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Già. Il ritorno
della piazza. In
effetti, era
sparita da tempo
dagli albori
della cronaca e
si era perso il
ricordo di
quella nutrita
presenza di
popolo che, in
comunione
d'intenti,
acclamava,
ascoltava e
applaudiva,
rivendicava,
vendeva e
comprava,
incontrava e
stringeva
accordi.
Ma l'aspetto
curioso è che la
sua
ultraventennale
dissolvenza non
ha nelle more
sollevato
interrogativi,
non ha indotto a
riflessioni, non
ha comportato
commenti. Un
giorno c'era e
quello
successivo non
c'era più, come
se non fosse mai
esistita.
Eppure, la sua
'presenza' e la
sua importanza
sembravano
consolidate nei
millenni: area
libera, limitata
in tutto o in
parte da
costruzioni, con
varia funzione
urbanistica,
all'incrocio di
più strade o
lungo il
tracciato di
un'arteria
importante,
rappresentava il
salotto delle
città, un luogo
dove storia,
architettura e
cultura si
fondevano e
assumevano il
fulcro della
vita urbana,
affermando
l'identità di un
popolo e
rafforzandone
l'unità.
Non a caso,
infatti, gli
eventi politici
e sociali di
maggior spessore
hanno preso le
mosse dalla
piazza: non si
possono
dimenticare le
parole che
Tucidide, nella
sua Storia della
Guerra nel
Peloponneso,
mette in bocca a
Pericle che, in
piazza, parla
agli Ateniesi e
apre con una
lode dei morti
in guerra: '…
Quella parte
della nostra
storia che
racconta le
conquiste
militari che ci
hanno permesso i
nostri vari
possedimenti, o
del giusto
valore con cui
noi o i nostri
padri hanno
derivato
l'ondata di
aggressione
ellenica o
straniera, è per
me un tema
troppo familiare
ai miei
ascoltatori per
soffermarmici.
Quindi lo
passerò.' Ma
ciò sul quale
Pericle vuole,
invece,
concentrarsi è
…la strada
attraverso la
quale abbiamo
raggiunto la
nostra
posizione, la
forma di governo
in cui è
cresciuta la
nostra grandezza
e le abitudini
nazionali da cui
è scaturita.1
Noi abbiamo una
forma di governo
che non guarda
con invidia le
costituzioni dei
vicini, e non
solo non
imitiamo altri,
ma anzi siamo
noi stessi di
esempio a
qualcuno. Quanto
al nome, essa è
chiamata
democrazia,
poiché è
amministrata non
già per il bene
di poche
persone, bensì
di una cerchia
più vasta: di
fronte alle
leggi, però,
tutti, nelle
private
controversie,
godono di uguale
trattamento; e
secondo la
considerazione
di cui uno gode,
poiché in
qualsiasi campo
si distingua,
non tanto per il
suo partito,
quanto per il
suo merito,
viene preferito
nelle cariche
pubbliche; né,
d'altra parte,
la povertà, se
uno è in grado
di fare qualche
cosa di utile
alla città, gli
è di impedimento
per la sua
oscura posizione
sociale.
E qui inserisce
il suo
liberalismo,
esteso anche
alla politica
estera ateniese:
… Apriamo la
nostra città al
mondo, e mai per
atti alieni
escludiamo gli
stranieri da
ogni opportunità
di apprendere o
osservare, anche
se gli occhi di
un nemico
possono
occasionalmente
trarre profitto
dalla nostra
liberalità...2.
Poi, al culmine
della sua lode
ad Atene,
dichiara: '…
In breve, io
dico che come
città siamo la
scuola della
Grecia, mentre
dubito che il
mondo possa
produrre un
monarca che,
dipendendo solo
da se stesso,
sia capace di
fronteggiare
tante emergenze,
e sia onorato da
una tale felice
versatilità come
l'ateniese…'3.
Dopo, collega la
sua lode della
città ai morti
ateniesi che sta
celebrando:
'… L'Atene che
ho celebrato,
solo l'eroismo
di questi e dei
loro simili
l'hanno fatta
... nessuno di
questi uomini ha
permesso di
essere tentato
di innervosire
il suo spirito
né dalla
ricchezza, con
la sua
prospettiva di
futuro
divertimento, né
dalla povertà,
con la sua
speranza di un
giorno di
libertà per
ritirarsi dal
pericolo. No,
rivolgere quella
vendetta sui
loro nemici era
qualcosa di più
che desiderare
qualsiasi
benedizione
personale, e
ritenendo che
questo fosse il
più glorioso dei
pericoli, con
gioia decisero
di accettare il
rischio ...
