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L'amico
direttore non me
ne voglia ma
sono in vena di
giocare. Per
cui, con tutto
l'affetto e il
massimo del
rispetto, mi
chiedo senza
alcuna retorica
né, tantomeno,
sarcasmo dove
abbia potuto
trovare il tema
del mese, come
sia giunto a
tale scelta.
Anche perché gli
argomenti non
mancano, gli
spunti nemmeno e
il vasto mondo,
per dirla con
Asimov, non
smette mai,
quasi in
quotidiana gara,
di dare la più
bieca
dimostrazione di
sé stesso.
Eppure, ci
ritroviamo a
'parlare' di
sangue,
addirittura
legato al
'mito', per
giunta
esplicitamente
riferito, tra
l'altro, alla
prossima
investitura di
Carlo III
all'interno di
un ragionamento
tra regalità e
nobiltà.
Ebbene, con
spirito ludico,
parafrasando
l'atteggiamento
di un nostro
passato Capo
dello Stato di
fronte agli
attacchi
intimidatori
mafiosi e alla
deflagrazione di
voci
diffamatorie, ma
senza alcuna
gravosità nella
mia mente tale
da richiedere
l'esternazione
di una stessa
irriducibile
posizione,
lasciatemi
comunque dire:
io non ci sto e
da vecchia
signora
irriverente e
stizzosa voglio
provare a
svagarmi nel
dissacrare il
'sangue', per me
considerato ben
al di sopra del
suo 'valore',
ovviamente
metaforico. E,
nel farlo,
perché non dare
il via alle
danze muovendo
proprio dalle
virelai e dalle
carole le cui
virate,
contorsioni e
girotondi hanno
accompagnato la
gioventù, la
maturità e
l'anzianità di
Carlo III,
sovrano del
Regno Unito,
prossimamente
incoronato tale?
Non intendo,
ovviamente,
mancare di
rispetto a
quella figura
regale né
all'uomo che la
incarna ma come
trovare un
fondamento
nell'adagio
popolare 'buon
sangue non
mente' se lo
andiamo a
rapportare alla
situazione
familiare di
casa Windsor?
Non dobbiamo, ma
se volessimo
davvero
paragonare
l'atteggiamento,
fermo, composto,
consapevole di
Elisabetta II
nel corso del
suo regno con le
vicende alle
quali figlio e
nipoti hanno
dato luogo,
resteremmo
interdetti dai
disinvolti
comportamenti.
Tutti 'umani',
si potrebbe
sottolineare:
certo ma in che
cosa essi
possono
definirsi
'nobili' o,
meglio, 'regali'
al punto da
indurre il
'sangue' a
virare il suo
colore da
'rosso' a 'blu'?
La verità,
banale se si
vuole, è che
'una volta' un
condottiero di
schiere di
guerrieri,
affamato di
terre e di
gloria, seppe
conquistare
vasti
possedimenti con
la forza delle
armi, al costo
di fiumi di
sangue versati
in razzie,
devastazioni,
massacri e
battaglie
campali, fino ad
ergersi come
titolato,
intanto dagli
uomini, a
guidare le
conquistate
comunità sia dei
sostenitori che
degli
avversatori,
resi
naturalmente
silenti con
l'arma della
paura. E, una
volta raggiunta
la ragguardevole
posizione, ecco
il clero, che
dalla notte dei
tempi è
componente
indissolubile
del binomio
potere
temporale/potere
spirituale,
farsi avanti e
asserire che in
tutto ciò siamo
alla presenza
del volere
divino, da
tradursi in una
corona, da un
bi-millennio
quasi a blasfema
sembianza di
quella di spine,
da porre sul
capo del rex,
del 'reg(g)itore'
delle sorti
gravose della
società, ad
investitura
nientemeno che
divina.
Ed è soprattutto
quest'ultima
investitura o,
meglio, la
sacralità
attribuitale a
giustificare il
diritto
dinastico.
Prendere un
pargolo,
sgusciato dalle
cosce della
consorte
ufficiale del
re, regina o
meno che sia,
rese viscide dal
sangue e dai
liquami della
placenta, e
considerarlo al
pari di suoi
coetanei che non
hanno analoga
genitorialità,
sarebbe troppo
'umano'; egli è
destinato,
legittimato dal
volere degli
uomini e da
quello di Dio, a
succedere al
padre, rex, in
virtù di quella
cosiddetta linea
di sangue che,
comunque, non fa
premio sul
genoma nel quale
si annidano i
tratti salienti
della persona.
Una linea di
sangue,
peraltro,
elastica quanto
i cabasisi, che
considera
sacrilegio
accostare
all'erede un
eventuale figlio
bastardo, nel
senso di
concepito more
uxorio. Lì, la
linea di sangue
cade addirittura
nel peccato dove
a scontarlo fino
alla decima
generazione non
è il peccatore,
investito a
monte dalla
grazia divina,
quanto il
nascituro,
figlio della
colpa non del re
bensì della
donna, lasciva
per antonomasia,
con la quale
egli è giaciuto.
