SCENARI  
    di Roberta Forte    
       
    IL RITORNO DELLA PIAZZA    
   
Già. Il ritorno della piazza. In effetti, era sparita da tempo dagli albori della cronaca e si era perso il ricordo di quella nutrita presenza di popolo che, in comunione d'intenti, acclamava, ascoltava e applaudiva, rivendicava, vendeva e comprava, incontrava e stringeva accordi.
Ma l'aspetto curioso è che la sua ultraventennale dissolvenza non ha nelle more sollevato interrogativi, non ha indotto a riflessioni, non ha comportato commenti. Un giorno c'era e quello successivo non c'era più, come se non fosse mai esistita.
Eppure, la sua 'presenza' e la sua importanza sembravano consolidate nei millenni: area libera, limitata in tutto o in parte da costruzioni, con varia funzione urbanistica, all'incrocio di più strade o lungo il tracciato di un'arteria importante, rappresentava il salotto delle città, un luogo dove storia, architettura e cultura si fondevano e assumevano il fulcro della vita urbana, affermando l'identità di un popolo e rafforzandone l'unità.
Non a caso, infatti, gli eventi politici e sociali di maggior spessore hanno preso le mosse dalla piazza: non si possono dimenticare le parole che Tucidide, nella sua Storia della Guerra nel Peloponneso, mette in bocca a Pericle che, in piazza, parla agli Ateniesi e apre con una lode dei morti in guerra: '… Quella parte della nostra storia che racconta le conquiste militari che ci hanno permesso i nostri vari possedimenti, o del giusto valore con cui noi o i nostri padri hanno derivato l'ondata di aggressione ellenica o straniera, è per me un tema troppo familiare ai miei ascoltatori per soffermarmici. Quindi lo passerò.' Ma ciò sul quale Pericle vuole, invece, concentrarsi è …la strada attraverso la quale abbiamo raggiunto la nostra posizione, la forma di governo in cui è cresciuta la nostra grandezza e le abitudini nazionali da cui è scaturita.1
Noi abbiamo una forma di governo che non guarda con invidia le costituzioni dei vicini, e non solo non imitiamo altri, ma anzi siamo noi stessi di esempio a qualcuno. Quanto al nome, essa è chiamata democrazia, poiché è amministrata non già per il bene di poche persone, bensì di una cerchia più vasta: di fronte alle leggi, però, tutti, nelle private controversie, godono di uguale trattamento; e secondo la considerazione di cui uno gode, poiché in qualsiasi campo si distingua, non tanto per il suo partito, quanto per il suo merito, viene preferito nelle cariche pubbliche; né, d'altra parte, la povertà, se uno è in grado di fare qualche cosa di utile alla città, gli è di impedimento per la sua oscura posizione sociale.
E qui inserisce il suo liberalismo, esteso anche alla politica estera ateniese: … Apriamo la nostra città al mondo, e mai per atti alieni escludiamo gli stranieri da ogni opportunità di apprendere o osservare, anche se gli occhi di un nemico possono occasionalmente trarre profitto dalla nostra liberalità...2. Poi, al culmine della sua lode ad Atene, dichiara: '… In breve, io dico che come città siamo la scuola della Grecia, mentre dubito che il mondo possa produrre un monarca che, dipendendo solo da se stesso, sia capace di fronteggiare tante emergenze, e sia onorato da una tale felice versatilità come l'ateniese…'3.
Dopo, collega la sua lode della città ai morti ateniesi che sta celebrando: '… L'Atene che ho celebrato, solo l'eroismo di questi e dei loro simili l'hanno fatta ... nessuno di questi uomini ha permesso di essere tentato di innervosire il suo spirito né dalla ricchezza, con la sua prospettiva di futuro divertimento, né dalla povertà, con la sua speranza di un giorno di libertà per ritirarsi dal pericolo. No, rivolgere quella vendetta sui loro nemici era qualcosa di più che desiderare qualsiasi benedizione personale, e ritenendo che questo fosse il più glorioso dei pericoli, con gioia decisero di accettare il rischio ... Quindi, scegliendo di morire resistendo, piuttosto che vivere sottomessi, sono fuggiti solo di fronte al disonore…4.