Quindi,
scegliendo di
morire
resistendo,
piuttosto che
vivere
sottomessi, sono
fuggiti solo di
fronte al
disonore…”4.
Infine, conclude
con parole che
possono
suscitare
perplessità ma
sono innegabili:
'… Perciò,
dopo aver
giudicato che
essere felici
significa essere
liberi, essere
liberi significa
essere
coraggiosi, cioè
non rifuggire
dai rischi della
guerra …5.
… E ciò in
quanto …
Così sono morti
questi uomini
come Ateniesi,
voi, i loro
sopravvissuti,
dovete decidere
di avere una
risolutezza
ineffabile sul
campo, anche se
potete pregare
chi avrebbe
potuto avere una
fine più felice.6
In pratica, la
democrazia,
simboleggiata
dalla piazza e
dalle presenze
che la
gremiscono, è un
bene prezioso,
tutelato dalle
Costituzioni, e
come tale va
conquistato e
difeso. Senza
infingimenti,
senza deleghe.
Del resto, lo
'scendere in
piazza' è
l'espressione
più
significativa e
diretta di una
persona:
mostrarsi
'pubblicamente'
e, attraverso il
mostrarsi,
rendere visibile
la propria
opinione. E la
sommatoria delle
presenze denota
da un lato una
plateale
condivisione
d'intenti e,
dall'altro, la
dimensione del
portato. Le
grandi adunanze,
che soprattutto
il Novecento ci
ha mostrato,
rimarranno
imperiture negli
annali del
sindacato e
della politica,
risonanti di
slogan e
festonate da
cartelli e
striscioni.
Infatti, non c'è
democrazia
cosiddetta
rappresentativa
che tenga a
sostituirla: la
piazza è
diretta, non
ammette rituali
di opportunità,
calendarizzazioni,
doppie letture e
emendamenti. E'
il megafono
delle minoranze
e la cassa di
risonanza delle
maggioranze, in
condivisione e
perfino in
contrasto con i
propri
rappresentanti.
E', altresì,
l'amplificatore
dei 'non
censiti', di
quelli che la
politica non ha
ancora
classificato. La
foto
dell'anonimo
ragazzo cinese
di fronte al
carro armato in
piazza Tienanmen
a Pechino ha
fatto il giro
del mondo a
significare la
determinazione
dell'uno che,
col solo
coraggio e con
la semplice
volontà, seppur
inerme, riesce a
porre un freno
alla forza
bruta.
Certo, la piazza
non è stato
esclusivo
patrimonio del
popolo: anche il
potere temporale
e quello
spirituale se ne
sono avvalsi. Il
primo per
arringare la
folla, per
affiggere
proclami e
bandi, per dare
dimostrazione di
giustizia.
Non a caso, le
esecuzioni
capitali si
svolgevano in
piazza,
ovviamente
affollata,
spontaneamente o
artatamente:
impiccagioni,
fucilazioni,
decapitazioni e
chi più ne ha
più ne metta nel
bestiario della
natura umana, a
dimostrazione
didattica di
forza e di
determinazione,
prima che di
giustizia. In
epoca moderna,
l'esempio più
eclatante delle
discutibili
sfaccettature
dell'essere
umano, lo
troviamo
nell'impiego di
Madame
Guillotine prima
in place de
Grève, poi in
quella du
Carrousel, indi
in place de la
Révolution
(attuale place
de la Concorde)
dove vengono
soppressi, tra
tanti altri, sia
Luigi XVI che la
sua nemesi,
Robespierre.
Neppure il
Termidoro farà a
meno della
ghigliottina e
della piazza,
scegliendo solo
località più
decentrate:
place de la
Bastille prima
e, in seguito,
place du Trône
Renversé
(attuale Nation).