Una linea di
sangue,
peraltro,
alquanto
flessibile
perché, in
presenza di
impedimenti che
possano
consentire il
passaggio
ereditario o in
assenza del
'naturale'
erede, permette
il 'delfinato'
che Dio, nella
sua infinita
comprensione
delle duttili
volontà degli
uomini, ammette
al diritto di
investitura
regale. Eh, sì!
Questo Dio, a
volte oltremodo
condiscendente
e, altre volte,
così
inflessibile e
duro. Mi viene
in mente la
vicenda di
Pipino il Breve,
maggiordomo di
palazzo del
merovingio re
Childerico. Un
cosiddetto
'maggiordomo' (maior
domus), che,
nella Gallia
merovingia e poi
in quella
carolingia, era
il funzionario
che
sovrintendeva al
palazzo reale,
all'epoca vero e
proprio cuore
amministrativo
del regno.
Ebbene, era
indubbio che il
maggior potere
stazionasse
nelle sue mani
di fronte
all'inettitudine
del re
Childerico, 'roi
fainéant', ma
Pipino voleva
che il trapasso
della dignità
regia non
avvenisse con un
atto di
violenza, tale
da segnarla come
usurpazione. Dal
che, per dar
veste di
legalità al
'colpo di
stato', ricorse
alla suprema
autorità
religiosa, il
Papa. Essa sola,
del resto,
poteva
sciogliere i
sudditi dal
giuramento di
fedeltà prestato
al sovrano e
legittimare il
trapasso, con
una sentenza che
solo il
rappresentante
del diritto
divino avrebbe
potuto assumere.
Così, nei primi
del 751, mandò a
Roma come legati
Fulrado, abate
di S. Dionigi, e
Bernardo vescovo
di Wurtzburg,
che consultarono
papa Zaccaria
circa il fatto
che re franchi
'portavano il
nome di re,
senza avere
l'autorità
regia'. Il
Pontefice
Zaccaria, da
persona accorta
e avendo a cuore
gli interessi
della Chiesa,
rispose che era
meglio 'che chi
ha l'autorità di
re, abbia anche
il titolo' e, 'ut
non
conturbaretur
ordo', dispose
con l'autorità
della sede
apostolica che
si eleggesse re
il maggiordomo
di palazzo.
Qui, dovremmo
aprire una
parentesi e
investire con
tutta la forza
della logica
l'atto appena
compiuto, per
quanto
necessario,
perché lì venne
infranta,
ovviamente per
volere divino,
la linea di
sangue dei re
taumaturgici,
invisi alla
Chiesa per la
loro asserita
discendenza
disposinica; una
discendenza che,
paradossalmente,
si dice risalga
al 'motivatore'
del
cristianesimo,
quel Joshua bar
Josepha, meglio
noto come Gesù,
figlio di
Giuseppe. Quel
cristianesimo
del quale
successivamente
Saul il Piccolo,
Paulus appunto,
pose le basi
dottrinarie
senza aver mai
conosciuto lo
stesso 'motivatore',
per dare vita
nel tempo a
quella Chiesa
che, per motivi
terreni, non
volle neppure
indagare su tale
discendenza,
spezzando
aprioristicamente
una linea di
sangue. Ma
questa è
un'altra storia,
direbbe Michael
Ende.
Per tornare ab
ovo, nel
novembre del
751, Pipino
convocò a
Soissons
un'assemblea e
con l'obbedienza
dei Grandi, con
l'assenso della
Santa Sede e con
la consacrazione
dei vescovi, fu
proclamato re.
All'elezione
seguì la
consacrazione a
Re di Francia,
che in nome del
Pontefice, fu
fatta dal
vescovo di
Magonza. Dopo
quest'atto,
Childerico e il
figlio Teoderico
furono fatti
monaci e, in
barba al sangue,
chiusi tra le
amorevoli
braccia del
clero, l'uno nel
convento di
Saint Bertin,
l'altro in
quello di
Waudrille.
Terminava così
la 'linea di
sangue'
Merovingia dei
franchi salii,
fondata dal
leggendario
Meroveo, il
Figlio del Mare,
unificatore
della Gallia, e
iniziava quella
dei Pipinidi,
progenitori
della successiva
dinastia
carolingia.
Quanta
lungimiranza
divina,
imperscrutabile
disegno, che si
compenetra nelle
necessità umane
e ne fa volere
trascendente.
Mutatis mutandis,
potremmo usare
di converso lo
stesso metro con
Napoleone
Bonaparte, ad
esempio, che
interrompe la
linea di sangue
capetingia che,
a sua volta
aveva interrotto
quella
carolingia, per
farsi imperatore
consacrato nella
cattedrale di
Notre Dame a
Parigi,
autoincoronatosi
seppur alla
presenza del
Papa Pio VII.
Una cerimonia
che, come re
d'Italia, bissò
presso il Duomo
di Milano, alla
presenza di alti
esponenti
clericali, che
gli assicuravano
il sostegno del
Loro Referente
nell'Alto dei
Cieli mentre
alti prelati di
analogo potere
sostenevano e
rassicuravano
parimenti
Wellington e
Francesco I.
