POLITICA  
    di Cristofaro Sola    
       
    RENZI-CALENDA: ATTENTI A QUEI DUE    
   
Matteo Renzi e Carlo Calenda? Guai a sottovalutarli. Oggi litigano sulla costruzione del partito unico dei riformisti, ma descriverli come due figli di papà che per farsi reciprocamente dispetto rompono il giocattolo è quantomeno semplicistico e fuorviante. La rottura, intervenuta tra i due, ha motivazioni serie, per comprendere le quali non occorrono espressioni caricaturali. Azione e Italia Viva, preso atto del fallimento di un progetto ardito, devono necessariamente riposizionarsi. E proprio il riposizionamento strategico risulta al momento impraticabile nella combinazione unitaria per la semplice ragione che tra le due forze politiche, di là dalla convergenza su un programma elettorale e sulle candidature, non vi sia una visione condivisa circa la futura collocazione dell'area centrista sulla scena politica. Ma facciamo un passo indietro. Prima Matteo Renzi, poi Carlo Calenda lasciano il Partito Democratico nella convinzione che una terza via al bipolarismo, radicato nella contrapposizione frontale tra un centrosinistra e un centrodestra, sia possibile anche in costanza di una legge elettorale - il Rosatellum - che premia le aggregazioni coalizionali. L'idea, benché suggestiva, viene letteralmente demolita dalla successione dei risultati delle urne riscontrati in cinque tornate elettorali - una per le Politiche e quattro per le Regionali in Sicilia, nel Lazio, in Lombardia e in Friuli-Venezia Giulia - tenutesi tra il settembre dello scorso anno e questo mese di aprile.
Indipendentemente da chi le abbia vinte e chi invece le abbia perse, il dato politico decisivo, emerso dal voto, è dato dall'incontrovertibile volontà degli italiani di preferire il sistema bipolare a soluzioni che lascino mani libere alle forze partitiche di combinare in Parlamento maggioranze di governo non in linea con gli orientamenti dell'elettorato. Il progetto costruito da Renzi e Calenda puntava a incuneare un'area di centro tra i due schieramenti principali, che avesse tale forza numerica in Parlamento da annichilire le vocazioni maggioritarie della sinistra e della destra e ne impedisse l'autosufficienza ai fini della costruzione di maggioranze di governo. Sappiamo com'è andata. Lo scorso 25 settembre la lista Azione-Italia Viva per Calenda presidente ha ottenuto alla Camera dei deputati il 7,79 per cento dei consensi e 21 seggi; al Senato il 7,73 per cento e 9 seggi. Se alle Regionali in Sicilia, svoltesi in contemporanea con il voto per le politiche, la lista Azione-Italia Viva ha replicato il risultato nazionale (7,79 per cento), successivamente nel Lazio, dove la lista Calenda-Renzi si presentava in coalizione con il Partito Democratico, ha ottenuto il 4,86 per cento; in Lombardia, dove il Terzo polo sosteneva la candidatura dell'outsider Letizia Moratti, ha conseguito il 4,25 per cento; in Friuli-Venezia Giulia, con un proprio candidato, ha ottenuto il 2,73 per cento.
Alla luce di un tonfo clamoroso i due leader centristi non potevano non pensare a un riposizionamento strategico che coinvolgesse il processo di unificazione dei due partiti in un unico soggetto politico. La fase di transizione prevedeva, come primo step, la creazione di un contenitore unico nel quale fare confluire i gruppi parlamentari di Azione e Italia Viva; in seconda battuta, lo scioglimento dei due partiti e la costituzione di un soggetto politico unico. Ora, se il primo step non è messo in discussione per evidenti convenienze, anche economiche, a presentarsi uniti in Parlamento, quello che è saltato in queste ore è il secondo step. Perché? Le questioni poste da uno stizzito Carlo Calenda sull'indisponibilità di Renzi a sciogliere anticipatamente Italia Viva e a mettere in comune la cassa appaiono risibili. Verosimilmente, il leader di Azione, con l'elezione dell'ultra progressista Elly Schlein alla guida del Partito Democratico, ha visto profilarsi la possibilità di diventare un punto di attrazione per la corposa area liberale-riformista del Pd, pesantemente penalizzata dalla svolta a sinistra intrapresa dal nuovo corso del partito.
Plausibilmente, Calenda pensa di rappresentare una sorta di gruppo di élite che faccia da contrappeso pensante a un poco riflessivo e massimalista movimentismo impersonato dalla "liberal" Schlein. Ciò comporterebbe una collocazione degli "azionisti" di Calenda in forma organica nel campo del centrosinistra, sulle orme dell'esperienza politica del Partito d'Azione, nato e vissuto tra il 1942 e il 1947 e al quale con ogni evidenza Carlo Calenda ha inteso ispirarsi nella scelta del nome del suo movimento politico. Tuttavia, il Partito d'Azione, nonostante i magri risultati riportati alle elezioni del 2 giugno 1946 per l'Assemblea costituente, non mancò di fornire alla nuova Italia repubblicana, che sorgeva dalle ceneri della tragedia della Seconda guerra mondiale, un personale politico di altissima qualità, che è agli onori della storia della nazione. Ora, senza scadere nella volgarità, viene difficile pensare che Calenda possa convincerci del fatto che, come nella celebre aria del Rigoletto, una Mariastella Gelmini e una Mara Carfagna, "questa o quella pari sono", in quanto a statura politica, a un Ferruccio Parri, un Ugo La Malfa, un Riccardo Lombardi, un Leo Valiani. Ma tant'è.
Matteo Renzi, invece, non abdica all'idea di rappresentare il "terzo incomodo" alla tavola dei grandi. Ciò comporta il rafforzamento di una libertà assoluta da vincoli che lo legherebbero a uno dei due poli maggiori. La tattica corsara di Matteo Renzi sta nell'affiancarsi episodicamente, cioè senza cementare rapporti organici, all'una o all'altra delle coalizioni, a seconda degli interessi della propria base elettorale, delle convenienze dei dirigenti del partito e del momento storico. Attraverso tale chiave deve essere interpretata la decisione, tutt'altro che bizzarra, di Matteo Renzi di assumere la direzione editoriale del quotidiano Il Riformista. Forte di un rapporto con l'editore, Alfredo Romeo, che risale ai tempi in cui un giovane Renzi faceva il bello e il cattivo tempo da Palazzo Chigi, il leader di Italia Viva intende usare il tema del garantismo per sollecitare una qualche scomposizione nel traballante mondo post-berlusconiano di Forza Italia.
Non a caso, Renzi ha chiamato a ricoprire il ruolo di direttore responsabile del giornale l'ex parlamentare forzista Andrea Ruggieri, caro a Silvio Berlusconi e al suo potente zio, Bruno Vespa.
Renzi si prepara a un lungo ed estenuante stop-and-go con il Governo Meloni nella convinzione di poter trarre profitti elettorali da un'opposizione "diversamente dialogante" con la maggioranza. Tale schema tattico è assolutamente inconciliabile con il riposizionamento a cui pensa Calenda. A tentare una previsione possiamo dire che il contenitore unico per Azione e Italia Viva, posto sotto il segno zodiacale del progressismo liberale-progressista macroniano, resterà attivo almeno fino alle Europee del 2024 dove, per conquistare seggi all'Europarlamento, bisognerà superare la soglia di sbarramento del 4 per cento (Legge 10/2009). Invece, il futuro unitario del Terzo polo resta in mente Dei. Anche se dubitiamo che financo il Padreterno ci abbia capito qualcosa del rapporto tra quei due. Carlo e Matteo.




