SCENARI  
    di Roberta Forte    
       
    IL MITO DEL SANGUE    
   
L'amico direttore non me ne voglia ma sono in vena di giocare. Per cui, con tutto l'affetto e il massimo del rispetto, mi chiedo senza alcuna retorica né, tantomeno, sarcasmo dove abbia potuto trovare il tema del mese, come sia giunto a tale scelta. Anche perché gli argomenti non mancano, gli spunti nemmeno e il vasto mondo, per dirla con Asimov, non smette mai, quasi in quotidiana gara, di dare la più bieca dimostrazione di sé stesso. Eppure, ci ritroviamo a 'parlare' di sangue, addirittura legato al 'mito', per giunta esplicitamente riferito, tra l'altro, alla prossima investitura di Carlo III all'interno di un ragionamento tra regalità e nobiltà.
Ebbene, con spirito ludico, parafrasando l'atteggiamento di un nostro passato Capo dello Stato di fronte agli attacchi intimidatori mafiosi e alla deflagrazione di voci diffamatorie, ma senza alcuna gravosità nella mia mente tale da richiedere l'esternazione di una stessa irriducibile posizione, lasciatemi comunque dire: io non ci sto e da vecchia signora irriverente e stizzosa voglio provare a svagarmi nel dissacrare il 'sangue', per me considerato ben al di sopra del suo 'valore', ovviamente metaforico. E, nel farlo, perché non dare il via alle danze muovendo proprio dalle virelai e dalle carole le cui virate, contorsioni e girotondi hanno accompagnato la gioventù, la maturità e l'anzianità di Carlo III, sovrano del Regno Unito, prossimamente incoronato tale?
Non intendo, ovviamente, mancare di rispetto a quella figura regale né all'uomo che la incarna ma come trovare un fondamento nell'adagio popolare 'buon sangue non mente' se lo andiamo a rapportare alla situazione familiare di casa Windsor? Non dobbiamo, ma se volessimo davvero paragonare l'atteggiamento, fermo, composto, consapevole di Elisabetta II nel corso del suo regno con le vicende alle quali figlio e nipoti hanno dato luogo, resteremmo interdetti dai disinvolti comportamenti. Tutti 'umani', si potrebbe sottolineare: certo ma in che cosa essi possono definirsi 'nobili' o, meglio, 'regali' al punto da indurre il 'sangue' a virare il suo colore da 'rosso' a 'blu'?
La verità, banale se si vuole, è che 'una volta' un condottiero di schiere di guerrieri, affamato di terre e di gloria, seppe conquistare vasti possedimenti con la forza delle armi, al costo di fiumi di sangue versati in razzie, devastazioni, massacri e battaglie campali, fino ad ergersi come titolato, intanto dagli uomini, a guidare le conquistate comunità sia dei sostenitori che degli avversatori, resi naturalmente silenti con l'arma della paura. E, una volta raggiunta la ragguardevole posizione, ecco il clero, che dalla notte dei tempi è componente indissolubile del binomio potere temporale/potere spirituale, farsi avanti e asserire che in tutto ciò siamo alla presenza del volere divino, da tradursi in una corona, da un bi-millennio quasi a blasfema sembianza di quella di spine, da porre sul capo del rex, del 'reg(g)itore' delle sorti gravose della società, ad investitura nientemeno che divina.
Ed è soprattutto quest'ultima investitura o, meglio, la sacralità attribuitale a giustificare il diritto dinastico. Prendere un pargolo, sgusciato dalle cosce della consorte ufficiale del re, regina o meno che sia, rese viscide dal sangue e dai liquami della placenta, e considerarlo al pari di suoi coetanei che non hanno analoga genitorialità, sarebbe troppo 'umano'; egli è destinato, legittimato dal volere degli uomini e da quello di Dio, a succedere al padre, rex, in virtù di quella cosiddetta linea di sangue che, comunque, non fa premio sul genoma nel quale si annidano i tratti salienti della persona. Una linea di sangue, peraltro, elastica quanto i cabasisi, che considera sacrilegio accostare all'erede un eventuale figlio bastardo, nel senso di concepito more uxorio. Lì, la linea di sangue cade addirittura nel peccato dove a scontarlo fino alla decima generazione non è il peccatore, investito a monte dalla grazia divina, quanto il nascituro, figlio della colpa non del re bensì della donna, lasciva per antonomasia, con la quale egli è giaciuto.