In quei casi, le
legittimazioni
divine, abbinate
alle linee di
sangue circa il
potere, caddero
nella polvere:
quella
napoleonica
prima e,
successivamente,
quella
austriaca.
L'unico avallo
divino che
produsse effetto
positivo fu
quello diretto
verso Wellington
il quale,
comunque, non
era re, né
ambiva esserlo,
e peraltro il
suo Dio era un
gemello
eterozigote di
quello degli
altri. Chissà
quale effetto
abbia potuto
produrre un
fatto del genere
…! Ma non
divaghiamo. Per
tornare al
'sangue' non è
che Pipino e i
suoi discendenti
non ne abbiano
versato (quello
dei sudditi) a
profusione. E
non è che
Napoleone,
Francesco I e
Wellington
abbiano fatto
cosa diversa.
D'accordo, ma in
tutto questo
Carlo III che
c'azzecca col
sangue, direbbe
Di Pietro?
C'entra a dar
retta alle
intercettazioni
riportate da 'La
Repubblica'
trent'anni fa1
dove l'ambizione
amorosa
dell'allora
principe si
spingeva fino al
desiderio di
farsi Tampax
della sua
Camilla.
Già. C'è il
confronto tra
'regalità' e
'nobiltà' dove
comunque il
'sangue' sembra
giocare anche in
quest'ultimo
caso un ruolo
determinante.
L'accostamento,
però, a me
sembra
pleonastico
perché quel
condottiero di
schiere di
guerrieri,
affamato di
terre e di
gloria, una
volta
conquistati
vasti
possedimenti con
la forza delle
armi, al costo
di fiumi di
sangue versati
in razzie,
devastazioni,
massacri e
battaglie
campali,
titolato come re
dagli uomini e
consacrato dal
tocco divino, ha
ricompensato i
suoi bellicosi
sostenitori
donando loro
estesi
appezzamenti
che, nel
medioevo ad
esempio, a
seconda della
loro posizione
nella terra
conquistata,
divennero
'marche' se
nella zona di
confine,
'contee' se
nella zona
centrale o
'ducati' se
caratterizzati
da forte
identità etnica.
Nella fase
successiva, era
il denaro a
scorrere a
fiumi, prodotto,
bene che andava,
con balzelli,
gabelle, dazi e
commerci
esclusivi. E,
con il denaro,
l'affettazione e
la ricerca degli
agi, del lusso,
dell'ostentazione
più manifesta,
del distacco
sempre più
marcato dai
servi della
gleba e
successivamente
dai semplici
cittadini fino a
farne
codificazione di
diritti. Anche
in questo caso,
il sangue, nel
senso
dell'ereditarietà,
gioca un ruolo
specifico e
determinante. E'
l'aristocrazia
nel senso più
pregnante ed
incisivo, nata
alle origini del
mondo degli
uomini e
codificata
nell'antica
Grecia con la
definizione di
'governo degli
ἄριστοι, dei
migliori', per
eccellenza di
nascita (sangue)
e per privilegio
di ricchezza,
sostegno del
sovrano per
l’ἀρετή, che è
'virtù' del
consiglio ma
soprattutto per
'valore' in
guerra.
Non vorrei dire,
ma quanti nobili
ottusi e codardi
ha registrato la
storia? In ogni
caso, a
prescindere dal
sangue, quando i
privilegi,
peraltro
concessi ab
initio, vengono
limitati da
situazioni
contingenti,
eccoci agli
Stati Generali e
alle necessità
finanziarie per
la guerra
all'Inghilterra.
Eh! Questi
benedetti dané
che né clero, il
primo Stato, né
la nobiltà
(secondo Stato)
avevano
intenzione di
sborsare
lasciando alla
popolazione
urbana e rurale
(il terzo Stato)
il surplus di
carico.
Altrimenti che
privilegi
sarebbero?
Comunque, non mi
faccio cruccio
delle vicende di
allora quanto
del fatto che i
rappresentanti
di ognuno di
quei tre Stati
si collocarono
alla destra o
alla sinistra
del sovrano a
seconda
dell'accettazione
o meno
dell'estensione
del prelievo,
regalando così
ai posteri
quella nota
classificazione
politica che
oggi sarebbe
quanto di più
infondato e
umoristico ci
sia, se non
fosse tragica.
Poi, con i Lumi
della Ragione,
la ghigliottina
elevò
paradossalmente
la follia a
sistema di vita
e dimostrò la
caducità dei
privilegi
nobiliari e
regali. In
pratica, se ne
fottette e,
anzi, di sangue
ne versò a iosa,
sulle note della
Carmagnole. Lo
so, non è un bel
dire
'fottersene' ma
per adeguarmi
alla brutalità
della 'pulizia'
di casta non mi
viene altro
termine, più
gentile. E, da
quei momenti,
nonostante il
Termidoro, i
ruoli non
tornarono più
nei contorni e
negli effetti di
prima. Certo, il
'sangue' provò
ad avere un
ruolo
nell'evoluzione
sociale
successiva ma in
tutta l'Europa
degli
aristocratici si
era sparsa la
paura, prima
della
rivoluzione e,
successivamente,
del Grande
Corso. Una paura
che rimase anche
dopo il Concilio
di Vienna e
nonostante la
Santa Alleanza;
un timore che
indusse i
'nobili' a
disconoscere il
loro rango e,
spesso e
volentieri, a
schierarsi con i
rivoluzionari
contro il regale
potere
costituito. Una
specie di
ricerca di
salvezza uti
singuli che alla
nobiltà mal
gliene incolse.