Aggiornato il 15 aprile 2023 alle ore 10:06
   
   
         
    POLITICA    
    di Cristofaro Sola    
       
    IN FRIULI IL CENTRODESTRA VINCE E CONVINCE    
    Il centrodestra ha stravinto alle Regionali in Friuli-Venezia Giulia. Il candidato Massimiliano Fedriga, presidente uscente, passa con una percentuale di consenso significativa (64,24 per cento). La sinistra, che ha riunito nel campo largo Partito Democratico, Movimento Cinque Stelle, Alleanza Verdi-Sinistra, è stata terremotata (28,37 per cento). Alessandro Maran, candidato per il Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda: non pervenuto (2,73 per cento).
Le vittorie, in genere, hanno molti padri e, mai come in questo caso, è giusto riconoscerlo. Fedriga, nei cinque anni del precedente mandato, ha fatto un ottimo lavoro dimostrando di avere una visione del futuro del suo territorio che i cittadini hanno compreso e apprezzato. Di certo, il candidato della coalizione di centrodestra ha beneficiato dell'onda lunga del gradimento che il Paese sta dimostrando al Governo di Giorgia Meloni. Ed è ugualmente vero che la poca credibilità del sodalizio tra estranei, che ha caratterizzato il rassemblement a sinistra, sia stata un fattore di spinta per la riconferma di Fedriga. I numeri ottenuti dalle singole liste lo attestano. Il Partito Democratico, primo tra quelli dell'opposizione, si piazza quarto nel computo generale con il 16,49 per cento dei voti. É dietro alla Lega (19,02 per cento), a Fratelli d'Italia (18,01 per cento) e alla lista Fedriga presidente (17,77 per cento). I Cinque Stelle si sono letteralmente dissolti (2,4 per cento). Segno che l'ipotesi della terza via, padroneggiata dal qualunquismo populista dell'utopia grillina, alla quale in passato - alle Politiche del 2018, acme del successo pentastellato - i friulani avevano concesso ampio credito (24,57 per cento, Camera dei deputati), non è risultata minimamente attrattiva quando c'è stato da scegliere per il Governo del territorio.
L'esito elettorale in Friuli dimostra che la polarizzazione della lotta politica in due blocchi contrapposti si conferma la declinazione del principio democratico preferita dagli italiani. In tale ottica, il voto che consegna il Terzo Polo, e con esso tutte le suggestioni neo-centriste, all'irrilevanza lo si può definire paradigmatico in vista del consolidamento del bipolarismo per le prossime scadenze elettorali, a eccezione delle Europee, modellate sul sistema proporzionale. I media organici alla sinistra, visti i risultati devastanti per i loro sponsor politici, si sono affrettati a separare le responsabilità della nuova leader del Partito Democratico, l'ultra progressista Elly Schlein, dagli esiti delle urne friulane, arrivando a sostenere, con una spericolata acrobazia argomentativa, che la sconfitta dovesse essere messa nel conto della precedente gestione del partito. Non è così. L'effetto Schlein c'è stato e, verosimilmente, è servito ad arginare uno smottamento che, nelle condizioni pregresse determinate dall'anarchia feudale della stagione lettiana, sarebbe stato ancor più disastroso. La verità è che si sono fronteggiati due modelli di società sostenuti dalle organizzazioni partitiche le quali, nell'ambito dei rispettivi schieramenti, risultano più assertive rispetto alla radicalizzazione del confronto politico. In tale schema, la destra ha vinto e la sinistra ha perso. Tuttavia, il pur nitido risultato non deve indurre i vincitori a cullarsi sugli allori.
C'è un dato, poco rimarcato, che interviene a guastare la festa al centrodestra e a gettare un'ombra sulla brillante vittoria di Fedriga. È quello dell'affluenza. Troppo bassa per passare inosservata e per non destare preoccupazione. Su 1.109.395 aventi diritto al voto si sono recati alle urne in 502.209, cioè il 45,27 per cento del corpo elettorale. È un segnale forte per il neo-governatore, che ha cinque anni a disposizione per convincere più della metà dei suoi concittadini a riappropriarsi della fiducia nella politica. Il Venezia Giulia ha un passato industriale di tutto rispetto al quale vorrebbe rapidamente tornare. Basti pensare che appena qualche anno fa, nel 2015, il Friuli-Venezia Giulia era, dopo il Piemonte e insieme al Veneto e alle Marche, tra le regioni più industrializzate d'Italia (fonte: Prometeia) con un comparto manifatturiero in grado di pesare per il 38 per cento sull'economia regionale e un tessuto imprenditoriale di circa 7mila aziende. Le crisi che si sono susseguite in questi anni hanno colpito duramente l'apparato produttivo friulano.
Oggi cosa chiedono principalmente gli attori della produzione al Governo regionale? Non sussidi e prebende ma un'accelerazione sul versante dell'infrastrutturazione del territorio, dell'innovazione tecnologica, della sburocratizzazione e delle misure atte a rendere più competitive le produzioni locali sui mercati nazionali ed esteri. Tale istanza viene evidenziata dal successo - inatteso per i media - della Lega. Il fatto che il partito di Matteo Salvini sia tornato a essere il più votato nelle terre del confine nord-orientale del Paese ha un preciso significato. Se gli elettori friulani l'avessero voluta punire, senza per questo autolesionisticamente consegnarsi alle follie ultra-progressiste della sinistra, avrebbero votato in massa per Fratelli d'Italia, come è accaduto alle Politiche dello scorso settembre quando il partito di Giorgia Meloni ha ottenuto uno storico 31,30 per cento di consensi contro il 10,95 per cento della Lega. Avrebbero potuto optare per un voto alla lista del presidente Massimiliano Fedriga, con ciò distinguendo platealmente tra l'apprezzamento per la persona del governatore uscente e il partito di cui questi fa parte. Non è accaduto. Perché?
Si può desumere che un'apertura di credito non sia stata soltanto offerta a Fedriga ma che anche Matteo Salvini ne abbia beneficiato. Non il Salvini "capopopolo" sovranista e anti-europeo e neppure il Salvini truce ministro dell'Interno del Conte I, ma il Salvini dal basso profilo, titolare del dicastero delle Infrastrutture del Governo Meloni, che sta dimostrando di far presto e bene il suo mestiere. Il premio concesso dall'elettorato friulano alla coppia Fedriga-Salvini va a innestarsi sull'asse Trieste-Roma per la realizzazione in tempi accelerati di quelle opere pubbliche funzionali alla ripresa economica del territorio regionale. È questo il dato politico centrale che il risultato elettorale ci restituisce. Ed è questa la chiave per sistematizzare una prassi di Governo del centrodestra, non limitandola ai soli territori del Nord ma estendendola all'intero Paese. Sembrerà pure una previsione forzata, ma siamo convinti che in ciò che è accaduto in Friuli la scorsa domenica e lunedì vi siano contenuti i fattori di stabilità che potranno portare il centrodestra a governare una fase storica ultradecennale alla guida della nazione.
Adesso il pallino passa nelle mani di Giorgia Meloni, di Matteo Salvini e, più marginalmente, di Silvio Berlusconi. Sta a loro giocarselo al meglio delle proprie possibilità, lasciando che la sinistra giri a vuoto continuando a fomentare lunari polemiche a sfondo etico-ideologico, assolutamente minoritarie nell'idem sentire degli italiani. Se, in questi anni, l'istanza primaria dell'elettorato, capita dalla Meloni e non dagli altri - alleati o competitori che fossero - poteva riassumersi nella parola "coerenza", d'ora in avanti il claim appropriato per descrivere le aspettative degli italiani sarà "concretezza". Il discrimine che segnerà la linea di confine tra il successo e la sconfitta starà nella capacità di fare le cose di cui gli italiani hanno bisogno per rimettersi in piedi e ripartire. Non è già questa una bella notizia? A noi sembra che lo sia davvero.
   