Anche il potere
spirituale, come
cennavo, ne ha
fatto un largo
uso: nella
piazza
antistante la
chiesa, il
sagrato,
appariva il
sacerdote in
paludamenti per
fare allocuzioni
o benedire il
popolo radunato
o per svolgere
le sacre
rappresentazioni
che chiamavano a
raccolta la
comunità. Ma
sotto l'egida
clericale, nel
sagrato o poco
più da presso,
fino a ridosso
dei giorni
nostri, si
svolgevano anche
fiere e mercati,
spesso
coincidenti,
opportunamente,
con le
manifestazioni
religiose. Del
resto, la
spiritualità, al
pari della
politica, costa
e i ricavi da
parte del
prelato di turno
in affitti e
decime
sostenevano, suo
tramite, la
volontà del
Signore.
In pratica, per
avviarmi
velocemente
verso la
conclusione di
questa prima
riflessione, la
piazza ha visto
l'essere umano,
sin dai suoi
primi passi,
sgambettare tra
le bancarelle
dei dolciumi e
dei giocattoli;
ha annotato, da
adolescente, le
sue prime
trepidazioni
amorose mentre
camminava,
fiero, mano
nella mano,
davanti alla
gente; ha
registrato le
sue delusioni,
seduto in
solitudine,
davanti ad un
caffè su un
tavolo
all'aperto
mentre l'occhio
spento osservava
penosamente i
più disparati
atteggiamenti
della varia
umanità di
passaggio; ha
costatato le sue
manifestazioni
di socialità e
di amicizia, tra
esuberanti e
spensierate
vivacità e
scoppi di risa.
Ha segnato, da
adulto, i suoi
atti di
affermazione
economica e
sociale. Ma è
stata anche
testimone della
sua fede e della
sua idealità, al
costo a volte
del sangue
rimasto sul
selciato.
Questo spazio
urbano, quindi,
ha rappresentato
nella vita della
persona uno tra
i più importanti
pilastri della
sua esistenza.
Poi,
all'improvviso,
al pari di altri
capisaldi, è
stato privato di
tutte le sue
accezioni
metaforiche,
sociali,
economiche e
ideali per
relegarlo nel
solo significato
toponomastico e
odonomastico.
Certo, qualche
raduno politico
l'ha visto ma
solo come mera
indicazione
della sua
ubicazione a
beneficio degli
interessati e
come spazio
funzionale. Ma
in sostanza, la
piazza, sotto il
dichiarato
intento di
modernità e di
adeguamento ai
tempi, è stata
soppiantata
dalla 'rete',
investita di
tutte le
accezioni
tipiche della
'piazza' stessa,
finanche di
quella inerente
alla democrazia.
Non sono
mancati, nelle
pagine di
Confini, esami
più o meno
approfonditi del
fenomeno della
'rete', dei suoi
pregi e dei suoi
difetti nonché
dei suoi
'pericoli' e qui
non gioverebbe
ripercorrerli se
non per due,
sintetici,
aspetti. Si
afferma che essa
rappresenti la
forma progredita
della
democrazia, non
foss'altro che
per il fatto di
poter esprimere
la propria
opinione in
'piazze'
deputate dal
nome di social
forum e,
all'interno di
queste,
costatare
condivisione
d'intenti e dare
luogo ad una
massa critica.
Virtuale, stavo
per aggiungere.
Poi, mi sono
ravveduta e mi è
tornato in mente
il M5S dei
primordi, tra i
massimi fautori
del 'nuovo
strumento'
osannato come
progressista e
liberale.
Lì, la 'rete' è
in effetti
servita per
condividere e
aggregare ma,
intanto, le
celebrazioni del
V Day sono
avvenute
necessariamente
nella piazza
fisica.
Altrimenti,
avrebbero perso
di evidenza i
gesti eclatanti,
a beneficio
della
cittadinanza e
dei media,
vogliosi
amplificatori di
segnale. Quindi,
la 'rete' sì ma
interpolata
dalla curiosità
quando non dalla
calorosità degli
astanti della
piazza fisica.
Un fenomeno,
quello, che ha
consentito a
quel movimento
di arrivare al
33% dei voti
espressi,
sull'onda della
protesta, ma di
non 'durare': è
mancato il
cemento
sacrificale
della militanza,
la passione per
un'idea, la
comunanza di un
programma.
Aspetti che,
alla prova dei
fatti, hanno
prodotto solo
balbettii e
iati, neppure
lontanamente
sopperibili
dalla larvata
condivisione
virtuale di
un'avversione,
peraltro
espressa nel
solitario ritiro
della propria
stanza.
