. Avrà
pensato il
vecchio leone:
meglio prendere
tutti in
contropiede e
andare a votare
subito, prima
che accada
l'irreparabile.
Berlusconi sa
fare l'analisi
dei costi e
ricavi di
un'intrapresa. È
ipotizzabile che
si sia fatto due
conti e abbia
deciso che
staccare la
spina al Governo
sia più
vantaggioso che
intestardirsi a
tenerlo in
piedi. Fermare
adesso i giochi
significherebbe
impedire al
Partito
Democratico di
brigare con la
Lega per
riformare in
senso totalmente
proporzionale la
legge
elettorale.
Inoltre,
eviterebbe che
la Meloni, già
avanti di
parecchie
braccia sui due
partner di
coalizione nelle
intenzioni di
voto degli
elettori, possa
prendere il
largo.
Soprattutto,
toglierebbe al
Capo dello Stato
il ruolo di
dominus sugli
assetti e sugli
indirizzi
governativi,
restituendo
centralità
decisionale al
confronto tra le
forze di
maggioranza
nella
costruzione
dell'azione di
governo.
Ma c'è un altro
aspetto, di
carattere
personale, che
può aver
influito nella
decisione di
Berlusconi di
rompere i giochi
del teatrino
contiano. Il
vecchio leone
teme che la
piega presa
dagli eventi
nella guerra
russo-ucraina
sia molto
pericolosa. Per
sua natura, il
leader di Forza
Italia crede
nella capacità
del dialogo di
rimettere a
posto le cose,
anche quelle già
rotte. Sa di
essere uno dei
pochi al mondo
ad avere una
chance con
Valdimir Putin
per convincerlo
a sedere a un
tavolo di pace.
Ma sa anche che,
senza una
legittimazione
formale che lo
rimetta in
pista, non può
fare nulla.
L'occasione si
era presentata
con l'elezione
del Capo dello
Stato, ma la
pochezza dei
"nani" della
politica
nostrana ha
impedito che la
persona giusta
finisse al posto
giusto, nel
momento del
bisogno.
Oggi, le voci di
dentro del
sentire popolare
dicono che, con
questa legge
elettorale, il
centrodestra
unito vincerebbe
con ampio
margine sul
centrosinistra
allargato.
Berlusconi sa
anche che ciò
che potrebbe
essere vero fino
a ottobre non è
detto che lo
sarà la prossima
primavera. É
indispensabile
cogliere
l'attimo. Si
obietterà: c'è
la legge di
bilancio da
fare. Vero. Ma
se si votasse al
più tardi agli
inizi d'ottobre,
ci sarebbero
ampi margini per
il nuovo
Parlamento di
votare la
Finanziaria
entro la
scadenza
canonica del 31
dicembre,
evitando così
l'esercizio
provvisorio di
bilancio. Più
fondata potrebbe
essere
l'obiezione: il
Capo dello Stato
alzerà le
barricate al
Quirinale
piuttosto che
concedere il
ritorno alle
urne. Possibile,
ma i numeri che
tanto piacciono
a Sergio
Mattarella se
non ci sono, non
ci sono. Neanche
lui può
inventarli.
Da qui, la mossa
sorprendente
della richiesta
della verifica.
In caso di
rottura con i
Cinque Stelle,
potrebbe essere
Berlusconi,
trascinandosi
dietro un Matteo
Salvini sempre
più frastornato,
a interpretare
la scena-madre
dello statista
tradito dalla
miseria morale e
ideale di
Giuseppe Conte e
dei suoi sodali,
suggellandola
con un
epigrammatico
tutto è perduto,
fuorché l'onore.
Verosimilmente,
la verifica non
ci sarà. Colle,
Palazzo Chigi e
Nazareno faranno
l'impossibile
per evitare che
il boccino
finisca nelle
mani di
Berlusconi.
Convinceranno
Conte a darsi
una calmata. Per
salvargli la
faccia, gli
passeranno un
contentino al
quale
aggrapparsi per
raccontare
all'opinione
pubblica di aver
vinto. La verità
è che tutti
loro, i politici
del nostro
tempo, al netto
di rare
encomiabili
eccezioni, hanno
un solo credo al
quale sono
devotissimi:
tirare a
campare. E
neppure si
accorgono che,
per come si
stanno mettendo
le cose, hanno
la medesima
aspettativa di
vita in politica
di un cappone in
vista del
Natale. |
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COSI' PARLO'
IGNAZIO VISCO |
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Il Governo
Draghi deve
andare a casa.
Ne va della
salvezza degli
italiani. Mario
Draghi non è
l'uomo della
Provvidenza,
come si sperava.
Bisognerebbe
invece definirlo
l'uomo della
rovina per il
modo in cui sta
gestendo la
crisi prodotta
dallo scoppio
della guerra
russo-ucraina.