       
       
         
    POLITICA    
    di Cristofaro Sola    
       
    NELL'ITALIA DELLE CULLE VUOTE    
    Accade che, mentre la politica s'impantana su questioni prive di valore sostanziale, piomba sulle nostre vite, e sui nostri sogni, come un macigno scagliato dall'alto di una rupe, la dura sentenza dell'Istat a proposito della curva demografica italiana. Non passa giorno che ciascuno dei protagonisti della politica non si faccia avanti per illustrare la sua personale visione del mondo che verrà, non preoccupandosi minimamente che, di questo passo, non ci saranno più italiani a cui trasmettere ciò che le generazioni precedenti hanno lasciato in eredità.
Secondo il report dell'Istat sulla dinamica demografica nel 2022, al 31 dicembre 2022 la popolazione residente in Italia ammonta a 58.850.717 unità, -179.416 rispetto alla stessa data del 2021 (-0,3 per cento). Siamo di recente venuti fuori da una pandemia che ha fatto strage tra i nostri connazionali, ma non può essere il Covid la spiegazione sufficiente a giustificare l'impressionante calo demografico. Con le sole eccezioni del 2003 e del 2006, il saldo naturale resta negativo da trent'anni. È dal 1993 che muoiono in Italia più persone di quanto ne nascano. Nel quadriennio 2019-2022, il rapporto tra morti e nati si è stabilizzato su un saldo negativo del -0,3 per cento, con un picco nel 2020 a -0,7 per cento, motivato dall'esplosione pandemica.
Il fenomeno rilevato dall'Istat non riguarda, come in passato, alcune zone geografiche più interessate rispetto ad altre dagli effetti dello spopolamento, ma si spalma in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale. Se a Nord, nel 2022, è andata un po' meglio (-0,1 per cento), nel Mezzogiorno è stato registrato il calo più significativo (-0,6 per cento). Il Centro, invece, si è tenuto nella media generale (-0,3 per cento). Il calo demografico determina un sempre più rapido invecchiamento della popolazione. All'inizio di questo secolo l'età media italiana era di 41,9 anni, nel 2021 è salita a 46,2 anni. Se, in ipotesi, si continuasse su questo trend, alla fine del secolo l'età media italiana corrisponderebbe a quella dell'accesso alla pensione. Si obietterà: vi sono molti sistemi per rimediare al crollo demografico. Vero, ma se scartiamo quello naturale della regolare successione delle generazioni, dal momento che il tasso di fecondità totale italiano - cioè il numero medio di figli per donna in età feconda (tra i 15 e i 49 anni) - è pari a 1,25, quindi lontanissimo da quel 2 che consentirebbe di mantenere stabile il dato numerico della popolazione, resta soltanto da considerare il ricorso ai rimedi artificiali.
Il primo tra questi è l'immissione nel tessuto socio-economico italiano di una massa d'immigrati di proporzioni tali da riportare in positivo il saldo demografico. Su questa linea è attestata la sinistra. E ciò spiega il perché, negli anni in cui ha governato, non solo non ha fatto nulla per impedire l'arrivo indiscriminato di masse d'immigrati illegali ma ha deliberatamente operato per incentivare i flussi migratori verso il nostro Paese. In tale ottica, si comprende perfettamente la tentazione dei progressisti di intervenire sulla legge che disciplina la concessione della cittadinanza a persone straniere, rendendola più elastica e a maglie più larghe di quella attuale. Ancor più si comprende il motivo per il quale i progressisti stiano soffiando sul fuoco della propaganda per ottenere la legalizzazione delle registrazioni all'anagrafe dei figli di coppie omogenitoriali. L'assunto iniziale è: se la famiglia naturale non è più il totem intorno al quale si costruisce la società, è giusto che ogni persona si procuri la genitorialità per proprio conto, anche se tale ricerca dovesse comportare una transazione commerciale per essere conclusa positivamente. La destra, all'opposto, da sempre punta sulle misure d'incentivazione alla natalità per colmare il deficit demografico. Lodevolissimo proposito, sebbene un tantino utopistico quando sganciato da radicali politiche sociali, al momento impraticabili alla luce del quadro economico-finanziario del Paese. Parliamoci chiaro, come si può pretendere da una coppia di giovani di mettere su famiglia e fare i figli quando il lavoro non c'è, e se c'è è precario o non è adeguatamente remunerativo per sostenere i costi di un ménage familiare?
La nazione si è consegnata al declino demografico nel momento in cui ha cancellato dalle proprie priorità le politiche abitative. È dal "Piano Fanfani" del febbraio 1949 che in Italia non vi è stato un massiccio investimento nell'edilizia pubblica residenziale. Senza una casa a costo agevolato e senza un lavoro stabile e ben remunerato, è da pazzi pretendere che i nostri ragazzi si mettano a fare figli. Né può valere in eterno la soluzione del welfare domestico, in base al quale le pensioni dei nonni vengono impegnate per aiutare i nipoti a sopravvivere. Ciononostante, fa bene il Governo Meloni a insistere sull'estensione delle misure a favore della natalità. Tuttavia, bisogna essere consapevoli del fatto che non si svuota l'oceano con un cucchiaio. Allora che si fa? Ci si arrende alla sinistra e alla sua promessa di fare dell'Italia l'hotspot del mondo? Niente affatto. Se è che bisogna guardare nell'immediato ai rimedi artificiali, si punti lo sguardo nella giusta direzione. La difesa dell'identità nazionale è un valore pari, se non superiore, a quello dell'inclusione del diverso da noi. Perché, come ebbe a dire l'allora arcivescovo di Bologna, cardinale Giacomo Biffi, a una conferenza sull'immigrazione, organizzata nel settembre 2000 dalla Fondazione Migrantes: "Una consistente immissione di stranieri nella nostra Penisola è accettabile e può riuscire anche benefica, purché ci si preoccupi seriamente di salvaguardare la fisionomia propria della nazione".
Si cominci allora a dialogare con gli italiani residenti all'estero. Attualmente risultano iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (fonte: Ministero degli Esteri) 5.486.081 persone, di cui 869mila nella sola Argentina. Se una quota di costoro decidesse di fare ritorno - con i propri discendenti - nella Madrepatria, la curva demografica ne beneficerebbe. Sono italiani o figli e nipoti di italiani e questa è la terra in cui vi sono le loro radici. Ora, tra le molte attività che verranno finanziate nell'ambito del Piano nazionale di resistenza e resilienza (Pnrr) ce ne è una che riguarda l'accoglienza dei discendenti degli italiani emigrati all'estero nei secoli scorsi. Si chiama "turismo delle radici". Ma perché limitarsi a programmare a soli scopi turistici il ritorno nella terra dei padri di persone cresciute in altri Paesi?
Perché non pensare a una "legge del ritorno" sulla falsariga di quella in vigore in Israele dagli anni Cinquanta del secolo scorso? La legge israeliana garantisce la cittadinanza a ogni persona di discendenza ebraica ma di altra nazionalità, purché si trasferisca in Israele con l'intenzione di rimanervi. Si potrebbe fare anche da noi, aggiungendo alla cittadinanza una serie di agevolazioni per un immediato inserimento lavorativo oltre a facilitazioni per la sistemazione abitativa.
Abbiamo un colossale problema di spopolamento della dorsale appenninica. Perché non pensare di recuperare quei luoghi meravigliosi, ricchi di bellezza e di memoria, affinché possano tornare a vivere? Comprendiamo l'egoismo di molti nostri connazionali che si domandano: se non prendiamo gli immigrati chi ci pagherà domani le nostre pensioni? La preoccupazione è legittima, mentre il rimedio non lo è quando si manifesta in forma di invasione di irregolari. Bisogna decidersi. Si preferisce la soluzione comoda, costi quel che costi alla tenuta della coesione intracomunitaria, oppure si è pronti a qualche sacrificio per salvare ciò che ci è stato lasciato in dono dai nostri progenitori? Non stupisce che non siano pochi quelli che, col pretesto del buonismo, sono più che disponibili a spalancare le porte della nazione a chiunque purché i propri interessi vengano garantiti. Per quanto ci riguarda, saremo pure degli irredimibili sentimentali, ma le persone che hanno venduto le fedi nuziali dei propri genitori e i gioielli di famiglia ricevuti in eredità, per potersi permettere la vacanza in qualche località alla moda, non ci sono mai piaciuti. E mai potranno piacerci.

   
         