Una linea di sangue, peraltro, alquanto flessibile perché, in presenza di impedimenti che possano consentire il passaggio ereditario o in assenza del 'naturale' erede, permette il 'delfinato' che Dio, nella sua infinita comprensione delle duttili volontà degli uomini, ammette al diritto di investitura regale. Eh, sì! Questo Dio, a volte oltremodo condiscendente e, altre volte, così inflessibile e duro. Mi viene in mente la vicenda di Pipino il Breve, maggiordomo di palazzo del merovingio re Childerico. Un cosiddetto 'maggiordomo' (maior domus), che, nella Gallia merovingia e poi in quella carolingia, era il funzionario che sovrintendeva al palazzo reale, all'epoca vero e proprio cuore amministrativo del regno.
Ebbene, era indubbio che il maggior potere stazionasse nelle sue mani di fronte all'inettitudine del re Childerico, 'roi fainéant', ma Pipino voleva che il trapasso della dignità regia non avvenisse con un atto di violenza, tale da segnarla come usurpazione. Dal che, per dar veste di legalità al 'colpo di stato', ricorse alla suprema autorità religiosa, il Papa. Essa sola, del resto, poteva sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà prestato al sovrano e legittimare il trapasso, con una sentenza che solo il rappresentante del diritto divino avrebbe potuto assumere. Così, nei primi del 751, mandò a Roma come legati Fulrado, abate di S. Dionigi, e Bernardo vescovo di Wurtzburg, che consultarono papa Zaccaria circa il fatto che re franchi 'portavano il nome di re, senza avere l'autorità regia'. Il Pontefice Zaccaria, da persona accorta e avendo a cuore gli interessi della Chiesa, rispose che era meglio 'che chi ha l'autorità di re, abbia anche il titolo' e, 'ut non conturbaretur ordo', dispose con l'autorità della sede apostolica che si eleggesse re il maggiordomo di palazzo.
Qui, dovremmo aprire una parentesi e investire con tutta la forza della logica l'atto appena compiuto, per quanto necessario, perché lì venne infranta, ovviamente per volere divino, la linea di sangue dei re taumaturgici, invisi alla Chiesa per la loro asserita discendenza disposinica; una discendenza che, paradossalmente, si dice risalga al 'motivatore' del cristianesimo, quel Joshua bar Josepha, meglio noto come Gesù, figlio di Giuseppe. Quel cristianesimo del quale successivamente Saul il Piccolo, Paulus appunto, pose le basi dottrinarie senza aver mai conosciuto lo stesso 'motivatore', per dare vita nel tempo a quella Chiesa che, per motivi terreni, non volle neppure indagare su tale discendenza, spezzando aprioristicamente una linea di sangue. Ma questa è un'altra storia, direbbe Michael Ende.
Per tornare ab ovo, nel novembre del 751, Pipino convocò a Soissons un'assemblea e con l'obbedienza dei Grandi, con l'assenso della Santa Sede e con la consacrazione dei vescovi, fu proclamato re. All'elezione seguì la consacrazione a Re di Francia, che in nome del Pontefice, fu fatta dal vescovo di Magonza. Dopo quest'atto, Childerico e il figlio Teoderico furono fatti monaci e, in barba al sangue, chiusi tra le amorevoli braccia del clero, l'uno nel convento di Saint Bertin, l'altro in quello di Waudrille. Terminava così la 'linea di sangue' Merovingia dei franchi salii, fondata dal leggendario Meroveo, il Figlio del Mare, unificatore della Gallia, e iniziava quella dei Pipinidi, progenitori della successiva dinastia carolingia.
Quanta lungimiranza divina, imperscrutabile disegno, che si compenetra nelle necessità umane e ne fa volere trascendente. Mutatis mutandis, potremmo usare di converso lo stesso metro con Napoleone Bonaparte, ad esempio, che interrompe la linea di sangue capetingia che, a sua volta aveva interrotto quella carolingia, per farsi imperatore consacrato nella cattedrale di Notre Dame a Parigi, autoincoronatosi seppur alla presenza del Papa Pio VII. Una cerimonia che, come re d'Italia, bissò presso il Duomo di Milano, alla presenza di alti esponenti clericali, che gli assicuravano il sostegno del Loro Referente nell'Alto dei Cieli mentre alti prelati di analogo potere sostenevano e rassicuravano parimenti Wellington e Francesco I.