Infine, conclude con parole che possono suscitare perplessità ma sono innegabili: '… Perciò, dopo aver giudicato che essere felici significa essere liberi, essere liberi significa essere coraggiosi, cioè non rifuggire dai rischi della guerra …5. … E ciò in quanto … Così sono morti questi uomini come Ateniesi, voi, i loro sopravvissuti, dovete decidere di avere una risolutezza ineffabile sul campo, anche se potete pregare chi avrebbe potuto avere una fine più felice.6
In pratica, la democrazia, simboleggiata dalla piazza e dalle presenze che la gremiscono, è un bene prezioso, tutelato dalle Costituzioni, e come tale va conquistato e difeso. Senza infingimenti, senza deleghe.
Del resto, lo 'scendere in piazza' è l'espressione più significativa e diretta di una persona: mostrarsi 'pubblicamente' e, attraverso il mostrarsi, rendere visibile la propria opinione. E la sommatoria delle presenze denota da un lato una plateale condivisione d'intenti e, dall'altro, la dimensione del portato. Le grandi adunanze, che soprattutto il Novecento ci ha mostrato, rimarranno imperiture negli annali del sindacato e della politica, risonanti di slogan e festonate da cartelli e striscioni.
Infatti, non c'è democrazia cosiddetta rappresentativa che tenga a sostituirla: la piazza è diretta, non ammette rituali di opportunità, calendarizzazioni, doppie letture e emendamenti. E' il megafono delle minoranze e la cassa di risonanza delle maggioranze, in condivisione e perfino in contrasto con i propri rappresentanti. E', altresì, l'amplificatore dei 'non censiti', di quelli che la politica non ha ancora classificato. La foto dell'anonimo ragazzo cinese di fronte al carro armato in piazza Tienanmen a Pechino ha fatto il giro del mondo a significare la determinazione dell'uno che, col solo coraggio e con la semplice volontà, seppur inerme, riesce a porre un freno alla forza bruta.
Certo, la piazza non è stato esclusivo patrimonio del popolo: anche il potere temporale e quello spirituale se ne sono avvalsi. Il primo per arringare la folla, per affiggere proclami e bandi, per dare dimostrazione di giustizia.
Non a caso, le esecuzioni capitali si svolgevano in piazza, ovviamente affollata, spontaneamente o artatamente: impiccagioni, fucilazioni, decapitazioni e chi più ne ha più ne metta nel bestiario della natura umana, a dimostrazione didattica di forza e di determinazione, prima che di giustizia. In epoca moderna, l'esempio più eclatante delle discutibili sfaccettature dell'essere umano, lo troviamo nell'impiego di Madame Guillotine prima in place de Grève, poi in quella du Carrousel, indi in place de la Révolution (attuale place de la Concorde) dove vengono soppressi, tra tanti altri, sia Luigi XVI che la sua nemesi, Robespierre. Neppure il Termidoro farà a meno della ghigliottina e della piazza, scegliendo solo località più decentrate: place de la Bastille prima e, in seguito, place du Trône Renversé (attuale Nation).
Anche il potere spirituale, come cennavo, ne ha fatto un largo uso: nella piazza antistante la chiesa, il sagrato, appariva il sacerdote in paludamenti per fare allocuzioni o benedire il popolo radunato o per svolgere le sacre rappresentazioni che chiamavano a raccolta la comunità. Ma sotto l'egida clericale, nel sagrato o poco più da presso, fino a ridosso dei giorni nostri, si svolgevano anche fiere e mercati, spesso coincidenti, opportunamente, con le manifestazioni religiose. Del resto, la spiritualità, al pari della politica, costa e i ricavi da parte del prelato di turno in affitti e decime sostenevano, suo tramite, la volontà del Signore.
In pratica, per avviarmi velocemente verso la conclusione di questa prima riflessione, la piazza ha visto l'essere umano, sin dai suoi primi passi, sgambettare tra le bancarelle dei dolciumi e dei giocattoli; ha annotato, da adolescente, le sue prime trepidazioni amorose mentre camminava, fiero, mano nella mano, davanti alla gente; ha registrato le sue delusioni, seduto in solitudine, davanti ad un caffè su un tavolo all'aperto mentre l'occhio spento osservava penosamente i più disparati atteggiamenti della varia umanità di passaggio; ha costatato le sue manifestazioni di socialità e di amicizia, tra esuberanti e spensierate vivacità e scoppi di risa. Ha segnato, da adulto, i suoi atti di affermazione economica e sociale. Ma è stata anche testimone della sua fede e della sua idealità, al costo a volte del sangue rimasto sul selciato.