       
    POLITICA    
    di Antonino Provenzano    
    RICETTA MARINARA    
    Tra meno di una settima, se il Buon Dio me lo consentirà, inizierò a vivere l'ottantesimo anno della mia non breve vita su questa terra. Il, come si suol dire, "combinato disposto" di anzianità di servizio esistenziale ed il fatto di essere appena uscito, forse (!?), da gravi problemi di salute, mi induce dunque a togliermi - senza particolari titubanze e prendendo in prestito un termine equestre (o equino che dirsi voglia) - la testiera, o testale che sia, dell'attuale, opprimente, frustrante e castrante "correttezza politica" di lessico ed idee e dare sfogo ad un libero discorso con l'unico vincolo della coerenza logico-espositiva
E vengo al punto. Cioè, a quel fritto misto dai sapori non soltanto molto variegati, ma anche sommamente contraddittori, che potremmo semplicemente definire "disordinata immigrazione dall'Africa sub-sahariane" veicolata, ed integrata a sua volta, dal concorso sia in accondiscendenza politica che in notevole contribuzione di afflusso numerico, degli stati islamici della sponda Sud del mar Mediterraneo. Tralascio al momento , e volutamente, il discorso relativo agli autentici profughi politici dal medio-oriente e dall'Afghanistan la cui lettura del fenomeno merita tutt'altra caratura e conseguente rispetto di carattere, diciamo, storico.
E cominciamo innanzitutto dal lessico, croce e delizia, a seconda dei casi, di ogni descrizione e/o stortura dei vari fenomeni esistenziali.
S.O.C.C.O.R.S.O (Aiuto prestato a chi si trova in situazioni di pericolo imminente o di grave necessità.). I mezzi-busti (e, naturalmente, le mezze -buste) di tutte, dico tutte, le TV nazionali e gli scrivani di tutti, o, almeno quasi tutti, i giornaloni ed i giornalini del nostro beneamato paese accreditano, senza se e senza ma, l'assioma (Principio evidente per sé, e che perciò non ha bisogno di esser dimostrato, posto a fondamento di una teoria deduttiva; com., principio, massima) secondo cui chiunque, caratterizzato come emigrante, si trovi in mare e non, dicesi non, stia a bordo, di, chessò, un transatlantico della Costa Crociere, debba essere s.o.c.c.o.r.s.o (sic !) sempre e comunque. Vi prego, cerchiamo di ragionare: affinché scatti in automatico il concetto del soccorso c'è una esigenza di ineludibile natura logica e cioè che a monte di ogni e qualsivoglia ragione per un tale intervento vi sia l'imprescindibile condizione dell'incidente, dell'imprevisto, dell'imponderabile casualità.
I naufraghi del "Titanic" non dovevano trovarsi affatto nello stato nel quale si vennero a trovare e cioè a mollo nell'Atlantico. La loro naturale condizione era quella di passeggeri sulla più grande nave del mondo in serena rotta per New York. Soltanto il caso, l'incidente, l'errore umano involontario, il fato avverso, la si metta come si preferisce, causarono il tragico evento.
Ed ecco, per inciso, il motivo per il quale io vado ai matti quando sento, ad esempio, dire dall'apposito mezzo busto TV che l'elicottero del Servizio alpino ha s.o.c.c.o.r.s.o l'imbecille di turno sorpreso da una tempesta sul Cervino in maglietta ed infradito (tanto in pianura si moriva dal caldo!). No! Il sullodato non è stato soccorso: a causa della sua imprudenza è stato recuperato e preso a bordo. Se parliamo di soccorso chiamiamo indirettamente in causa, l'incidente, l'imponderabile con la pericolosa conseguenza di de-responsabilizzare di fatto la posizione dell'interessato al fine di suscitare a suo favore commiserazione e solidarietà piuttosto che esplicita condanna per un atto imprudente e pericoloso sia per se stessi che per chi si dovrà poi preoccupare di andarlo a "p.r.e.n.d.e.r.e" e non, dicesi non, a "s.o.c.c.o.r.r.e.r.e".
Fuori dall'esempio, è questa la ragione per la quale tengo ben netta la distinzione sopra accennata tra profughi politici provenienti da guerre e feroci dittature (evidente prodotto di cause di forza maggiore) ed avventurieri prettamente economici a caccia di velleitarie e non meglio definite, opportunità europee. E' evidente che per questi ultimi non può più esserci generalizzata ed indiscriminata accoglienza nel nostro paese, a totale discapito, dopotutto, degli stessi interessati che dal nord-Africa fanno rotta verso Lampedusa o approdi similari. E ciò con buona pace delle varie Schlein, Boldrini e compagnia cantante che non mancheranno, ahimè, di stracciarsi le vesti dinnanzi a cotanta scontata, e seppur per loro inaccettabile, constatazione.
E torniamo al maledetto uso distorto del lessico mediatico:
B.L.O.C.C.O N.A.V.A.L.E (Il blocco navale è un'azione militare finalizzata a impedire l'accesso e l'uscita di navi dai porti di un Paese o di un territorio) e qui, proprio, non ci siamo!