In quei casi, le legittimazioni divine, abbinate alle linee di sangue circa il potere, caddero nella polvere: quella napoleonica prima e, successivamente, quella austriaca. L'unico avallo divino che produsse effetto positivo fu quello diretto verso Wellington il quale, comunque, non era re, né ambiva esserlo, e peraltro il suo Dio era un gemello eterozigote di quello degli altri. Chissà quale effetto abbia potuto produrre un fatto del genere …! Ma non divaghiamo. Per tornare al 'sangue' non è che Pipino e i suoi discendenti non ne abbiano versato (quello dei sudditi) a profusione. E non è che Napoleone, Francesco I e Wellington abbiano fatto cosa diversa. D'accordo, ma in tutto questo Carlo III che c'azzecca col sangue, direbbe Di Pietro? C'entra a dar retta alle intercettazioni riportate da 'La Repubblica' trent'anni fa1 dove l'ambizione amorosa dell'allora principe si spingeva fino al desiderio di farsi Tampax della sua Camilla.
Già. C'è il confronto tra 'regalità' e 'nobiltà' dove comunque il 'sangue' sembra giocare anche in quest'ultimo caso un ruolo determinante. L'accostamento, però, a me sembra pleonastico perché quel condottiero di schiere di guerrieri, affamato di terre e di gloria, una volta conquistati vasti possedimenti con la forza delle armi, al costo di fiumi di sangue versati in razzie, devastazioni, massacri e battaglie campali, titolato come re dagli uomini e consacrato dal tocco divino, ha ricompensato i suoi bellicosi sostenitori donando loro estesi appezzamenti che, nel medioevo ad esempio, a seconda della loro posizione nella terra conquistata, divennero 'marche' se nella zona di confine, 'contee' se nella zona centrale o 'ducati' se caratterizzati da forte identità etnica.
Nella fase successiva, era il denaro a scorrere a fiumi, prodotto, bene che andava, con balzelli, gabelle, dazi e commerci esclusivi. E, con il denaro, l'affettazione e la ricerca degli agi, del lusso, dell'ostentazione più manifesta, del distacco sempre più marcato dai servi della gleba e successivamente dai semplici cittadini fino a farne codificazione di diritti. Anche in questo caso, il sangue, nel senso dell'ereditarietà, gioca un ruolo specifico e determinante. E' l'aristocrazia nel senso più pregnante ed incisivo, nata alle origini del mondo degli uomini e codificata nell'antica Grecia con la definizione di 'governo degli ἄριστοι, dei migliori', per eccellenza di nascita (sangue) e per privilegio di ricchezza, sostegno del sovrano per l’ἀρετή, che è 'virtù' del consiglio ma soprattutto per 'valore' in guerra.
Non vorrei dire, ma quanti nobili ottusi e codardi ha registrato la storia? In ogni caso, a prescindere dal sangue, quando i privilegi, peraltro concessi ab initio, vengono limitati da situazioni contingenti, eccoci agli Stati Generali e alle necessità finanziarie per la guerra all'Inghilterra. Eh! Questi benedetti dané che né clero, il primo Stato, né la nobiltà (secondo Stato) avevano intenzione di sborsare lasciando alla popolazione urbana e rurale (il terzo Stato) il surplus di carico. Altrimenti che privilegi sarebbero? Comunque, non mi faccio cruccio delle vicende di allora quanto del fatto che i rappresentanti di ognuno di quei tre Stati si collocarono alla destra o alla sinistra del sovrano a seconda dell'accettazione o meno dell'estensione del prelievo, regalando così ai posteri quella nota classificazione politica che oggi sarebbe quanto di più infondato e umoristico ci sia, se non fosse tragica.