Questo spazio urbano, quindi, ha rappresentato nella vita della persona uno tra i più importanti pilastri della sua esistenza. Poi, all'improvviso, al pari di altri capisaldi, è stato privato di tutte le sue accezioni metaforiche, sociali, economiche e ideali per relegarlo nel solo significato toponomastico e odonomastico. Certo, qualche raduno politico l'ha visto ma solo come mera indicazione della sua ubicazione a beneficio degli interessati e come spazio funzionale. Ma in sostanza, la piazza, sotto il dichiarato intento di modernità e di adeguamento ai tempi, è stata soppiantata dalla 'rete', investita di tutte le accezioni tipiche della 'piazza' stessa, finanche di quella inerente alla democrazia.
Non sono mancati, nelle pagine di Confini, esami più o meno approfonditi del fenomeno della 'rete', dei suoi pregi e dei suoi difetti nonché dei suoi 'pericoli' e qui non gioverebbe ripercorrerli se non per due, sintetici, aspetti. Si afferma che essa rappresenti la forma progredita della democrazia, non foss'altro che per il fatto di poter esprimere la propria opinione in 'piazze' deputate dal nome di social forum e, all'interno di queste, costatare condivisione d'intenti e dare luogo ad una massa critica. Virtuale, stavo per aggiungere. Poi, mi sono ravveduta e mi è tornato in mente il M5S dei primordi, tra i massimi fautori del 'nuovo strumento' osannato come progressista e liberale.
Lì, la 'rete' è in effetti servita per condividere e aggregare ma, intanto, le celebrazioni del V Day sono avvenute necessariamente nella piazza fisica. Altrimenti, avrebbero perso di evidenza i gesti eclatanti, a beneficio della cittadinanza e dei media, vogliosi amplificatori di segnale. Quindi, la 'rete' sì ma interpolata dalla curiosità quando non dalla calorosità degli astanti della piazza fisica. Un fenomeno, quello, che ha consentito a quel movimento di arrivare al 33% dei voti espressi, sull'onda della protesta, ma di non 'durare': è mancato il cemento sacrificale della militanza, la passione per un'idea, la comunanza di un programma.
Aspetti che, alla prova dei fatti, hanno prodotto solo balbettii e iati, neppure lontanamente sopperibili dalla larvata condivisione virtuale di un'avversione, peraltro espressa nel solitario ritiro della propria stanza.
Ed è inutile dire che, da lì, la democrazia è lontana. Ma lo è, secondo aspetto, anche per la mancanza di libertà nel manifestare la propria opinione: è da tempo invalso l'uso di 'bannare' l'utente che nell'esprimere i propri pensieri non si attiene alle regole fissate dal gestore nella netiquette. In pratica, pur rispettando le norme civili e penali, si possono affermare soltanto idee che collimino con quelle del gestore stesso. Come dire che la 'piazza' è interdetta alle minoranze e alle opposizioni. Ma, nonostante ciò, accreditati commentatori continuano a magnificare la 'rete' caricandola di lusinghieri apprezzamenti e proiettandola in una caleidoscopica applicazione e fruizione, detta salvifica della nostra sussistenza civile e sociale. Dove ci porterà, lo scopriremo solo vivendo, cantava Battisti nell'epoca d'oro della piazza.
Ma, comunque, la 'piazza', da oltre un ventennio a questa parte, era caduta nell'oblio, persa tra le nebbie della memoria dei più anziani, echeggiante di dichiarazioni e di incitamenti. Era un diritto e una speranza, ultima ratio di una controversia. E, di fronte alla riottosità, alla renitenza, all'ostracismo di reazione, ecco i filamenti mnemonici di quella gridata affermazione divenuta universale per significare fermezza e determinazione: 'ce n'est qu'un debut, continuons le combat', nata nel mitico maggio sessantottino francese.