E poi dicono il
sangue ….
Tancredi
Falconeri, il
giovane nipote
amato dal
Principe di
Salina, al quale
Tomasi di
Lampedusa fa
dire che 'Se
vogliamo che
tutto rimanga
com'è, bisogna
che tutto
cambi', non
poteva dire
castroneria più
grande
nell'occhieggiare
benevolmente
l'azione
garibaldina e
condividerne gli
effetti
successivi. E,
di questo,
ritengo che
l'autore del
Gattopardo,
nobile
anch'esso, ne
fosse ben
consapevole. La
fatua brama
delle cose
nuove, come
scrisse Leone
XIII nella sua
'Rerum novarum',
e il timore di
essere esclusi e
penalizzati dal
cambiamento,
atteggiamenti
tipici dei
giovani, non
furono neppure
minimamente
inquadrati dagli
anziani che,
almeno loro,
avrebbero dovuto
sapere della
tradizione.
Eppure, si
continua a
parlare di
sangue …
C'è da dire che
il turbine del
socialismo
sembrava
inarrestabile,
profetizzato non
tanto da Marx
quanto da Engels;
una ventata che
neppure la
dottrina
ecclesiale
riuscì a
contenere,
incentrata
com'era sulla
carità; un
impeto che si
prefiggeva di
abolire le
classi e di
eliminare lo
sfruttamento,
obiettivo ideale
di quelle vaste
moltitudini che
vivevano di
stenti ai
margini della
società. Un
socialismo delle
origini, sorto
dal '48 del
secolo XIX, che
accomunò non per
sangue bensì per
identità di
destino. E, nel
rafforzarla, non
giocò tanto il
sangue quanto le
doti genomiche:
il coraggio, la
ferrea
decisione,
l'irriducibile
determinazione.
Oddio, non è che
il sangue non fu
versato. Del
resto, facendo
un balzo a
ritroso di
un'ottantina di
anni, come ebbe
a dire Thomas
Jefferson, III
Presidente USA
'L'albero della
libertà deve
essere
innaffiato di
quando in quando
con il sangue
dei patrioti e
dei tiranni. È
un concime
naturale.'
Si potrebbe
precisare che
dipende dai
punti di vista
attribuire la
qualifica di
'patriota' e di
'tiranno' ma non
stiamo a
sottilizzare. In
ogni caso, qui
il sangue fu
versato davvero,
per contrastare
o per
sovvertire. E
non c'è che
dire: l'elevato
contributo
pagato dagli
'accomunati per
destino'
introdusse, via
via,
miglioramenti
sociali sempre
più avvertiti ed
efficaci, fino a
…. Or bene, sarà
il caso di
dirlo? Ma sì,
introduciamo
un'ulteriore
nota umoristica.
…. fino alla
svolta della
Bolognina di
Occhetto del '91
del secolo
scorso quando,
per necessità di
sopravvivenza,
quella lotta
nell'identità di
destino, che
aveva tenuto la
scena per
settant'anni,
venne sostituita
in cartellone da
songs of love
col grande
capitale,
vecchio acerrimo
nemico, per
'uccellare'
insieme non più
il rozzo popolo
di borgata,
'piallato' dalla
deindustrializzazione
e dall'avvento a
mani basse del
terziario,
quanto il ceto
medio dalle
ricche piume
variopinte.
D'accordo, ma
quel sodalizio
comunque
identitario come
è potuto
sopravvivere con
una fauna
aviaria in
continua
diminuzione?
Be', innanzi
tutto con l'antiberlusconismo
dove, però, il
dante causa è
divenuto
grottesco
emblema al punto
da non suscitare
più nemmeno
deridenti
commenti. Così,
con
un'operazione di
ingegneria
genetica, c'è da
pensare a fronte
degli studi
ultimi della
Monsanto, prima
del suo acquisto
da parte della
Bayer e della
sua chiusura,
nel ceppo
genomico
originario è
stato inserito
l'OGM, Elly
Schlein,
iscritta a quel
partito da due o
tre mesi. Mi si
dice che il
sangue dei
'vecchi' ribolla
…
C'è chi afferma
che nutrite
schiere di
'rossi per
caso', i 5S,
l'abbiano votata
nei gazebi delle
primarie,
sovvertendo così
ogni più logica,
diversa
previsione. Non
so quanto
fondamento abbia
una simile tesi
ma, premesso che
la politica è
come la fisica e
non ammette il
vuoto, quando la
tensione ideale,
il confronto
valoriale,
l'enunciazione
programmatica
dei congressi
viene sostituita
dalle firme dei
gazebi, aperte a
tutti, è questo
il rischio che
si corre. E, del
resto, confinare
il più 'forte'
partito della
ormai ex
sinistra in un
ruolo, peraltro
mal riposto, di
rinverdito
pseudo-radicalismo,
per giunta chic,
non è
un'operazione da
poco: consente
di avere libero
il vasto campo
dell'ormai
dilagante
disagio sociale.