Ed è inutile
dire che, da lì,
la democrazia è
lontana. Ma lo
è, secondo
aspetto, anche
per la mancanza
di libertà nel
manifestare la
propria
opinione: è da
tempo invalso
l'uso di 'bannare'
l'utente che
nell'esprimere i
propri pensieri
non si attiene
alle regole
fissate dal
gestore nella
netiquette. In
pratica, pur
rispettando le
norme civili e
penali, si
possono
affermare
soltanto idee
che collimino
con quelle del
gestore stesso.
Come dire che la
'piazza' è
interdetta alle
minoranze e alle
opposizioni. Ma,
nonostante ciò,
accreditati
commentatori
continuano a
magnificare la
'rete'
caricandola di
lusinghieri
apprezzamenti e
proiettandola in
una
caleidoscopica
applicazione e
fruizione, detta
salvifica della
nostra
sussistenza
civile e
sociale. Dove ci
porterà, lo
scopriremo solo
vivendo, cantava
Battisti
nell'epoca d'oro
della piazza.
Ma, comunque, la
'piazza', da
oltre un
ventennio a
questa parte,
era caduta
nell'oblio,
persa tra le
nebbie della
memoria dei più
anziani,
echeggiante di
dichiarazioni e
di incitamenti.
Era un diritto e
una speranza,
ultima ratio di
una
controversia. E,
di fronte alla
riottosità, alla
renitenza,
all'ostracismo
di reazione,
ecco i filamenti
mnemonici di
quella gridata
affermazione
divenuta
universale per
significare
fermezza e
determinazione:
'ce n'est qu'un
debut,
continuons le
combat', nata
nel mitico
maggio
sessantottino
francese.
Persa, per il
disdoro
procuratogli
dalle violenze
di facinorosi o
di volenterosi
infiltrati.
Persa per la
comodità offerta
da manierosi e
accreditati
talk-show. Persa
per la futilità
di osannati
social media
dove persino i
politici si
affannato a
'postare'. Persa
per
l'affollamento
virtuale di
patentati
dementi che, in
veste di nuovi
guru, ultimo
ritrovato
servizievole del
capitalismo, si
sono sostituiti
al Mago d'Arcella
non per la
lettura delle
carte o per la
preparazione di
elisir bensì per
indurre il
povero follower
a ritenere che,
per essere
'incluso', debba
consumare.
Persa, quindi,
nella banalità e
nella
mediocrità.
Poi,
all'improvviso,
dopo oltre
vent'anni di
'silenzio', le
avvisaglie di un
ritorno. E il
mondo ha
sgranato gli
occhi. Aveva
perso persino la
percezione dei
tanti
significati
della 'piazza'.
Decine e decine
di migliaia di
gilet gialli,
dal novembre del
2018,
'aggregati'
dalla 'rete' ma
dotati di chiari
motivi di
protesta, hanno
preso ad
affollare le
piazze francesi,
per contrastare
la politica
governativa e,
di contro,
chiedere misure
contro la
disuguaglianza
sociale e la
diminuzione del
potere
d'acquisto delle
retribuzioni e
pensioni nonché
una più equa
progressione
fiscale e il
mantenimento del
sistema di
sicurezza
sociale.
Dopo oltre un
anno di
proteste, il
governo ha
annullato suoi
atti, ha fatto
importanti
immediate
concessioni e si
è impegnato per
il varo di
efficaci
politiche
sociali.
Ma, il Covid ha
coperto di
cenere quella
scintilla. E'
sembrato che in
quell'occasione
del morbo il
mondo dovesse
fermarsi,
bloccato da
regole di
contenimento, a
volte
cervellotiche,
per giunta alle
prese con
altalenanti
misure di
prevenzione. E
mentre le
economie
andavano a
rotoli, mentre
clip video
giravano nei
social per
attestare
deserti urbani,
mentre TV di
Stato mostravano
la prostrazione
dei sanitari e
l'apocalittico
parere di
virologi, ecco
all'improvviso
decine e decine
di migliaia di
dimostranti
nella
disciplinata
Germania che, in
piazza,
dissentivano
dalle politiche
governative.