La nostra non è
una richiesta
generata da un
pregiudizio
ideologico nei
confronti del
Draghi
"politico". È,
al contrario,
una disincantata
osservazione dei
dati della
realtà,
accompagnata
dall'ascolto
delle analisi e
delle previsioni
elaborate da
fonti terze
qualificate a
stimare gli
andamenti
economici e
sociali del
sistema-Italia.
È pur vero che a
essere nei guai
non sia solo
l'Italia, ma
l'intero
Occidente.
Tuttavia, il mal
comune non ci
restituisce il
mezzo gaudio del
proverbio.
L'aggravante,
per il nostro
Paese, discende
dalle condizioni
di partenza che
lo vedevano, nel
confronto con i
partner
occidentali,
strutturalmente
più debole già
prima
dell'insorgere
della pandemia.
È un concetto
piuttosto
semplice: se la
crisi in altri
Paesi
dell'Europa e
del Nord America
colpisce da 6 a
8, in una scala
di misura da 0 a
10, in Italia, a
parità di
effetti, colpirà
10. É il motivo
per il quale il
nostro Governo
avrebbe dovuto
agire con
maggiore cautela
sulla scena
internazionale,
evitando di
appiattarsi
sulle posizioni
anglo-statunitensi
nel sostegno a
oltranza
all'Ucraina
contro la Russia
in luogo della
ricerca
immediata di un
compromesso
accettabile per
Mosca,
concordato
nell'ambito di
un più ampio
riassetto degli
equilibri
geostrategici
nell'area
orientale
dell'Europa. Se,
nella presente
congiuntura,
l'obiettivo del
Governo Draghi
era di sottrarre
il
sistema-Italia
alla dipendenza
dal gas russo,
bersaglio
mancato. Peggio,
scenario
totalmente
ribaltato.
Grazie alle
scelte compiute
in politica
estera, le sorti
dell'economia
italiana sono
state consegnate
alle strategie
sul campo
dell'autocrazia
moscovita.
Vladimir Putin
ci tiene per il
collo.
Non è una nostra
fantasia ma la
conclusione di
un'analisi
circostanziata
effettuata dal
governatore
della Banca
d'Italia,
Ignazio Visco.
Intervenendo
l'altro giorno
all'assemblea
dell'Associazione
bancaria
italiana (Abi),
il governatore,
con la pacatezza
e la sobrietà
richiesta dal
contesto, ha
spiegato come
stanno le cose e
il perché ci
siamo
assoggettati,
inermi, ai
disegni del capo
del Cremlino.
Visco dice: "Le
tensioni
geopolitiche
stanno avendo un
impatto marcato
anche
sull'economia
italiana che,
insieme a quella
tedesca, è tra
quelle
maggiormente
dipendenti dalle
importazioni di
materie prime
dalla Russia. Lo
scorso gennaio
ci attendevamo
una espansione
del prodotto
superiore al 3
per cento nella
media del
biennio 2022-23;
nello scenario
di base
elaborato in
giugno, nel
quale si
ipotizza che le
tensioni
associate alla
guerra si
protraggano per
tutto il 2022 ma
si esclude una
sospensione
delle forniture
di gas dalla
Russia, la
crescita è stata
rivista al
ribasso, di 2
punti
percentuali nel
complesso del
biennio, su
valori prossimi
a quelli
dell'area dell'euro…
In uno scenario
avverso
caratterizzato
da un arresto
delle forniture
dal terzo
trimestre di
quest'anno, solo
parzialmente
sostituite da
altre fonti, il
prodotto
registrerebbe
una contrazione
nella media del
biennio 2022-23,
per tornare a
crescere nel
2024. Al
deterioramento
del quadro
macroeconomico
contribuirebbero
le ricadute
dirette di tale
interruzione sui
settori a più
elevata
intensità
energetica,
ulteriori rialzi
nei prezzi delle
materie prime,
un più deciso
rallentamento
del commercio
estero, un
peggioramento
della fiducia e
un aumento
dell'incertezza".
In soldoni,
prima dello
scoppio della
guerra la
previsione di
crescita del Pil
era data a 3
punti
percentuali.
Scoppiato il
"casino", le
stime riviste al
ribasso tagliano
2 punti, a patto
però di
mantenere
costante
l'approvvigionamento
di gas dalla
Russia nel
biennio
2022/2023. Ma se
sciaguratamente
la fornitura
dovesse
interrompersi,
l'Italia
finirebbe in
recessione.
Intanto, il
tasso
d'inflazione,
che erode il
potere
d'acquisto
comprimendo
pesantemente i
redditi in
termini reali,
in giugno è
schizzato all'8
per cento, di
cui quattro
quinti a causa
degli effetti
diretti e
indiretti dei
prezzi
dell'energia e
dei beni
alimentari
(Visco); le
stime sul debito
pubblico
italiano in
giugno lo
collocano tra
2.753 e 2.769
miliardi di
euro, con una
crescita dello
spread tra i Btp
decennali
italiani e i
Bund (10 anni)
tedeschi fissato
alla chiusura
dei mercati l'8
luglio a 201,3
punti
percentuali.