Eh! Il sangue
dei 'vecchi', mi
si dice sempre,
continua a
ribollire. E che
diamine, o si
compiano azioni
apotropaiche
oppure a
quell'art. 1
forse è tempo di
far seguire
l'art. 2,
superando la
sindrome dello
scrittore e
scegliendo un
po' meglio gli
amanuensi. Ma,
scherzi a parte
(senza alcuna
allusione al
Biscione),
tornando al
'sangue', alla
regalità e alla
nobiltà,
possiamo
tranquillamente
affermare,
sempre col
dovuto rispetto,
che le restanti
figure regali,
oggi, vivono
nell'Isola di
Avalon da dove
escono
saltuariamente
per fare
legittimi
affari. E, del
resto, quando la
spada è in fondo
al lago e non
c'è più alcuna
Dama a
raccoglierla,
quando la
potestà regia va
costantemente
contemperata con
la sempre più
volubile volontà
popolare
sobbollita da
contingenti
improvvisatori
e, soprattutto,
quando gli
appannaggi si
riducono per
indisponibilità
di cassa, non
c'è che darsi da
fare per
sopravvivere e
perpetuare la
linea di sangue.
Che poi è quel
che conta per la
famiglia.
Già. Ma i
nobili? Be',
anch'essi sono
lontani dai
passati albori.
Del resto, il
possesso di un
titolo
nobiliare, oggi,
non incute
nemmeno
curiosità.
Sarebbe da
ridere, del
resto, non per
differenza di
casta quanto di
classe che non
dovrebbe essere
acqua,
presentarsi con
la 'caramella' e
col 'pastrano' e
confrontarsi con
chi espone il
bordo delle
mutande griffato
dal costo
proibitivo o una
T-shirt
stazzonata dal
prezzo assurdo.
Per cui, se
l'accortezza
degli 'anziani'
ha fatto sì che
il patrimonio
produca rendita,
sta al giovane,
sempre
attraverso una
vena
imprenditoriale,
mantenerla e
accrescerla.
Altrimenti,
siamo al Conte
Mascetti, caro
agli amici ma
capace
unicamente di
supercazzola per
due come fosse
antani, con
scappellamento a
destra.
Oh! Ma, per
uscire dal
binomio di cui
sopra, non amo
neppure le
locuzioni che
con la loro
presunta carica
di saggezza
popolare
confondono e
fanno incazzare.
Si prenda 'tra
loro non corre
buon sangue': e
che Maronn',
perché non dire
che si odiano?
E, poi, …, ma si
faccia il
piacere, … 'il
sangue contro
l'oro' come lo
vediamo? Se non
si fa molta
attenzione si
corre il rischio
di scegliere a
caro prezzo il
primo e poi
ritrovarsi il
miglio per polli
in mano mentre i
'predicatori',
smesso il saio
del momento, si
adornano dei più
ricchi monili.
E non funziona
neppure se per
'sangue'
intendiamo
un'eredità di
gruppo, la
perpetuazione di
un sodalizio.
Come abbiamo
visto, non
funziona, a
'sinistra' ma
neppure a
'destra'. E non
per critica
bensì per
semplice
costatazione.
Senza tener
conto, poi, che
la presunta
cementificazione
pseudo-sanguigna
del sodalizio fa
ritenere questo
untouchable fino
al punto da
affermare che
'l'emergenza non
si processa',
intesa in
riferimento alle
vicende
giudiziarie di
due esponenti
dell'ex governo.
Il che detto da
giustizialisti
tra i più accesi
fa quasi
prorompere in un
invito tra i più
liberatori.
Per cui, onde
trarre una prima
conclusione, non
mi par giusto
legare il
'sangue' al
'mito' se per
esso intendiamo
quanto è capace
di polarizzare
le aspirazioni
di una comunità
o di un'epoca,
elevandosi a
simbolo
privilegiato e
trascendente.
Nel senso che lo
è quando
conviene.
Altrimenti, se
ne può fare
tranquillamente
a meno se non,
addirittura,
ignorarlo
bellamente per
fare del
'sangue' persino
un fattore di
separazione e di
avversione. E,
qui, dato
l'argomento, mi
faccio seria.