Poi, con i Lumi della Ragione, la ghigliottina elevò paradossalmente la follia a sistema di vita e dimostrò la caducità dei privilegi nobiliari e regali. In pratica, se ne fottette e, anzi, di sangue ne versò a iosa, sulle note della Carmagnole. Lo so, non è un bel dire 'fottersene' ma per adeguarmi alla brutalità della 'pulizia' di casta non mi viene altro termine, più gentile. E, da quei momenti, nonostante il Termidoro, i ruoli non tornarono più nei contorni e negli effetti di prima. Certo, il 'sangue' provò ad avere un ruolo nell'evoluzione sociale successiva ma in tutta l'Europa degli aristocratici si era sparsa la paura, prima della rivoluzione e, successivamente, del Grande Corso. Una paura che rimase anche dopo il Concilio di Vienna e nonostante la Santa Alleanza; un timore che indusse i 'nobili' a disconoscere il loro rango e, spesso e volentieri, a schierarsi con i rivoluzionari contro il regale potere costituito. Una specie di ricerca di salvezza uti singuli che alla nobiltà mal gliene incolse. E poi dicono il sangue ….
Tancredi Falconeri, il giovane nipote amato dal Principe di Salina, al quale Tomasi di Lampedusa fa dire che 'Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi', non poteva dire castroneria più grande nell'occhieggiare benevolmente l'azione garibaldina e condividerne gli effetti successivi. E, di questo, ritengo che l'autore del Gattopardo, nobile anch'esso, ne fosse ben consapevole. La fatua brama delle cose nuove, come scrisse Leone XIII nella sua 'Rerum novarum', e il timore di essere esclusi e penalizzati dal cambiamento, atteggiamenti tipici dei giovani, non furono neppure minimamente inquadrati dagli anziani che, almeno loro, avrebbero dovuto sapere della tradizione. Eppure, si continua a parlare di sangue …
C'è da dire che il turbine del socialismo sembrava inarrestabile, profetizzato non tanto da Marx quanto da Engels; una ventata che neppure la dottrina ecclesiale riuscì a contenere, incentrata com'era sulla carità; un impeto che si prefiggeva di abolire le classi e di eliminare lo sfruttamento, obiettivo ideale di quelle vaste moltitudini che vivevano di stenti ai margini della società. Un socialismo delle origini, sorto dal '48 del secolo XIX, che accomunò non per sangue bensì per identità di destino. E, nel rafforzarla, non giocò tanto il sangue quanto le doti genomiche: il coraggio, la ferrea decisione, l'irriducibile determinazione. Oddio, non è che il sangue non fu versato. Del resto, facendo un balzo a ritroso di un'ottantina di anni, come ebbe a dire Thomas Jefferson, III Presidente USA 'L'albero della libertà deve essere innaffiato di quando in quando con il sangue dei patrioti e dei tiranni. È un concime naturale.'
Si potrebbe precisare che dipende dai punti di vista attribuire la qualifica di 'patriota' e di 'tiranno' ma non stiamo a sottilizzare. In ogni caso, qui il sangue fu versato davvero, per contrastare o per sovvertire. E non c'è che dire: l'elevato contributo pagato dagli 'accomunati per destino' introdusse, via via, miglioramenti sociali sempre più avvertiti ed efficaci, fino a …. Or bene, sarà il caso di dirlo? Ma sì, introduciamo un'ulteriore nota umoristica. …. fino alla svolta della Bolognina di Occhetto del '91 del secolo scorso quando, per necessità di sopravvivenza, quella lotta nell'identità di destino, che aveva tenuto la scena per settant'anni, venne sostituita in cartellone da songs of love col grande capitale, vecchio acerrimo nemico, per 'uccellare' insieme non più il rozzo popolo di borgata, 'piallato' dalla deindustrializzazione e dall'avvento a mani basse del terziario, quanto il ceto medio dalle ricche piume variopinte.