Il termine evoca infatti una precisa procedura militare nei confronti del natante interessato: 1) Colpo in aria di artiglieria navale a mò di avvertimento, 2) Colpo in acqua davanti la prora di detto natante ed infine, 3) Colpo indirizzato direttamente allo scafo del battello da bloccare. Il tutto evidentemente inaccettabile per una serie di motivazioni (d'ordine morale, etico, religioso, sociale, umanitario, culturale ed, infine e naturalmente, anche politico) che non serve specificare ulteriormente a chi almeno pretenda di appartenere al genere cosiddetto umano). Parlare dunque di blocco navale nel termine strettamente tecnico del suo significato è del tutto fuori dalla realtà e controproducente per chi osa appena farvi cenno.
Secondo me esiste però un modo molto, ma molto, più "soft" di far riferimento al medesimo concetto secondo formule che sono già state adottate da paesi super-democratici ed afflitti anch'essi da ampie coste, come ad esempio l'Australia ; e ciò ai tempi delle fughe via mare dei vietnamiti del sud dopo la caduta di Saigon negli anni '70 del secolo scorso (intercettazione dei barchini in mare da parte della marina militare australiana e loro convogliamento in un apposito isolotto di quarantena) ovvero, e fortunati loro, da quei paesi che, non avendo frontiere di mare e quindi soggetti alle leggi di quest'ultimo, possono filtrare e respingere a loro piacimento (Svizzera docet) i relativi immigranti non desiderati. Dato dunque che tutti i nostri problemi nascono dal fatto che quasi tutta l'Italia confini col mare, cerchiamo di ragionare:
A) E' scontato il fatto che, anche se essa si affacci sul mare, ciò non diminuisca di una virgola la sua piena e totale sovranità sul proprio territorio, sia dalla parte cha da sulla terra che da quella che confini con le acque. E necessario dunque investigare per quale ragione il semplice fatto di essere bagnati dal mare debba limitare la sovranità nazionale nei confronti di che si presenti davanti le proprie coste minacciato soltanto da un potenziale pericolo di naufragio
B) Mi si dirà: in questo caso vige il diritto della navigazione, che fa premio su qualsiasi altra considerazione e che esso, più o meno, recita così: "il comandante di una nave ha l'obbligo di prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita ed è, altresì, tenuto a procedere - con tutta rapidità - all'assistenza di persone in pericolo in mare, di cui abbia avuto informazione " nonché "L'obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso obbligo degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell'immigrazione irregolare. …… Eventuali intese operative tra le autorità di Stati diversi, o la paventata "chiusura" dei porti italiani (sic ! n.di r.) non possono consentire deroghe al principio di non respingimento in Paesi non sicuri affermato dall'art. 33 della Convenzione di Ginevra". I granitici capisaldi concettuali che sovraintendono alle regole dell'obbligo del soccorso /salvataggio in mare sembrerebbero dunque essere: 1) Il t.r.o.v.a.r.s.i in mare in p.e.r.i.c.o.l.o di v.i.t.a e, 2) Un divieto di respingimento verso porti di p.a.e.s.i n.o.n s.i.c.u.r.i. . A questo punto la logica mi indurrebbe ad affermare che se non fosse attuale il pericolo di vita e qualora il porto di respingimento fosse verso paese s.i.c.u.r.o allora l'obbligo di cosiddetto soccorso / salvataggio in mare con relativo trasbordo in Italia non dovrebbe scattare in modo automatico . Mi sbaglio o no?
C) Per semplificare il ragionamento ed in merito alla considerazione relativa al cosiddetto "porto NON sicuro", sgombro il campo con una semplice domanda : se Libia, Tunisia, Marocco, Algeria hanno accolta, apparentemente senza batter ciglio, i profughi economici sub-Sahariani affluiti alle loro frontiere meridionali in cerca di non meglio identificati sbocchi europei, perche mai tali paesi di prima accoglienza, diciamo da Sud, dovrebbero poi risultare destinazioni del tutto inadatte per le stesse persone che vi facessero ritorno, questa volta però via mare e da Nord? Ecco il doversi chiedere, secondo me, per qual motivo un "porto", o costa che sia, oggettivamente adatto per la partenza in barcone verso l'Italia diventerebbero improvvisamente e senza spiegazione alcuna, approdo "non sicuro" nel caso di rientro in loco, stesso mezzo, di chi se ne sia appena allontanato. Ad ogni modo non sarebbero questi argomenti di pertinenza dell'Italia.
D) E veniamo finalmente alla considerazione / proposta che sottopongo umilmente alla cortese attenzione di tutti i buonisti, terzomondisti e solidaristi nostrani con la mia sincera ed accorata preghiera di volerla cortesemente smontare pezzo per pezzo attraverso un ragionamento che possa ben contenere tutte le spiegazioni, commenti, critiche o giustificazioni di ogni natura, ordine e grado, ma con l'unica modesta, sentitissima esigenza e cioè che eventuali commenti di relativo, legittimo smontaggio e /o critica avvengano nel rispetto di un sostenibile ragionamento di natura logico-conseguenziale e di nient'altro e ….. grazie!
Ed ecco dunque:
1) E' ormai accertato che in tutta la striscia del Nord-Africa si riceva senza alcuna difficoltà ogni tipo di comunicazione televisiva, internet, telefonica, social "what's up", e chi più ne ha più ne metta. Sarebbe pertanto facilissimo per la nostra presidenza del Consiglio dei ministri mettere in rete, e nell'etere, una comunicazione inoltrata a pioggia a tutti i governi e popolazioni degli amici paesi dell'Africa settentrionale mediterranea, più meno del seguente tenore, corredata naturalmente dal sommo stato dell'arte della computer grafica visivo-comunicativa e da ripetersi incessantemente per almeno un paio di mesi:
"Amiche popolazioni dei paesi rivieraschi del nostro mar Mediterraneo, nonché potenziali emigranti dell'Africa sub-Sahariana che vi accingete a raggiungerne la costa del continente nel desiderio di imbarcarvi alla volta del nostro paese, siamo purtroppo costretti a darvi una brutta notizia: l'Italia ha fatto il pieno, non siamo più in grado, pena il collasso della nostra identità nazionale e struttura socio-economica, di accogliere ulteriori amici a casa nostra, e col rischio che, una volta arrivati qui da noi potreste anche provare l'amara delusione di sperimentare disagi e condizioni addirittura peggiori di quelli da cui cercate di allontanarvi lasciando le vostre case. L'Italia lavora, insieme ai propri partner europei, per porre comunque in atto condizione e strutture tali da poter convogliare, in un futuro non lontano, un ordinato flusso migratorio formalmente e sostanzialmente organizzato e che possa garantire a chi giungerà qui da noi un dignitoso futuro di accoglienza e lavoro, ma che al momento non siamo purtroppo in grado di potervi assicurare. Certamente non vi dimenticheremo e siamo, al momento, impegnati, sia a livello nazionale che con i partner dell'Unione Europea in tale auspicata direzione. ATTENZIONE per : per il momento e fino a nuova comunicazione, gli sbarchi in Italia non saranno più consentiti e chiunque tentasse di forzare tale divieto - sia essa imbarcazione privata che naviglio gestito da Organizzazioni Non Governative sia nazionali che internazionali - verranno respinte alle rispettive basi di partenza"
2) Siccome è peraltro ben risaputo come non vi sia più sordo di chi non voglia sentire, tale garbata comunicazione di assoluta ed indiscutibile matrice sovrana della Repubblica italiana, verrà ampiamente disattesa, almeno nei primi tempi dell'esperimento, da una consistente fetta di non udenti d'oltremare che si tapperanno volutamente le orecchie per il più svariato ordine di motivi personali; in tal modo sia alcuni barchini che qualche nave di ONG tenteranno comunque la traversata alla volta dell'Italia.
3) Ed ecco scattare a questo punto, un "Blocco Navale" che io definirei "soft", ma molto "soft", costituito di fatto da un pugno di ferro in soffice guanto di velluto ed affidato NON alla Guardia Costiera, MA alla nostra Marina Militare gestita dal Ministero della Difesa. Intercettato in acque internazionali, il disobbediente barchino o barcone che sia (ovvero il vascello della ONG), esso verrà affiancato dai battelli appoggio della corvetta, fregata o caccia torpediniere competente per la zona di avvistamento e rifornito di tutto quanto necessario per proseguire la navigazione in totale sicurezza: carburante, assistenza tecnica al motore dell'imbarcazione, strumento elettronico di localizzazione, cibo, acqua, coperte individuali, salvagenti indossabili e quant'altro necessario, con un'unica, "piccola" modifica di programma: invertire la rotta di 180 gradi e tornare sui "propri passi", se così si può dire, in direzione della stessa località di partenza adeguatamente scortati dalla nostra Marina fino al limite della acque territoriali del paese dal quale esso sia salpato. In tutt'altro contesto, non accade forse la medesima cosa quando, a protezione dello spazio aereo nazionale, si alzano i caccia per affiancare un velivolo non identificato che si trovi a sorvolare senza adeguata autorizzazione i cieli dell'Italia? Anche qui tutto si risolve senza far del male a nessuno e nel pieno esercizio del nostro diritto di totale sovranità nazionale.
4) Non sono naturalmente così ingenuo dal non prevedere che nelle prime fasi di un tale esercizio / esperimento di polizia marittima qualcuno sui barchini (o sui barconi) potrebbe anche farsi del male e la cosa sarebbe, ahimè, molto deprecabile, seppur forse in qualche modo ineluttabile. Sono tuttavia convinto che dopo una prima fase di assestamento a tutto danno purtroppo di coloro che disattendendo il chiaro ed esplicito messaggio di cui sopra, volessero comunque tentare un'avventura ampiamente sconsigliata pagandone le conseguenze, potrebbe alla fine ben passare il messaggio che, dopo anni di politica "colabrodo", nel nostro paese non si possa più entrare a propria totale discrezione, come peraltro avviene nella civilissima Svizzera, nelle lontana Australia, nella pluricentenaria democrazia americana, nonché in tutti gli altri stati sovrani, siano essi di terra o di mare, che non intendono derogare alla gelosa protezione delle loro inviolabili frontiere, soggiacendo, come purtroppo accade invece da tempo qui da noi, alla totale perdita di sovranità nazionale con la surrettizia scusa che noi si sia soggetti soltanto alla legge della navigazione e che ciò dia a chiunque, purché giunga dal mare, l'autorizzazione di fare strame dei nostri sacrosanti confini nazionali.
Aprile 2023
   