Non esagitati e
facinorosi, né
no-vax, né
tantomeno
docenti e
sanitari di
chiara fama
bensì famiglie
di media e
piccola
borghesia che,
senza
mascherina,
hanno occupato
le piazze delle
maggiori città
tedesche mentre
le forze
dell'ordine, a
volte prive di
mascherina
anch'esse,
osservavano
benigne il
dignitoso
sfilare della
gente.
Non hanno
risolto molto in
quell'occasione
ma il segnale
era stato dato.
Anche nel Paese
europeo più
economicamente
avanzato e
meglio
organizzato
possono
sussistere
motivi di
dissenso che la
politica non può
o non vuole
rimuovere. E non
è questione di
colorazione
governativa:
sedici anni di
guida
cristiano-democratica
e due anni di
gestione
socialista non
hanno cancellato
quelle pulsioni
spontanee,
aggregate per
condivisione
d'idee, che
portano ad
esprimere
pubblicamente e
liberamente il
proprio
pensiero. Non
hanno risolto
molto ma i
cerchi
concentrici di
quella pietra,
gettata nella
morta gora, sono
giunti fino allo
scoppio della
strana guerra
non dichiarata
in Ucraina e
alle sue
conseguenze
economiche e
sociali.
Anche qui, le
pagine di
Confini non
hanno certo
lesinato analisi
e commenti e non
è il caso di
ripercorrerli ma
le stranezze di
quella guerra e
le loro
riverberazioni
economiche
pesano sulla
società come
macigni al punto
da indurre di
nuovo la
mobilitazione
popolare.
Intanto, ancora
in Francia. La
questione
principale là
sul tappeto è
l'innalzamento
dell'età
pensionabile.
Discutibile, se
vogliamo, per
l'indubbio
ampliamento
della vita
media. Ma fanno
da pirotecnico
corollario alla
vertenza i
disagi sociali
derivati dalle
cosiddette
sanzioni
all'aggressore
russo le cui
riverberazioni
stanno creando
una serie
infinita di
problematiche
che la politica,
per una serie
altrettanto
infinita di
motivazioni, non
è in grado di
fronteggiare
seriamente. Una
mobilitazione
generale
spontanea, nelle
maggiori città,
sta facendo
ribollire la
Francia alla
quale fa da
rinforzo il
sindacato con
scioperi. A
dimostrazione
della popolarità
della protesta,
gira sul web una
curiosa foto che
mostra
un'attempata
signora che,
molto
decorosamente,
innalza un
cartello con
sopra scritto:
si on avait
voulu se faire
baiser par le
gouvernement on
aurait elu Brad
Pitt. Se
avessimo voluto
farci fottere
dal governo,
avremmo eletto
Brad Pitt.
Il Consiglio
Costituzionale,
motivato alla
bisogna, dovrà
urgentemente
decidere sulla
legittimità del
provvedimento
previdenziale
circa le
pensioni ma, in
ogni caso,
restano sul
tappeto i gravi
problemi sociali
ed economici che
la recente
visita del
Presidente
Macron in Cina
non credo possa
risolvere,
neppure in via
mediata.
Anzi, per aprire
una
sinteticissima
parentesi credo
che quella
visita, seppur
nutrita da una
schiera
d'imprenditori,
da un lato abbia
dimostrato una
sorta di egoismo
del francese in
netto contrasto
con lo spirito
comunitario e
dall'altro abbia
cantato il De
Profundis alla
messa già in
corso della
delegittimazione
europea, interna
e
internazionale.
Piuttosto, come
chiosa a latere,
visti i punti
dell'accordo
Cina-Francia, ha
ancora un valore
il Trattato del
Quirinale,
sottoscritto nel
novembre '21 tra
l'Italia e la
Francia?
In ogni caso, mi
dispiace. Molto.
Da accesa
sostenitrice
dell'Unione
Europea, atteso
che i princìpi
non fanno
difetto, avrei
voluto un'altra
costruzione e
una guida
efficace.
Invece, una
visione e una
politica woke,
di fatto
affiancata alla
grande finanza,
fatta di cancel
culture, di
improbabili
iniziative green
fuori da ogni
contesto, di un
umanesimo di
maniera,
incoerente e
disomogeneo, di
uno
pseudo-radicalismo
delirante,
inquietante e
imprevedibile,
la stanno
conducendo al
suicidio. Torno
a ripetere: mi
dispiace, molto.