D'accordo, ma quel sodalizio comunque identitario come è potuto sopravvivere con una fauna aviaria in continua diminuzione? Be', innanzi tutto con l'antiberlusconismo dove, però, il dante causa è divenuto grottesco emblema al punto da non suscitare più nemmeno deridenti commenti. Così, con un'operazione di ingegneria genetica, c'è da pensare a fronte degli studi ultimi della Monsanto, prima del suo acquisto da parte della Bayer e della sua chiusura, nel ceppo genomico originario è stato inserito l'OGM, Elly Schlein, iscritta a quel partito da due o tre mesi. Mi si dice che il sangue dei 'vecchi' ribolla …
C'è chi afferma che nutrite schiere di 'rossi per caso', i 5S, l'abbiano votata nei gazebi delle primarie, sovvertendo così ogni più logica, diversa previsione. Non so quanto fondamento abbia una simile tesi ma, premesso che la politica è come la fisica e non ammette il vuoto, quando la tensione ideale, il confronto valoriale, l'enunciazione programmatica dei congressi viene sostituita dalle firme dei gazebi, aperte a tutti, è questo il rischio che si corre. E, del resto, confinare il più 'forte' partito della ormai ex sinistra in un ruolo, peraltro mal riposto, di rinverdito pseudo-radicalismo, per giunta chic, non è un'operazione da poco: consente di avere libero il vasto campo dell'ormai dilagante disagio sociale.
Eh! Il sangue dei 'vecchi', mi si dice sempre, continua a ribollire. E che diamine, o si compiano azioni apotropaiche oppure a quell'art. 1 forse è tempo di far seguire l'art. 2, superando la sindrome dello scrittore e scegliendo un po' meglio gli amanuensi. Ma, scherzi a parte (senza alcuna allusione al Biscione), tornando al 'sangue', alla regalità e alla nobiltà, possiamo tranquillamente affermare, sempre col dovuto rispetto, che le restanti figure regali, oggi, vivono nell'Isola di Avalon da dove escono saltuariamente per fare legittimi affari. E, del resto, quando la spada è in fondo al lago e non c'è più alcuna Dama a raccoglierla, quando la potestà regia va costantemente contemperata con la sempre più volubile volontà popolare sobbollita da contingenti improvvisatori e, soprattutto, quando gli appannaggi si riducono per indisponibilità di cassa, non c'è che darsi da fare per sopravvivere e perpetuare la linea di sangue. Che poi è quel che conta per la famiglia.
Già. Ma i nobili? Be', anch'essi sono lontani dai passati albori. Del resto, il possesso di un titolo nobiliare, oggi, non incute nemmeno curiosità. Sarebbe da ridere, del resto, non per differenza di casta quanto di classe che non dovrebbe essere acqua, presentarsi con la 'caramella' e col 'pastrano' e confrontarsi con chi espone il bordo delle mutande griffato dal costo proibitivo o una T-shirt stazzonata dal prezzo assurdo. Per cui, se l'accortezza degli 'anziani' ha fatto sì che il patrimonio produca rendita, sta al giovane, sempre attraverso una vena imprenditoriale, mantenerla e accrescerla. Altrimenti, siamo al Conte Mascetti, caro agli amici ma capace unicamente di supercazzola per due come fosse antani, con scappellamento a destra.
Oh! Ma, per uscire dal binomio di cui sopra, non amo neppure le locuzioni che con la loro presunta carica di saggezza popolare confondono e fanno incazzare. Si prenda 'tra loro non corre buon sangue': e che Maronn', perché non dire che si odiano? E, poi, …, ma si faccia il piacere, … 'il sangue contro l'oro' come lo vediamo? Se non si fa molta attenzione si corre il rischio di scegliere a caro prezzo il primo e poi ritrovarsi il miglio per polli in mano mentre i 'predicatori', smesso il saio del momento, si adornano dei più ricchi monili.
E non funziona neppure se per 'sangue' intendiamo un'eredità di gruppo, la perpetuazione di un sodalizio. Come abbiamo visto, non funziona, a 'sinistra' ma neppure a 'destra'. E non per critica bensì per semplice costatazione. Senza tener conto, poi, che la presunta cementificazione pseudo-sanguigna del sodalizio fa ritenere questo untouchable fino al punto da affermare che 'l'emergenza non si processa', intesa in riferimento alle vicende giudiziarie di due esponenti dell'ex governo. Il che detto da giustizialisti tra i più accesi fa quasi prorompere in un invito tra i più liberatori.
Per cui, onde trarre una prima conclusione, non mi par giusto legare il 'sangue' al 'mito' se per esso intendiamo quanto è capace di polarizzare le aspirazioni di una comunità o di un'epoca, elevandosi a simbolo privilegiato e trascendente. Nel senso che lo è quando conviene. Altrimenti, se ne può fare tranquillamente a meno se non, addirittura, ignorarlo bellamente per fare del 'sangue' persino un fattore di separazione e di avversione. E, qui, dato l'argomento, mi faccio seria.