Fortunatamente,
sono lontani i
tempi nei quali
Julius Evola
scriveva 'Il
mito del sangue'2
intendendolo, in
quel caso, nel
solo riferimento
alla razza. Era
il 1937. E il
fatto di partire
dall'idealismo
di Fichte e dal
suo 'popolo
originario';
passare per la
dottrina di De
Gobineau circa
la decadenza
della civiltà
inframezzata da
Ari, Neri e
Gialli; toccare
la dottrina
selezionistica
del De Lapouge e
la teoria di
Woltmann circa
l'antropologia
politica;
considerare la
dottrina di
Chamberlain
circa la razza
superiore come
compito, nel
complesso
slavo-celtico-germanico;
valutare Mendel
circa la teoria
dell'ambiente e
quella
dell'eredità;
lambire la 'psicoantropologia'
di Clauss circa
il 'cacciatore'
e
l''agricoltore'
primordiale; e,
infine,
approdare al
'mito artico'
con la 'civiltà
della renna', la
ricerca
sanguinoserologica
e il monoteismo
solare
primordiale, non
lo ha esentato
dal concludere
con l'esame
della concezione
razzista della
storia di
Rosenberg e con
il razzismo
nazista.
Un'opera,
quella, che
comunque non
giustifica ma,
più
semplicemente,
'studia'
l'evoluzione di
una aberrante
concezione delle
razze circa la
'superiorità' di
alcune e la
'sudditanza' di
altre.
Sicuramente, non
è stato il solo
a compiere studi
del genere e, in
ogni caso, altri
soggetti, oltre
a quelli citati
nell'opera,
hanno espresso
teorie al
riguardo, giunte
sino ad
influenzare
l'azione di
Stati,
considerati
civili e
democratici.
Perché,
diciamolo, ferma
restando la più
ferma condanna
del governo
tedesco
dell'epoca,
della sua
legislazione e
del suo
riprovevole
impianto di
diritto, non è
stato purtroppo
quello il solo a
manifestare
feroce
intolleranza nei
confronti dei
'diversi' dalla
razza dominante.
Certo, anche
l'Italia ha i
suoi scheletri
nell'armadio ma
le odiose leggi
razziali (senza
giustificazione
alcuna) nascono
e cessano in un
settennio mentre
la Storia è
ricca di esempi
più duraturi,
soprattutto nei
confronti degli
ebrei. Tanto per
avvicinarci,
troviamo una
tale avversione,
all'inizio
dell'età
moderna, nel
Gerush spagnolo3.
Prima di allora,
oltre alla
segregazione,
all'obbligo di
portare segni
distintivi e a
tutta una serie
di limitazioni
nel movimento e
nelle attività
economiche
permesse,
c'erano stati
sporadici
attacchi di
violenza 'dal
basso',
sostenuti
solitamente,
quando non
apertamente
incoraggiati, da
istituzioni
laiche e
religiose.
Ma dobbiamo
arrivare
all'Ottocento
per trovare
l'antisemitismo
assumere
addirittura
connotazione e
condizione di
rango e di
scienza:
l'affaire
Dreyfus in
Francia dividerà
l'opinione
pubblica fino al
1906. In
Inghilterra,
oltre a
Chamberlain,
citato da Evola,
Francis Galton4,
nipote di
Erasmus Darwin e
cugino di
Charles Darwin,
manifestò un
profondo
interesse per il
miglioramento
della razza e
per la selezione
di un'élite, al
punto da fondare
una nuova
disciplina da
lui denominata
'eugenetica'. La
sua teoria,
detta anche
darwinismo
sociale,
sosteneva che la
selezione doveva
applicarsi anche
all'uomo, in
quanto
appartenente al
regno animale,
al fine di
garantire la
migliore qualità
degli individui
e il migliore
futuro della
specie umana5.
A portare avanti
il pensiero di
Galton fu Karl
Pearson che
arrivò a
teorizzare che
era un dovere
nazional-patriottico
dei popoli
espellere le
razze inferiori6.
Pearson fu un
matematico e
statistico che
con i suoi
lavori influenzò
notevolmente la
teoria
statistica,
incentivato
dalla lettura di
scritti di
Francis Galton,
Natural
Inheritance.
Egli, in
seguito,
divenne, si
pensi, il primo
titolare della
cattedra di
eugenetica
creata dallo
stesso Galton.
Neppure gli
Stati Uniti
saranno
esonerati
dall'impulso
razzista: là, le
teorie
razzistiche
europee si
svilupperanno
con Madison
Grant7,
'Passaggio della
grande razza', e
con C.B.
Stoddart,
'L'eredità
razziale
dell'America' e
'La Casa della
Bibbia',
divenendo parte
integrante della
discriminazione
razziale sul
nuovo
continente.
Persino il
colonialismo del
XIX e XX secolo,
il mantenimento
della schiavitù
e la
discriminazione
di gruppi
sociali in
condizioni di
inferiorità,
come per esempio
nel caso
dell'apartheid,
cercarono teorie
pseudoscientifiche.
E, infatti,
'razzismo
scientifico' fu
il termine
utilizzato per
indicare una
particolare
forma storica di
razzismo
organizzato,
fondata a
partire dal XIX
secolo in Europa
e nelle Americhe,
che nacque in
ambito
universitario
tra le scienze
naturali e
sociali
dell'epoca,
prendendo inizio
dalla biologia,
dalla
antropologia,
dalla genetica,
dalla medicina,
dalla
criminologia e
dalla
sociologia,
rifacendosi in
maniera spesso
distorta alla
teoria
evoluzionista di
Charles Darwin e
al positivismo8.