Ma, traendo
dalle Pandette
di Giustiniano,
ad impossibilia
nemo tenetur.
Comunque, nella
protesta, alla
Francia torna ad
affiancarsi la
Germania con la
proclamazione
del più grande
sciopero
nell'ultimo
trentennio che
appoggia la
mobilitazione
spontanea di
centinaia di
migliaia di
persone in una
miriade di
città: le
rivendicazioni
vanno dai
gravosissimi
disagi procurati
dall'inflazione
che sta
falcidiando il
potere
d'acquisto alla
grave situazione
economica
generale, in un
incomprensibile
atteggiamento
del governo
socialista. Ad
esempio, la
Basf, colosso
mondiale nel
campo chimico,
sta lasciando a
casa 2.700
dipendenti per
cessazione della
produzione di un
particolare
prodotto
polimerico che
si congiunge ai
chip
elettronici. Il
tutto, già
assemblato,
verrà acquistato
direttamente in
Cina, con
notevole
risparmio. Ora,
visto il
continuo ricorso
alla Cina, siamo
proprio certi
che la guerra in
corso sia
razionale e che
le ragioni
addotte siano le
sole a
motivarla?
Non a caso,
infatti, le
piazze tedesche
stanno vedendo
anche imponenti
manifestazioni
contro la strana
guerra, alcune
rivolte verso
tutte le parti
in causa e altre
indirizzate alle
sole
rappresentanze
russe in
territorio
tedesco. Ma, in
ogni caso, tutte
orientate a
sollecitare la
fine delle
ostilità e
l'avvio di una
seria
negoziazione
diplomatica
della quale, in
oltre un anno di
belligeranza,
non c'è neppure
un embrione.
Un aspetto,
paradossale se
vogliamo, non
poteva mancare:
Greta Thunberg,
accompagnata da
svariati gretini,
ha inscenato
accese proteste
a Luetzerath,
nel
Nordreno-Vestfalia,
luogo di
estrazione del
carbone, in
pratica unico,
serio, alimento
rimasto, a costi
accettabili, per
le centrali
elettriche.
Chissà se una
piccola
stearica, accesa
in casa
all'imbrunire,
dopo una
giornata di
faticoso lavoro
nei campi,
riuscirebbe a
soddisfare
l'attivista
svedese.
Accantoniamo il
sarcasmo. In
Inghilterra, con
le stesse
motivazioni
della Francia,
aggravate dagli
effetti della
Brexit, si
affiancano
manifestazioni
di piazza, così
imponenti da
ricordare i
tempi della
Signora di Ferro
e la sua volontà
di porre un
freno al potere
sindacale.
Oggi, i
sindacati sono
tornati, più
forti e più
agguerriti che
pria, per
parafrasare
Petrolini, con
vastissime
sollevazioni del
mondo del lavoro
sia pubblico che
privato. Anche
qui, il sarcasmo
verrebbe facile:
cultori da
sempre di una
visione e di una
politica
atlantica
piuttosto che
europea, hanno
conti-nuamente
manifestato
insofferenza
durante la loro
permanenza
nell'Unione,
seppur ridotta
dall'adozione
della formula
dell'opting out
e del rifiuto
dell'euro. E,
nonostante ciò,
hanno fruito di
tutte le formule
agevolative e di
sostegno
comunitarie.
Poi, blanditi
dalla demagogia
di Cameron,
hanno
presumibilmente
creduto di poter
tornare in
un'era
imperiale, fuori
dagli elastici
vincoli europei.
E i successivi
Primi Ministri
non li hanno
dissuasi. Anzi.
Dopo un paio di
verifiche e
pratiche
dilatorie di
oltre due anni
per spuntare,
nonostante i
precorsi, le
migliori
condizioni
d'uscita, alla
fine hanno visto
realizzata la
loro visione
onirica. Col
primo risultato
di vedersi
abbandonati da
importanti
aziende
manifatturiere,
trasferitesi
appena al di là
della Manica.
Poi, la
necessaria
revisione delle
tariffe e dei
permessi di
trasporto hanno
creato non pochi
problemi alla
produzione in
generale e
all'alimentare
in particolare.