Fortunatamente, sono lontani i tempi nei quali Julius Evola scriveva 'Il mito del sangue'2 intendendolo, in quel caso, nel solo riferimento alla razza. Era il 1937. E il fatto di partire dall'idealismo di Fichte e dal suo 'popolo originario'; passare per la dottrina di De Gobineau circa la decadenza della civiltà inframezzata da Ari, Neri e Gialli; toccare la dottrina selezionistica del De Lapouge e la teoria di Woltmann circa l'antropologia politica; considerare la dottrina di Chamberlain circa la razza superiore come compito, nel complesso slavo-celtico-germanico; valutare Mendel circa la teoria dell'ambiente e quella dell'eredità; lambire la 'psicoantropologia' di Clauss circa il 'cacciatore' e l''agricoltore' primordiale; e, infine, approdare al 'mito artico' con la 'civiltà della renna', la ricerca sanguinoserologica e il monoteismo solare primordiale, non lo ha esentato dal concludere con l'esame della concezione razzista della storia di Rosenberg e con il razzismo nazista.
Un'opera, quella, che comunque non giustifica ma, più semplicemente, 'studia' l'evoluzione di una aberrante concezione delle razze circa la 'superiorità' di alcune e la 'sudditanza' di altre. Sicuramente, non è stato il solo a compiere studi del genere e, in ogni caso, altri soggetti, oltre a quelli citati nell'opera, hanno espresso teorie al riguardo, giunte sino ad influenzare l'azione di Stati, considerati civili e democratici. Perché, diciamolo, ferma restando la più ferma condanna del governo tedesco dell'epoca, della sua legislazione e del suo riprovevole impianto di diritto, non è stato purtroppo quello il solo a manifestare feroce intolleranza nei confronti dei 'diversi' dalla razza dominante.
Certo, anche l'Italia ha i suoi scheletri nell'armadio ma le odiose leggi razziali (senza giustificazione alcuna) nascono e cessano in un settennio mentre la Storia è ricca di esempi più duraturi, soprattutto nei confronti degli ebrei. Tanto per avvicinarci, troviamo una tale avversione, all'inizio dell'età moderna, nel Gerush spagnolo3. Prima di allora, oltre alla segregazione, all'obbligo di portare segni distintivi e a tutta una serie di limitazioni nel movimento e nelle attività economiche permesse, c'erano stati sporadici attacchi di violenza 'dal basso', sostenuti solitamente, quando non apertamente incoraggiati, da istituzioni laiche e religiose.
Ma dobbiamo arrivare all'Ottocento per trovare l'antisemitismo assumere addirittura connotazione e condizione di rango e di scienza: l'affaire Dreyfus in Francia dividerà l'opinione pubblica fino al 1906. In Inghilterra, oltre a Chamberlain, citato da Evola, Francis Galton4, nipote di Erasmus Darwin e cugino di Charles Darwin, manifestò un profondo interesse per il miglioramento della razza e per la selezione di un'élite, al punto da fondare una nuova disciplina da lui denominata 'eugenetica'. La sua teoria, detta anche darwinismo sociale, sosteneva che la selezione doveva applicarsi anche all'uomo, in quanto appartenente al regno animale, al fine di garantire la migliore qualità degli individui e il migliore futuro della specie umana5.
A portare avanti il pensiero di Galton fu Karl Pearson che arrivò a teorizzare che era un dovere nazional-patriottico dei popoli espellere le razze inferiori6. Pearson fu un matematico e statistico che con i suoi lavori influenzò notevolmente la teoria statistica, incentivato dalla lettura di scritti di Francis Galton, Natural Inheritance. Egli, in seguito, divenne, si pensi, il primo titolare della cattedra di eugenetica creata dallo stesso Galton. Neppure gli Stati Uniti saranno esonerati dall'impulso razzista: là, le teorie razzistiche europee si svilupperanno con Madison Grant7, 'Passaggio della grande razza', e con C.B. Stoddart, 'L'eredità razziale dell'America' e 'La Casa della Bibbia', divenendo parte integrante della discriminazione razziale sul nuovo continente.