Persa, per il disdoro procuratogli dalle violenze di facinorosi o di volenterosi infiltrati. Persa per la comodità offerta da manierosi e accreditati talk-show. Persa per la futilità di osannati social media dove persino i politici si affannato a 'postare'. Persa per l'affollamento virtuale di patentati dementi che, in veste di nuovi guru, ultimo ritrovato servizievole del capitalismo, si sono sostituiti al Mago d'Arcella non per la lettura delle carte o per la preparazione di elisir bensì per indurre il povero follower a ritenere che, per essere 'incluso', debba consumare. Persa, quindi, nella banalità e nella mediocrità.
Poi, all'improvviso, dopo oltre vent'anni di 'silenzio', le avvisaglie di un ritorno. E il mondo ha sgranato gli occhi. Aveva perso persino la percezione dei tanti significati della 'piazza'. Decine e decine di migliaia di gilet gialli, dal novembre del 2018, 'aggregati' dalla 'rete' ma dotati di chiari motivi di protesta, hanno preso ad affollare le piazze francesi, per contrastare la politica governativa e, di contro, chiedere misure contro la disuguaglianza sociale e la diminuzione del potere d'acquisto delle retribuzioni e pensioni nonché una più equa progressione fiscale e il mantenimento del sistema di sicurezza sociale.
Dopo oltre un anno di proteste, il governo ha annullato suoi atti, ha fatto importanti immediate concessioni e si è impegnato per il varo di efficaci politiche sociali.
Ma, il Covid ha coperto di cenere quella scintilla. E' sembrato che in quell'occasione del morbo il mondo dovesse fermarsi, bloccato da regole di contenimento, a volte cervellotiche, per giunta alle prese con altalenanti misure di prevenzione. E mentre le economie andavano a rotoli, mentre clip video giravano nei social per attestare deserti urbani, mentre TV di Stato mostravano la prostrazione dei sanitari e l'apocalittico parere di virologi, ecco all'improvviso decine e decine di migliaia di dimostranti nella disciplinata Germania che, in piazza, dissentivano dalle politiche governative.
Non esagitati e facinorosi, né no-vax, né tantomeno docenti e sanitari di chiara fama bensì famiglie di media e piccola borghesia che, senza mascherina, hanno occupato le piazze delle maggiori città tedesche mentre le forze dell'ordine, a volte prive di mascherina anch'esse, osservavano benigne il dignitoso sfilare della gente.
Non hanno risolto molto in quell'occasione ma il segnale era stato dato. Anche nel Paese europeo più economicamente avanzato e meglio organizzato possono sussistere motivi di dissenso che la politica non può o non vuole rimuovere. E non è questione di colorazione governativa: sedici anni di guida cristiano-democratica e due anni di gestione socialista non hanno cancellato quelle pulsioni spontanee, aggregate per condivisione d'idee, che portano ad esprimere pubblicamente e liberamente il proprio pensiero. Non hanno risolto molto ma i cerchi concentrici di quella pietra, gettata nella morta gora, sono giunti fino allo scoppio della strana guerra non dichiarata in Ucraina e alle sue conseguenze economiche e sociali.
Anche qui, le pagine di Confini non hanno certo lesinato analisi e commenti e non è il caso di ripercorrerli ma le stranezze di quella guerra e le loro riverberazioni economiche pesano sulla società come macigni al punto da indurre di nuovo la mobilitazione popolare.
Intanto, ancora in Francia. La questione principale là sul tappeto è l'innalzamento dell'età pensionabile. Discutibile, se vogliamo, per l'indubbio ampliamento della vita media. Ma fanno da pirotecnico corollario alla vertenza i disagi sociali derivati dalle cosiddette sanzioni all'aggressore russo le cui riverberazioni stanno creando una serie infinita di problematiche che la politica, per una serie altrettanto infinita di motivazioni, non è in grado di fronteggiare seriamente. Una mobilitazione generale spontanea, nelle maggiori città, sta facendo ribollire la Francia alla quale fa da rinforzo il sindacato con scioperi. A dimostrazione della popolarità della protesta, gira sul web una curiosa foto che mostra un'attempata signora che, molto decorosamente, innalza un cartello con sopra scritto: si on avait voulu se faire baiser par le gouvernement on aurait elu Brad Pitt. Se avessimo voluto farci fottere dal governo, avremmo eletto Brad Pitt.