Premessa di
questa teoria
pseudoscientifica
fu quella di
ritenere che gli
esseri umani
fossero
costituiti da
razze diverse,
ognuna a un
grado diverso di
evoluzione
rispetto alle
altre, e che i
metodi di
classificazione
della zoologia,
ohibò!, potevano
essere
utilizzati per
indagare le
caratteristiche
delle stesse. In
questa
classificazione
si ammisero
graduatorie che
presupponevano
alcune 'razze'
come superiori
per livello
evolutivo e
intellettivo
rispetto alle
altre. In
particolare,
tale teoria
credette di
documentare che
la cosiddetta
'razza bianca'
fosse il livello
massimo
raggiunto
dall'evoluzione
naturale della
specie umana,
arrivando a
sostenere, sulla
base
dell'eugenetica
di Galton,
l'esistenza di
'razze
superiori' e a
promuovere una
campagna
politica contro
i matrimoni e i
rapporti
interraziali9.
Negli Usa, a
metà del XIX
secolo, nel
dibattito
infuocato
relativo alla
schiavitù, uno
degli argomenti
azzardati dai
suoi sostenitori
fu che 'negri'
(e indiani) non
fossero
'davvero' esseri
umani ma
andassero
catalogati in
una categoria
diversa, alla
quale non si
potevano
applicare le
argomentazioni
umanitarie
proposte dagli
abolizionisti.
Non aveva senso
essere
'umanitari' con
neri e indiani
non essendo
questi 'uomini'.
L'atteggiamento
di
discriminazione
razziale su base
pseudo-scientifica
fu, peraltro,
rafforzato dalle
guerre indiane
per giustificare
il genocidio,
protratto per
decenni, con un
costo in vite
'indiane'
indicato tra i
20 milioni e i
100 milioni.
Subito dopo
l'indipendenza,
le leggi
statunitensi del
1790 sulla
naturalizzazione
garantivano la
cittadinanza
solo alle
'persone bianche
libere', il che
significava
generalmente che
veniva concessa
solo a coloro
che erano di
origine
anglosassone.
Quando la
popolazione
americana
divenne
culturalmente
meno omogenea,
verso gli anni
'40 del XIX
secolo, con
l'aumento
dell'immigrazione
dall'Europa
meridionale e
orientale, negli
USA si rese
necessario
chiarire chi
fossero i
'bianchi'.
Nacque così una
suddivisione di
quelli che oggi
sono chiamati
'caucasici' in
una gerarchia di
diverse razze,
stabilite
'scientificamente',
e al cui vertice
erano gli
anglosassoni e i
popoli nordici10.
Nella maggior
parte degli
stati
segregazionisti,
le persone che
immigravano da
Portogallo,
Spagna, da una
piccola parte
della Francia
meridionale (e
dalla Liguria),
dall'Italia
meridionale,
dalla Grecia,
dal Nordafrica e
dal Medio
Oriente, furono
classificati
diversamente dai
'bianchi'.
L'appartenenza
alla razza
'bianca' dei
non-nordici
(slavi, dinarici
ecc.) era spesso
messa in
discussione. Ma
erano
soprattutto gli
europei del sud,
appartenenti
alla presunta
razza
mediterranea, a
sottostare alle
condizioni
peggiori e, in
molti stati,
essi erano
legalmente
equiparati ai
neri e, in
conseguenza,
privati, con
diverse
accentuazioni da
stato a stato,
dello status e
dei diritti
riservati ai
soli bianchi11.
Peraltro, negli
Usa, durante gli
anni 1920, la
massiccia
diffusione delle
teorie
dell'eugenista
Madison Grant
avrà durature
conseguenze
storiche e
comporterà la
chiusura delle
frontiere tra il
1921 e il 1924
e, a partire da
quest'ultimo
anno, la
restrizione
dell'immigrazione
dai paesi
dell'est e del
sud Europa,
nonché il fermo
ostacolo a
quella ebraica12.
Quella decisione
avrà conseguenze
catastrofiche
durante la
Shoah, nel corso
della quale gli
USA
respingeranno
caparbiamente i
profughi ebrei,
accogliendone,
per tutta la
durata
dell'Olocausto,
meno della sola
città cinese di
Shanghai
(30.000)13.
A rendere ciò
politicamente
possibile sarà
il senatore del
Massachusetts
Henry Cabot
Lodge, uno tra i
più fanatici
sostenitori
dell'Immigration
Restriction
League, il quale
per superare le
obiezioni dei
colleghi di
'manica larga',
propose e
ottenne di
vietare
l'ingresso agli
analfabeti e di
agganciare le
quote di
ingresso ai dati
certi, risalenti
al 1890. Per
contro sarà
grandemente
aumentata la
quota consentita
dai paesi
nordici14.