Persino il colonialismo del XIX e XX secolo, il mantenimento della schiavitù e la discriminazione di gruppi sociali in condizioni di inferiorità, come per esempio nel caso dell'apartheid, cercarono teorie pseudoscientifiche. E, infatti, 'razzismo scientifico' fu il termine utilizzato per indicare una particolare forma storica di razzismo organizzato, fondata a partire dal XIX secolo in Europa e nelle Americhe, che nacque in ambito universitario tra le scienze naturali e sociali dell'epoca, prendendo inizio dalla biologia, dalla antropologia, dalla genetica, dalla medicina, dalla criminologia e dalla sociologia, rifacendosi in maniera spesso distorta alla teoria evoluzionista di Charles Darwin e al positivismo8.
Premessa di questa teoria pseudoscientifica fu quella di ritenere che gli esseri umani fossero costituiti da razze diverse, ognuna a un grado diverso di evoluzione rispetto alle altre, e che i metodi di classificazione della zoologia, ohibò!, potevano essere utilizzati per indagare le caratteristiche delle stesse. In questa classificazione si ammisero graduatorie che presupponevano alcune 'razze' come superiori per livello evolutivo e intellettivo rispetto alle altre. In particolare, tale teoria credette di documentare che la cosiddetta 'razza bianca' fosse il livello massimo raggiunto dall'evoluzione naturale della specie umana, arrivando a sostenere, sulla base dell'eugenetica di Galton, l'esistenza di 'razze superiori' e a promuovere una campagna politica contro i matrimoni e i rapporti interraziali9.
Negli Usa, a metà del XIX secolo, nel dibattito infuocato relativo alla schiavitù, uno degli argomenti azzardati dai suoi sostenitori fu che 'negri' (e indiani) non fossero 'davvero' esseri umani ma andassero catalogati in una categoria diversa, alla quale non si potevano applicare le argomentazioni umanitarie proposte dagli abolizionisti. Non aveva senso essere 'umanitari' con neri e indiani non essendo questi 'uomini'. L'atteggiamento di discriminazione razziale su base pseudo-scientifica fu, peraltro, rafforzato dalle guerre indiane per giustificare il genocidio, protratto per decenni, con un costo in vite 'indiane' indicato tra i 20 milioni e i 100 milioni.
Subito dopo l'indipendenza, le leggi statunitensi del 1790 sulla naturalizzazione garantivano la cittadinanza solo alle 'persone bianche libere', il che significava generalmente che veniva concessa solo a coloro che erano di origine anglosassone. Quando la popolazione americana divenne culturalmente meno omogenea, verso gli anni '40 del XIX secolo, con l'aumento dell'immigrazione dall'Europa meridionale e orientale, negli USA si rese necessario chiarire chi fossero i 'bianchi'. Nacque così una suddivisione di quelli che oggi sono chiamati 'caucasici' in una gerarchia di diverse razze, stabilite 'scientificamente', e al cui vertice erano gli anglosassoni e i popoli nordici10.
Nella maggior parte degli stati segregazionisti, le persone che immigravano da Portogallo, Spagna, da una piccola parte della Francia meridionale (e dalla Liguria), dall'Italia meridionale, dalla Grecia, dal Nordafrica e dal Medio Oriente, furono classificati diversamente dai 'bianchi'. L'appartenenza alla razza 'bianca' dei non-nordici (slavi, dinarici ecc.) era spesso messa in discussione. Ma erano soprattutto gli europei del sud, appartenenti alla presunta razza mediterranea, a sottostare alle condizioni peggiori e, in molti stati, essi erano legalmente equiparati ai neri e, in conseguenza, privati, con diverse accentuazioni da stato a stato, dello status e dei diritti riservati ai soli bianchi11.
Peraltro, negli Usa, durante gli anni 1920, la massiccia diffusione delle teorie dell'eugenista Madison Grant avrà durature conseguenze storiche e comporterà la chiusura delle frontiere tra il 1921 e il 1924 e, a partire da quest'ultimo anno, la restrizione dell'immigrazione dai paesi dell'est e del sud Europa, nonché il fermo ostacolo a quella ebraica12. Quella decisione avrà conseguenze catastrofiche durante la Shoah, nel corso della quale gli USA respingeranno caparbiamente i profughi ebrei, accogliendone, per tutta la durata dell'Olocausto, meno della sola città cinese di Shanghai (30.000)13.