Il Consiglio Costituzionale, motivato alla bisogna, dovrà urgentemente decidere sulla legittimità del provvedimento previdenziale circa le pensioni ma, in ogni caso, restano sul tappeto i gravi problemi sociali ed economici che la recente visita del Presidente Macron in Cina non credo possa risolvere, neppure in via mediata.
Anzi, per aprire una sinteticissima parentesi credo che quella visita, seppur nutrita da una schiera d'imprenditori, da un lato abbia dimostrato una sorta di egoismo del francese in netto contrasto con lo spirito comunitario e dall'altro abbia cantato il De Profundis alla messa già in corso della delegittimazione europea, interna e internazionale. Piuttosto, come chiosa a latere, visti i punti dell'accordo Cina-Francia, ha ancora un valore il Trattato del Quirinale, sottoscritto nel novembre '21 tra l'Italia e la Francia?
In ogni caso, mi dispiace. Molto. Da accesa sostenitrice dell'Unione Europea, atteso che i princìpi non fanno difetto, avrei voluto un'altra costruzione e una guida efficace. Invece, una visione e una politica woke, di fatto affiancata alla grande finanza, fatta di cancel culture, di improbabili iniziative green fuori da ogni contesto, di un umanesimo di maniera, incoerente e disomogeneo, di uno pseudo-radicalismo delirante, inquietante e imprevedibile, la stanno conducendo al suicidio. Torno a ripetere: mi dispiace, molto. Ma, traendo dalle Pandette di Giustiniano, ad impossibilia nemo tenetur.
Comunque, nella protesta, alla Francia torna ad affiancarsi la Germania con la proclamazione del più grande sciopero nell'ultimo trentennio che appoggia la mobilitazione spontanea di centinaia di migliaia di persone in una miriade di città: le rivendicazioni vanno dai gravosissimi disagi procurati dall'inflazione che sta falcidiando il potere d'acquisto alla grave situazione economica generale, in un incomprensibile atteggiamento del governo socialista. Ad esempio, la Basf, colosso mondiale nel campo chimico, sta lasciando a casa 2.700 dipendenti per cessazione della produzione di un particolare prodotto polimerico che si congiunge ai chip elettronici. Il tutto, già assemblato, verrà acquistato direttamente in Cina, con notevole risparmio. Ora, visto il continuo ricorso alla Cina, siamo proprio certi che la guerra in corso sia razionale e che le ragioni addotte siano le sole a motivarla?
Non a caso, infatti, le piazze tedesche stanno vedendo anche imponenti manifestazioni contro la strana guerra, alcune rivolte verso tutte le parti in causa e altre indirizzate alle sole rappresentanze russe in territorio tedesco. Ma, in ogni caso, tutte orientate a sollecitare la fine delle ostilità e l'avvio di una seria negoziazione diplomatica della quale, in oltre un anno di belligeranza, non c'è neppure un embrione.
Un aspetto, paradossale se vogliamo, non poteva mancare: Greta Thunberg, accompagnata da svariati gretini, ha inscenato accese proteste a Luetzerath, nel Nordreno-Vestfalia, luogo di estrazione del carbone, in pratica unico, serio, alimento rimasto, a costi accettabili, per le centrali elettriche. Chissà se una piccola stearica, accesa in casa all'imbrunire, dopo una giornata di faticoso lavoro nei campi, riuscirebbe a soddisfare l'attivista svedese.
Accantoniamo il sarcasmo. In Inghilterra, con le stesse motivazioni della Francia, aggravate dagli effetti della Brexit, si affiancano manifestazioni di piazza, così imponenti da ricordare i tempi della Signora di Ferro e la sua volontà di porre un freno al potere sindacale.
Oggi, i sindacati sono tornati, più forti e più agguerriti che pria, per parafrasare Petrolini, con vastissime sollevazioni del mondo del lavoro sia pubblico che privato. Anche qui, il sarcasmo verrebbe facile: cultori da sempre di una visione e di una politica atlantica piuttosto che europea, hanno conti-nuamente manifestato insofferenza durante la loro permanenza nell'Unione, seppur ridotta dall'adozione della formula dell'opting out e del rifiuto dell'euro. E, nonostante ciò, hanno fruito di tutte le formule agevolative e di sostegno comunitarie.