Dopo la crisi
economica del
1929, con i
disordini che ne
seguiranno e con
il diffondersi
del 'pericolo
comunista', la
strategia
politica
cambierà e negli
ex stati
confederati del
sud si
adotteranno
teorie meno
rigide, ispirate
in gran parte da
quelle europee.
Così negli anni
'30, quando in
quegli Stati
diverrà
impossibile
continuare a
mantenere un
così alto numero
d'immigrati
europei fuori
dall'élite dei
bianchi, con il
rischio,
peraltro, di
pericolose
coalizioni coi
neri, i
segregazionisti
estenderanno i
diritti a tutti
i 'caucasici',
gruppo razziale
includente anche
i mediterranei,
suddiviso,
tuttavia, in
'White Caucasian'
(caucasica
bianca:
anglosassoni,
scandinavi e
germanici) e 'Caucasian'
(caucasica).
Tutte le altre
presunte razze
non caucasiche
rimarranno
escluse dai
diritti civili
per altri venti
anni.
Sarà negli anni
1960, a seguito
delle numerose
battaglie
condotte dai
moltissimi
movimenti per i
diritti civili,
all'insurrezionalismo
di Malcolm X e
alla famosa
marcia pacifica
di Martin Luther
King, che le
leggi sulla
segregazione
razziale dei
neri negli stati
del sud saranno
abolite dal
governo
federale, a
quasi cento anni
dalla loro
entrata in
vigore. Ciò
avverrà nel 1964
con
l'approvazione
del Civil Rights
Act e nel 1965
con il Voting
Rights Act.
Il razzismo
'scientifico',
inoltre, sarà
rifiutato
politicamente e
scientificamente
solo dopo la
fine della
seconda guerra
mondiale quando,
con la
pubblicazione
della
'Dichiarazione
sulla razza' nel
1950, l'UNESCO
decreterà in
modo ufficiale
la non esistenza
delle razze
umane e
incoraggerà i
numerosi biologi
a ricordare
costantemente
l'assenza di
validità
scientifica
della nozione di
'razze umane15
. Un aspetto
sconcertante del
problema e delle
implicazioni, a
volte
imprevedibili,
sarà la
segregazione
delle sacche di
sangue destinate
alle
trasfusioni, in
base alla razza
del donatore; un
criterio
adottato anche
dalla Croce
Rossa
statunitense,
fino alla
seconda parte
del secolo XX16.
Va be'. La
chiudo qui. Mi
sono 'divertita'
abbastanza a
parlare di
'sangue'. Mi
ricordo, però,
che tra le mie
esperienze
'sanguinolente'
manca la
degustazione del
'sanguinaccio',
con pezzi di
cioccolata,
uvetta e pinoli.
Sì, prima o poi
dovrò compierla:
in alcune parti
è tradizione.
Dicono che si
sia persa ma,
no,
fortunatamente,
si mangia.
Note:
1. La Repubblica
– Paolo Filo
della Torre - I
telefoni a luci
rosse di palazzo
reale –
14.1.1993
2. Julius Evola
– Il mito del
sangue – Oscar
Valentini – Ed.
Hoepli 1937 - XV
3. Gerush/Espulsione
nel 1492 di ca.
200.000 ebrei
dalla Spagna
4. Sir Francis
Galton (Sparkbrook
- Birmingham, 16
febbraio 1822 –
Haslemere, 17
gennaio 1911) è
stato un
esploratore,
antropologo e
climatologo
britannico e
patrocinatore
dell'eugenetica,
termine da lui
creato.
5. Tratto
https://www.studiarapido.it/darwinismo-sociale-lotta-per-lesistenza/#.XJj8CzHsbOs
6. Tratto da
http://www.storiologia.it/indice11aa.htm
7. Madison Grant
(19 novembre
1865 - 30 maggio
1937) è stato un
giurista,
storico e
antropologo
fisico, noto
principalmente
per il suo
lavoro come un
eugenista e
conservatore.
Come eugenista,
Grant è stato
responsabile di
una delle opere
più famose del
razzismo
scientifico, e
ha giocato un
ruolo attivo
nella
lavorazione
forte
restrizione
dell'immigrazione
e le leggi
anti-meticciato
negli Stati
Uniti.
8. Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Razzismo
9. Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Razzismo_scientifico
10. ibidem
11.
Vedi:http://www.santamariadellaneve.org/oldsite/doc%20vari/diritti%20dell%27uomo/razzismo.htm
12. Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Razzismo_negli_Stati_Uniti_d%27America
nonché
http://www.santamariadellaneve.org/oldsite/doc%20vari/diritti%20dell%27uomo/razzismo.htm
13. Tratto da
http://it.pschitt.info/page/Xenofobia
14. Tratto da
https://medium.com/@michaeldelong/the-jeff-sessions-of-his-day-senator-henry-cabot-lodge-and-immigration-restriction-8b3910c7d036
15. Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_sulla_razza_(UNESCO_1950)
16. Tratto da
http://it.pschitt.info/page/Xenofobia |
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