       
    POLITICA    
    di Silvio Sposito*    
       
PRIMAVERA 2023. VERSO IL RISVEGLIO?
    Da pochi giorni é passato, per i credenti, il giorno della commemorazione della Passione e Resurrezione del Gesù dei cristiani. Una guerra incomprensibile continua a svolgersi alle soglie dell'Europa, mentre una cappa di oscurità e una rete di inganni avvolgono nella loro morsa l' "Occidente", o ciò che ne resta.
Potenti e facoltosi "filantropi" e presunti "illuminati", mossi da una "hybris" incontenibile, da una superbia oltre l'umano e da una volontà di potenza tecnocratica degna di miglior causa, pretendono di indirizzare il futuro dell'umanità intera secondo una loro visione della vita, dell'uomo e del mondo profondamente corrotta e distopica.
Trattasi - per chi non avesse ancora compreso - di un'ideologia intrinsecamente materialista, intrisa di una "religione" scientista e riduzionista, e rivestita di tinte neopositiviste e meccaniciste. Il tutto condito di agnosticismo/ateismo e sfociante in un trionfante nichilismo. Sembra l'inevitabile approdo della concezione di Democrito, colui "che il mondo a caso pone", secondo l'immortale definizione dell'Alighieri.
Approdo ineludibile - secondo costoro - sarà un mondo globalizzato e standardizzato, privo di eccessive differenze tra genti e luoghi del pianeta (non più popoli, nazioni e stati sovrani), retto da un unico governo mondiale (quello, appunto, degli "illuminati") che eserciterà il potere e un controllo capillare su tutto e tutti secondo un "benevolo" totalitarismo, nel nome per l'appunto del "bene comune" (e di un bene molto maggiore per gli "illuminati"), dunque nell'interesse collettivo (ma davvero?) e per la salvezza del pianeta (così dicono).
E le libertà civili individuali? Idee inutili e sorpassate appartenenti ad un passato ormai svalutato e capaci di portare soltanto a divisioni e conflitti. I bravi cittadini seguiranno rigorosamente le regole imposte dai loro nuovi signori e padroni. D'altra parte saranno partoriti in apposite fabbriche da gameti geneticamente selezionati in modo accurato, così da produrre i tipi umani desiderati e non altri (fautori solo di problemi e disordini).
Alcuni saranno predisposti a integrarsi con intelligenze artificiali per poter eseguire compiti particolarmente complessi o rischiosi. Poi, al temine della vita per loro prevista, potranno essere terminati. Sarà così evitata una sovrappopolazione lesiva dell'ambiente e dell'ecosistema terrestre.
Perché l'uomo non è che una macchina, solo un po' più complessa e delicata di altre. E la coscienza? E il libero arbitrio? Sovrastrutture, epifenomeni di una realtà sostanzialmente materiale e meccanicista.
Questo quadro futuristico - ma non tanto - sembra essere quello verso il quale il mondo attuale si sta indirizzando. E' davvero così? E si tratta di sviluppi inesorabili e ineluttabili?
Non propriamente. Questi tronfi e arroganti "profeti" non hanno fatto a sufficienza i conti con l'insopprimibile desiderio di libertà dell'uomo, con la libertà di coscienza e il libero arbitrio. E con il fatto che - contrariamente alle loro opinioni - l'uomo non è una macchina, e le macchine non saranno mai uomini.
Lo spiega molto bene, e con profondità di pensiero, Federico Faggin nel suo recentissimo "Irriducibile - la coscienza, la vita, i computer e la nostra natura", che ogni giovane d'oggi - o anche meno giovane - dovrebbe leggere.
Perché è proprio nei momenti di più grave crisi, quando tutto sembra perduto e l'oscurità di tenebre sempre più minacciose si addensa sul nostro capo, che forze misteriose e imprevedibili, ma spesso dotate di inarrestabile potenza, irrompono nella realtà della vita degli uomini e ne ribaltano il destino. Qualcuno - un tempo - chiamava tali forze "Provvidenza".
Accade così che uomini coraggiosi, filosofi - in primis - ma anche scienziati, medici, storici, giuristi, giornalisti e opinionisti, di varie nazionalità e culture e di vario orientamento ideologico o politico e varia fede - o non fede - religiosa, si stiano ribellando alle follie del tempo presente, presentendo e prevedendo quelle, ancor maggiori, del tempo futuro.
L'elenco sarebbe molto lungo, e proprio ciò fa ben sperare, perché il nemico comune è stato ormai ben individuato e caratterizzato, e non è certamente imbattibile. Perché ad una distopia disumana e disumanizzante è lecito opporre un'utopia neoumanista di liberazione e di riscatto. Perché il "progresso" di cui questo nemico si fa orgogliosamente promotore rischia di precipitare in un clamoroso "regresso" e in una crisi definitiva e irreversibile, non solo della cosiddetta "civiltà occidentale", ma della civiltà umana in generale e della stessa più intima e vera essenza umana.
Roma, aprile 2023






*Autore di "Gli ultimi Re di Roma - la dinastia etrusca che governò la Città Eterna" e di "Pensieri Pandemici - in vista di un neoumanesimo venturo" in corso di pubblicazione
   