Poi, blanditi dalla demagogia di Cameron, hanno presumibilmente creduto di poter tornare in un'era imperiale, fuori dagli elastici vincoli europei. E i successivi Primi Ministri non li hanno dissuasi. Anzi. Dopo un paio di verifiche e pratiche dilatorie di oltre due anni per spuntare, nonostante i precorsi, le migliori condizioni d'uscita, alla fine hanno visto realizzata la loro visione onirica. Col primo risultato di vedersi abbandonati da importanti aziende manifatturiere, trasferitesi appena al di là della Manica. Poi, la necessaria revisione delle tariffe e dei permessi di trasporto hanno creato non pochi problemi alla produzione in generale e all'alimentare in particolare. Infine, i riflessi delle sanzioni e l'effetto inflattivo hanno dato vita alla tempesta perfetta.
Non credo neanche qui che l'attivismo nel ricercare un nuovo ruolo politico internazionale, tra l'altro ponendosi come cocchiere delle new entry nella NATO, possa neppure minimamente lenire le condizioni economiche e sociali di quel Paese. Né che la manifesta sudditanza agli USA liberal, di lunga e rancorosa memoria, possa prodigiosamente rivelarsi salvifica. Mi dolgo per i problemi di quelle genti, causati da una politica che giudico improvvida ma, da come si son messe le cose, sono dell'avviso che cresce di senso l'aforisma posto in testa di prima pagine dell'Osservatore Romano: Unicuique suum, a ciascuno il suo.
Già. In ogni caso, la piazza sta tornando. In barba alla 'rete', nel caso usata giustamente come strumento. Ha riconquistato la scena, l'immagine è netta e avvertibile anche dalle nuove generazioni che, perplesse, la giudicavano mitologia. Sta tornando per porre sul tappeto tutte quelle questioni che, trent'anni fa, la politica ha demagogicamente accantonato nella speranza che il tempo, più che l'impegno, potesse in qualche modo risolverle. Allora, una specie di visione ottenuta da un visore di realtà virtuale. Ma, purtroppo, sono mancati abili architetti e capaci ingegneri per tradurre il virtuale, digitalizzato alla consolle, nel reale.
Ma … E in Italia? Cosa sta accadendo in questo nostro beneamato Paese, in passato terra di sole e di mare, di calore umano e di solidarietà, di sorrisi e di disponibilità, d'inventiva e d'intraprendenza, di magia imprenditoriale? Le onde potenti dell'ipocrisia quali inarrestabili tsunami hanno fatto tabula rasa dei tratti salienti del nostro carattere. Un'ipocrisia che non conosce limiti, che ha l'arroganza di nobilitarsi, che da appiccicosa melassa ha l'alterigia di etichettarsi come zucchero cristallino.
Sempre quale chiosa a latere, ho ascoltato recentemente TG3 - Linea Notte dove si è parlato degli 'amici operai' di Portovesme e dei poveri precari. Si è anche parlato dei problemi dell'INPS, dichiarati insostenibili nel lungo periodo per gli indici di natalità in negativo e per le disparità fattoriali tra i 'versanti' e i 'fruitori'. Si è parlato altresì dell'increscioso fatto che solo da pochi anni il sistema è tornato al calcolo contributivo. E non nascondo che immediatamente mi ha preso un groppo allo stomaco ed è salito prorompente un conato. Non è certo questo il tempo e il luogo per un esame delle proditorie affermazioni.
Ma almeno una domanda retorica va posta: chi sono gli artefici dello sfascio, spacciato nel passato come glorioso progresso?
Per tornare alla piazza in Italia, l'immagine che mi suscita è quella di un grigio, triste riquadro all'aperto, tra muti e trasandati palazzi, pieno di ombre, rischiarato debolmente da una tremolante luce giallastra di uno sgangherato lampione, neppure sufficiente per scorgere le buche in un lastricato divelto dal passaggio di una tifoseria demente.