Infine, i
riflessi delle
sanzioni e
l'effetto
inflattivo hanno
dato vita alla
tempesta
perfetta.
Non credo
neanche qui che
l'attivismo nel
ricercare un
nuovo ruolo
politico
internazionale,
tra l'altro
ponendosi come
cocchiere delle
new entry nella
NATO, possa
neppure
minimamente
lenire le
condizioni
economiche e
sociali di quel
Paese. Né che la
manifesta
sudditanza agli
USA liberal, di
lunga e
rancorosa
memoria, possa
prodigiosamente
rivelarsi
salvifica. Mi
dolgo per i
problemi di
quelle genti,
causati da una
politica che
giudico
improvvida ma,
da come si son
messe le cose,
sono dell'avviso
che cresce di
senso l'aforisma
posto in testa
di prima pagine
dell'Osservatore
Romano:
Unicuique suum,
a ciascuno il
suo.
Già. In ogni
caso, la piazza
sta tornando. In
barba alla
'rete', nel caso
usata
giustamente come
strumento. Ha
riconquistato la
scena,
l'immagine è
netta e
avvertibile
anche dalle
nuove
generazioni che,
perplesse, la
giudicavano
mitologia. Sta
tornando per
porre sul
tappeto tutte
quelle questioni
che, trent'anni
fa, la politica
ha
demagogicamente
accantonato
nella speranza
che il tempo,
più che
l'impegno,
potesse in
qualche modo
risolverle.
Allora, una
specie di
visione ottenuta
da un visore di
realtà virtuale.
Ma, purtroppo,
sono mancati
abili architetti
e capaci
ingegneri per
tradurre il
virtuale,
digitalizzato
alla consolle,
nel reale.
Ma … E in
Italia? Cosa sta
accadendo in
questo nostro
beneamato Paese,
in passato terra
di sole e di
mare, di calore
umano e di
solidarietà, di
sorrisi e di
disponibilità,
d'inventiva e
d'intraprendenza,
di magia
imprenditoriale?
Le onde potenti
dell'ipocrisia
quali
inarrestabili
tsunami hanno
fatto tabula
rasa dei tratti
salienti del
nostro
carattere.
Un'ipocrisia che
non conosce
limiti, che ha
l'arroganza di
nobilitarsi, che
da appiccicosa
melassa ha
l'alterigia di
etichettarsi
come zucchero
cristallino.
Sempre quale
chiosa a latere,
ho ascoltato
recentemente TG3
- Linea Notte
dove si è
parlato degli
'amici operai'
di Portovesme e
dei poveri
precari. Si è
anche parlato
dei problemi
dell'INPS,
dichiarati
insostenibili
nel lungo
periodo per gli
indici di
natalità in
negativo e per
le disparità
fattoriali tra i
'versanti' e i
'fruitori'. Si è
parlato altresì
dell'increscioso
fatto che solo
da pochi anni il
sistema è
tornato al
calcolo
contributivo. E
non nascondo che
immediatamente
mi ha preso un
groppo allo
stomaco ed è
salito
prorompente un
conato. Non è
certo questo il
tempo e il luogo
per un esame
delle proditorie
affermazioni.
Ma almeno una
domanda retorica
va posta: chi
sono gli
artefici dello
sfascio,
spacciato nel
passato come
glorioso
progresso?
Per tornare alla
piazza in
Italia,
l'immagine che
mi suscita è
quella di un
grigio, triste
riquadro
all'aperto, tra
muti e
trasandati
palazzi, pieno
di ombre,
rischiarato
debolmente da
una tremolante
luce giallastra
di uno
sgangherato
lampione,
neppure
sufficiente per
scorgere le
buche in un
lastricato
divelto dal
passaggio di una
tifoseria
demente.
No. No. Non va
bene. Mi lascio
prendere dal
tono aulico. La
realtà è che la
'nostra' piazza
ha visto in
questi ultimi
vent'anni solo
le strumentali
'sardine' e i
parimenti
strumentali
'indignati',
scomparsi dopo
aver esaurito il
loro compito.
Strumentale,
appunto. Di
fronte alla
distruzione
sistematica di
un consolidato
impianto di
diritto del
lavoro e di
relazioni
industriali, di
tutele e
garanzie
sociali; dinanzi
a strampalate,
onerosissime
iniziative
assistenziali a
danno unico del
sistema
previdenziale e
dell'erario;
davanti a
cervellotiche
politiche
perpetrate a
danno
dell'economia,
il sindacato,
soprattutto, ha
guardato
altrove.