    POLITICA    
    di Antonino Provenzano    
       
    SANREMO / ITALIA    
    Leggo, con costernata sorpresa, che il "Solito Ignoto" nazionale e la "Nostra Signora dello Shampoo" sarebbero di nuovo in predicato per un'ulteriore conduzione del "Festival di Sanremo", edizione 2024. Urge che io, come suole dirsi, mi munisca di carta e penna e verghi un accorato appello alla nostra cara Giorgia nazionale :
" Signora Presidente del Consiglio e mia (si, proprio mia!) carissima Giorgia,
chi ti scrive è un signore ottantenne di cui tu ignori del tutto, e ci mancherebbe altro, l'esistenza. Eppur, credimi, nell'assoluto anonimato che giustamente mi circonda, io sono una persona che tu, forse, non dovresti permetterti di non tenere in dovuta considerazione. Da convinto ammiratore e sostenitore sin dal tuo primo apparire sulla scena politica nazionale, mi glorio ancora dell'esplicita testimonianza di carissimi amici ai quali, sin da tempi non sospetti, esternai la mia esplicita convinzione che tu saresti un giorno diventata il capo del nostro governo. Inoltre - e lo affermo con molta, ed ahimè malcelata, modestia - svariati numeri dell'amata rivista CONFINI possono dare testimonianza di come io non ti abbia mai fatto mancare, naturalmente per quel poco che esso valga, il mio totale, esplicito, articolato e direi anche ammirato ed affettuoso incoraggiamento e sostegno sia nella tua lunga ed inesorabile scalata a Palazzo Chigi che in quei difficili momenti, nei più disparati settori di tua responsabilità, che abbiano richiesto una tua azione di governo da me sempre apprezzata, sia per stile che per sostanza.
Ciò, doverosamente premesso a mo' di introduzione, vengo al punto e lo faccio preceduto dal richiamo di un paio di detti popolari, tipo: " il diavolo si nasconde nei dettagli", "per un sol punto Martin perse la cappa" e similari. Cosa intendo dire? In vero un qualcosa di molto semplice: come non ti sarà certamente sfuggito, le edizione del Festival della canzone italiana condotto negli ultimi anni dall'ineffabile Amadeus sono state, con la debole scusa di farci ascoltare insipide canzonette, un modo volutamente surrettizio per propinarci a forza, entrando del tutto non richiesti nelle nostre case, massicce dosi di:
1) propaganda pseudo-sovversiva (vedi Maneskin, assurti poi ad osannati rappresentanti europei e mondiali (sic !) della cosiddetta "canzone italiana"),
2) oscene dissacrazioni dei pilastri portanti della fede cattolica (Achille Lauro e le sue messe sataniche)e, da ultimo,
3) trionfi di sodomia, certamente non da prima serata Rai (grazie a Fedez e Rosa Chemical).
Quanto sopra, come ben vedi, è già di per se stesso, alquanto disturbante. Peraltro è ben risaputo come al giorno d'oggi, l'osceno, lo pseudo-dissacrante, la volgarità facciano "audience" in questo nostro mondo che, avendo definitivamente archiviata la figura del "padre" inteso come "creatore di regole" ed "auriga di comportamenti", rende tutto consentito in una società ormai preda di un magmatico "buonismo" di natura, diciamo, materno/femminile ove vige ogni liceità purché produca benessere e piacere. Ormai, purtroppo, è così e bisognerà farsene dunque una ragione. Ma ciò dovrebbe essere relegato unicamente nell'ambito delle seppur democratiche e costituzionali iniziative di tipo individuale e privatistico e non invece oggetto di forzata somministrazione all'intera cittadinanza italiana (ed a sue canoniche spese) che ben potrebbe non riconoscersi per intero nei buonisti, alternativisti, minoritaristi, laicisti, accondiscendisti e, in una parola, sinistrorsi messaggi provenienti da un "Festival di Sanremo" a trazione Amadeus e relativa corte dei miracoli.
Si, mia cara Giorgia, questo è il punto che intende sollevare il tuo modesto, anonimo e numericamente insignificante elettore che qui di sotto si firma con nome e cognome. Stai dunque ben attenta. Come ho già detto, il diavolo ama i dettagli apparentemente insignificanti che potrebbero invece rivelarsi poi dirompenti come, ad esempio, nel caso in esame ed a motivo del quale - ed ancora, per il momento, come remotissima ipotesi dell'irrealtà o di scuola, che dir si voglia - ed a seguito di mia relativa, cocente delusione personale, potresti trovarti persino priva - udite, udite (!) - anche di quel mio singolo, ma, ti assicuro, ancora preziosissimo, voto. E, credimi, cara Signora Primo Ministro, una tale perdita sarebbe per te "vulnus" irreparabile perché, come tu ben sai, sono milioni i voti come il mio, prettamente di opinione, che ti hanno portato a Palazzo Chigi; e ciò non tanto per le tue proposte programmatiche di legislatura dato che, come è ben risaputo, in politica tali cose valgono per quel che valgono, quanto e piuttosto, per un venir meno di quella individuale percezione, da parte dei tuoi elettori, di ciò che tu sia effettivamente come "leader" e quale sia la caratura di tale tua precipua caratteristica agli occhi di quella moltitudine che, proprio a causa di essa, ti ha votato con convinzione e sentita partecipazione emotiva. In soldoni, cara Giorgia: non so (non me ne intendo) come ed in quale sostenibile maniera legale, procedurale e, in ultima analisi, soprattutto politica, tu possa ricalcare, dopo svariati anni, l'indimenticabile passo di quel tuo ineffabile predecessore a Palazzo Chigi, ma dovrà pur esserci un qualche modo per riproporre su Sanremo una sorta di "editto bulgaro" dalla felice memoria del tempo che fu. Ritengo comunque che, per il tuo bene politico, come significativo segnale di indirizzo governativo, nonché per mantenere vivo, in un fedele sostenitore come me quel sostegno "elettorale" che io ancora incondizionatamente ti porto, tu debba trovare un qualche modo per far si che nel prossimo Festival di Sanremo - che sarà ancora una volta, e come avviene da oltre settant'anni, di durata settimanale, in prima serata, sul Primo canale TV e soprattutto finanziato sempre dal canone di tutti quanti i cittadini - possano essermi risparmiate (in una loro eventuale quarta, consecutiva riedizione) le dissacranti litanie laico-progressiste sia del trito "Solito Ignoto" nazionale che dell'ineffabile " Nostra Signora dello Shampoo". Con speranzosa, ma forse un po' troppo ottimistica attesa, resto, con l'immutata stima di sempre, il Tuo,
   
       
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