No. No. Non va bene. Mi lascio prendere dal tono aulico. La realtà è che la 'nostra' piazza ha visto in questi ultimi vent'anni solo le strumentali 'sardine' e i parimenti strumentali 'indignati', scomparsi dopo aver esaurito il loro compito. Strumentale, appunto. Di fronte alla distruzione sistematica di un consolidato impianto di diritto del lavoro e di relazioni industriali, di tutele e garanzie sociali; dinanzi a strampalate, onerosissime iniziative assistenziali a danno unico del sistema previdenziale e dell'erario; davanti a cervellotiche politiche perpetrate a danno dell'economia, il sindacato, soprattutto, ha guardato altrove.
Ora, io non sono una patita forsennata del centro-destra. Nel senso che, sensibile ad un portato ideale, ritengo che 'un' centro-destra possa arrivare a concepirlo meglio. Sono, peraltro, consapevole che un governo in carica da circa cinque mesi, alla presa con immani problemi interni e internazionali avuti in eredità, non disponga di una bacchetta magica. Detto questo, mi chiedo come sia possibile che la piazza italiana sia stata di recente risvegliata dalla presenza asservita di studenti i quali protestano per lo sfascio della scuola. Vorrei consigliare loro di rivolgersi a 'operatori' del passato di una sedicente 'sinistra' che hanno fatto della scuola una specie di puzzle. Così come vorrei suggerire loro di rileggersi gli atti de 'La Buona Scuola' di Matteo Renzi.
Chissà che la Schlein, facoltosa cittadina americana, naturalizzata svizzera, neo segretaria del PD con soli tre mesi d'iscrizione, non possa fornire loro qualche migliore spunto quando avrà superato il blocco dello scrittore che la sta portando a ripetere vuoti ed eterogenei slogan.
Da ultimo, poi, la piazza italica l'ha visto finalmente il ritorno del sindacato. Per rivendicare rinnovi contrattuali, al palo mediamente da dieci anni, misure di sostegno, dopo gli sperperi del Covid, garanzie di tutela del potere d'acquisto dopo la cancellazione degli automatismi, e chi più ne ha più ne metta. Ovviamente, auguro ai lavoratori ogni bene ma, da critica della politica coloniale italica del ventennio, non vorrei vederli in divisa di ascari e di mere truppe cammellate.
La piazza italica è tutta qui. Grottesca, stavo per dire. Mi correggo. Pietosa mi sembra più appropriato. Mi ricordo, nella notte dei tempi, il dibattito culturale dal quale è scaturita la 'codeterminazione', espressione cara alla 'sinistra' che le ha consentito di dribblare l'uso della 'partecipazione'.
In ogni caso, a quel tempo si disse, giustamente, che essa, vista la difficoltà economica del mondo imprenditoriale, era un congegno necessario per rispondere alle esigenze del mondo del lavoro, seppur in via mediata. E ciò semplicemente innalzando il livello della contrattazione all'interlocuzione governativa: tasse, tariffe, utenze, accise, ecc. divennero così nuovi elementi di trattativa.
Mi chiedo, perciò, quasi per gioco, vista la difficoltà per non dire l'impossibilità da parte dei governi di rispondere a sacrosante esigenze sociali per una serie di motivi riconducibili tutti all'Europa, alla sua inerzia e alle sue discutibili iniziative, perché non spostare ulteriormente l'interlocuzione propositiva (e la piazza) a livello comunitario, fisicamente o idealmente?
Una piazza, nell'ipotetica ipotesi, aperta alla proposizione non solo dei lavoratori ma anche, ad esempio, di sindaci, di imprenditori, di studenti, di appartenenti a categorie svantaggiate e di tante altre figure per dare un minimo di significato a quella splendida espressione che vede l'Europa stessa come 'un'arricchente unione tra diversi'.
Altrimenti, per il 'degrado' delle nostre piazze, l'unico rimedio che mi viene in mente è quello di chiamare, per ammodernarle, un bravo architetto. Forse cinese.









Note:
1. Guerra nel Peloponneso 2,36
2. Ivi, 2,39
3. Ivi, 2,41
4. Ivi, 2,42
5. Ivi, 2,43
6. Ivi, 2, 43-44

   
     
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