Ora, io non sono
una patita
forsennata del
centro-destra.
Nel senso che,
sensibile ad un
portato ideale,
ritengo che 'un'
centro-destra
possa arrivare a
concepirlo
meglio. Sono,
peraltro,
consapevole che
un governo in
carica da circa
cinque mesi,
alla presa con
immani problemi
interni e
internazionali
avuti in
eredità, non
disponga di una
bacchetta
magica. Detto
questo, mi
chiedo come sia
possibile che la
piazza italiana
sia stata di
recente
risvegliata
dalla presenza
asservita di
studenti i quali
protestano per
lo sfascio della
scuola. Vorrei
consigliare loro
di rivolgersi a
'operatori' del
passato di una
sedicente
'sinistra' che
hanno fatto
della scuola una
specie di
puzzle. Così
come vorrei
suggerire loro
di rileggersi
gli atti de 'La
Buona Scuola' di
Matteo Renzi.
Chissà che la
Schlein,
facoltosa
cittadina
americana,
naturalizzata
svizzera, neo
segretaria del
PD con soli tre
mesi
d'iscrizione,
non possa
fornire loro
qualche migliore
spunto quando
avrà superato il
blocco dello
scrittore che la
sta portando a
ripetere vuoti
ed eterogenei
slogan.
Da ultimo, poi,
la piazza
italica l'ha
visto finalmente
il ritorno del
sindacato. Per
rivendicare
rinnovi
contrattuali, al
palo mediamente
da dieci anni,
misure di
sostegno, dopo
gli sperperi del
Covid, garanzie
di tutela del
potere
d'acquisto dopo
la cancellazione
degli
automatismi, e
chi più ne ha
più ne metta.
Ovviamente,
auguro ai
lavoratori ogni
bene ma, da
critica della
politica
coloniale
italica del
ventennio, non
vorrei vederli
in divisa di
ascari e di mere
truppe
cammellate.
La piazza
italica è tutta
qui. Grottesca,
stavo per dire.
Mi correggo.
Pietosa mi
sembra più
appropriato. Mi
ricordo, nella
notte dei tempi,
il dibattito
culturale dal
quale è
scaturita la
'codeterminazione',
espressione cara
alla 'sinistra'
che le ha
consentito di
dribblare l'uso
della
'partecipazione'.
In ogni caso, a
quel tempo si
disse,
giustamente, che
essa, vista la
difficoltà
economica del
mondo
imprenditoriale,
era un congegno
necessario per
rispondere alle
esigenze del
mondo del
lavoro, seppur
in via mediata.
E ciò
semplicemente
innalzando il
livello della
contrattazione
all'interlocuzione
governativa:
tasse, tariffe,
utenze, accise,
ecc. divennero
così nuovi
elementi di
trattativa.
Mi chiedo,
perciò, quasi
per gioco, vista
la difficoltà
per non dire
l'impossibilità
da parte dei
governi di
rispondere a
sacrosante
esigenze sociali
per una serie di
motivi
riconducibili
tutti
all'Europa, alla
sua inerzia e
alle sue
discutibili
iniziative,
perché non
spostare
ulteriormente
l'interlocuzione
propositiva (e
la piazza) a
livello
comunitario,
fisicamente o
idealmente?
Una piazza,
nell'ipotetica
ipotesi, aperta
alla
proposizione non
solo dei
lavoratori ma
anche, ad
esempio, di
sindaci, di
imprenditori, di
studenti, di
appartenenti a
categorie
svantaggiate e
di tante altre
figure per dare
un minimo di
significato a
quella splendida
espressione che
vede l'Europa
stessa come 'un'arricchente
unione tra
diversi'.
Altrimenti, per
il 'degrado'
delle nostre
piazze, l'unico
rimedio che mi
viene in mente è
quello di
chiamare, per
ammodernarle, un
bravo
architetto.
Forse cinese.
Note:
1. Guerra nel
Peloponneso 2,36
2. Ivi, 2,39
3. Ivi, 2,41
4. Ivi, 2,42
5. Ivi, 2,43
6. Ivi, 2, 43-44
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