Il governatore
Visco osserva,
inoltre, che:
"Le condizioni
di offerta del
credito sono
divenute negli
ultimi mesi meno
favorevoli".
Ragione per la
quale il rischio
di una
contrazione
dell'attività
economica è
concreto. Se
allineiamo tutti
i punti
dell'analisi del
capo della Banca
d'Italia la sola
conclusione
possibile è:
Putin se lo
volesse potrebbe
strangolarci.
Per le nostre
imprese sarebbe
il game over. Se
Mosca chiude i
rubinetti del
gas siamo
economicamente
morti. E tutto
questo al netto
della protesta
sociale che
potrebbe
divampare nel
Paese nei
prossimi mesi
con l'arrivo dei
primi freddi.
Con chi dovremmo
prendercela, se
siamo stati
trascinati
sull'orlo
dell'abisso? Con
il destino
cinico e baro?
No, amici.
Troppo comodo e
troppo stupido.
Gli errori in
politica hanno
sempre un nome e
un cognome a cui
intestarli. Nel
caso italiano,
la persona
responsabile del
disastro è Mario
Draghi. Ai
partiti di
maggioranza, che
sono diventati
lo zerbino del
premier, si può
attribuire una
responsabilità
concorsuale
nelle scelte
compiute.
Politicanti
deboli. E miopi,
per essere in
grado di avere
una visione del
futuro della
nostra comunità
nazionale.
Formazioni
partitiche
troppo rissose
al proprio
interno e tra
loro per avere
il privilegio di
essere
considerate
co-protagoniste
dell'azione di
Governo. In
Occidente, le
opinioni
pubbliche hanno
cominciato a far
sentire la loro
voce critica sul
modo con cui i
governi hanno
deciso di
affrontare il
dossier
russo-ucraino.
Da qui al
prossimo autunno
una serie di
stress-test ci
dirà se le
leadership che
hanno scelto la
via del sostegno
a oltranza al
conflitto armato
saranno
confermate o
meno nel
gradimento dei
cittadini. In
Francia,
Emmanuel Macron
ha perso la
maggioranza
all'interno
dell'Assemblea
Nazionale. Negli
Stati Uniti, l'8
novembre, si
voterà per
elezioni di
Midterm, cioè
per il rinnovo
della Camera dei
rappresentanti e
di un terzo
della
composizione del
Senato. Se i
Democratici
dovessero
perdere la
maggioranza in
entrambi i rami
del Congresso,
gli ultimi due
anni della
presidenza di
Joe Biden
sarebbero quelli
di un'anatra
zoppa. In Gran
Bretagna,
l'anti-russo per
eccellenza, il
primo ministro
Boris Johnson, è
stato silurato
dai suoi stessi
colleghi del
Tory party. Un
nuovo inquilino
a Downing
Street, ancorché
conservatore
come Johnson,
potrebbe
cambiare
l'approccio al
dossier
russo-ucraino.
È tempo che
anche in Italia
tutto cambi.
Questa
legislatura è
già morta.
Avrebbe dovuto
durare il tempo
del contenimento
della pandemia.
Invece, una
politica
incapace di
governare la
complessità e
affollata di
nani sta
tramando per
replicare, nella
prossima
legislatura, ciò
che avrebbe
dovuto essere
eccezionale e
irripetibile: il
Governo Draghi.
Le "belle
statuine" del
teatrino della
politica non ci
provino a
tirarla per le
lunghe. Più si
intestardiranno
nel voler
restare
incollati alle
poltrone, più
intensi saranno
lo sdegno
popolare e il
desiderio di
liberarsi di
loro. Preveniamo
l'obiezione: c'è
una legge di
bilancio da
fare. D'accordo,
la si faccia in
tempi brevi e
nella forma più
neutra possibile
ma un istante
dopo la sua
approvazione si
restituisca al
popolo sovrano
il potere di
scegliere da chi
farsi
rappresentare e
governare nel
prossimo futuro.
Il deteriorarsi
della condizione
generale del
Paese imporrà
scelte radicali
che solo una
solida
maggioranza,
espressione
coerente della
volontà
popolare, potrà
assumere. Basta
con gli uomini
della
Provvidenza e
con i salvatori
della Patria. Lo
avevamo
verificato con
la pessima
avventura
governativa del
"commissario"
Mario Monti e ci
siamo ricascati
con Mario
Draghi. Siamo
incorsi due
volte nello
stesso errore.
Ma non vi potrà
essere una terza
volta, per la
semplice ragione
che, di questo
passo, non vi
sarà più un
Paese al quale
venga concesso
il lusso di
sbagliare
ancora. Lo ha
detto tra le
righe Ignazio
Visco. E a lui
noi crediamo. |
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