A rendere ciò politicamente possibile sarà il senatore del Massachusetts Henry Cabot Lodge, uno tra i più fanatici sostenitori dell'Immigration Restriction League, il quale per superare le obiezioni dei colleghi di 'manica larga', propose e ottenne di vietare l'ingresso agli analfabeti e di agganciare le quote di ingresso ai dati certi, risalenti al 1890. Per contro sarà grandemente aumentata la quota consentita dai paesi nordici14.
Dopo la crisi economica del 1929, con i disordini che ne seguiranno e con il diffondersi del 'pericolo comunista', la strategia politica cambierà e negli ex stati confederati del sud si adotteranno teorie meno rigide, ispirate in gran parte da quelle europee. Così negli anni '30, quando in quegli Stati diverrà impossibile continuare a mantenere un così alto numero d'immigrati europei fuori dall'élite dei bianchi, con il rischio, peraltro, di pericolose coalizioni coi neri, i segregazionisti estenderanno i diritti a tutti i 'caucasici', gruppo razziale includente anche i mediterranei, suddiviso, tuttavia, in 'White Caucasian' (caucasica bianca: anglosassoni, scandinavi e germanici) e 'Caucasian' (caucasica). Tutte le altre presunte razze non caucasiche rimarranno escluse dai diritti civili per altri venti anni.
Sarà negli anni 1960, a seguito delle numerose battaglie condotte dai moltissimi movimenti per i diritti civili, all'insurrezionalismo di Malcolm X e alla famosa marcia pacifica di Martin Luther King, che le leggi sulla segregazione razziale dei neri negli stati del sud saranno abolite dal governo federale, a quasi cento anni dalla loro entrata in vigore. Ciò avverrà nel 1964 con l'approvazione del Civil Rights Act e nel 1965 con il Voting Rights Act.
Il razzismo 'scientifico', inoltre, sarà rifiutato politicamente e scientificamente solo dopo la fine della seconda guerra mondiale quando, con la pubblicazione della 'Dichiarazione sulla razza' nel 1950, l'UNESCO decreterà in modo ufficiale la non esistenza delle razze umane e incoraggerà i numerosi biologi a ricordare costantemente l'assenza di validità scientifica della nozione di 'razze umane15 . Un aspetto sconcertante del problema e delle implicazioni, a volte imprevedibili, sarà la segregazione delle sacche di sangue destinate alle trasfusioni, in base alla razza del donatore; un criterio adottato anche dalla Croce Rossa statunitense, fino alla seconda parte del secolo XX16.
Va be'. La chiudo qui. Mi sono 'divertita' abbastanza a parlare di 'sangue'. Mi ricordo, però, che tra le mie esperienze 'sanguinolente' manca la degustazione del 'sanguinaccio', con pezzi di cioccolata, uvetta e pinoli. Sì, prima o poi dovrò compierla: in alcune parti è tradizione. Dicono che si sia persa ma, no, fortunatamente, si mangia.




Note:
1. La Repubblica – Paolo Filo della Torre - I telefoni a luci rosse di palazzo reale – 14.1.1993
2. Julius Evola – Il mito del sangue – Oscar Valentini – Ed. Hoepli 1937 - XV
3. Gerush/Espulsione nel 1492 di ca. 200.000 ebrei dalla Spagna
4. Sir Francis Galton (Sparkbrook - Birmingham, 16 febbraio 1822 – Haslemere, 17 gennaio 1911) è stato un esploratore, antropologo e climatologo britannico e patrocinatore dell'eugenetica, termine da lui creato.
5. Tratto https://www.studiarapido.it/darwinismo-sociale-lotta-per-lesistenza/#.XJj8CzHsbOs
6. Tratto da http://www.storiologia.it/indice11aa.htm
7. Madison Grant (19 novembre 1865 - 30 maggio 1937) è stato un giurista, storico e antropologo fisico, noto principalmente per il suo lavoro come un eugenista e conservatore. Come eugenista, Grant è stato responsabile di una delle opere più famose del razzismo scientifico, e ha giocato un ruolo attivo nella lavorazione forte restrizione dell'immigrazione e le leggi anti-meticciato negli Stati Uniti.
8. Tratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Razzismo
9. Tratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Razzismo_scientifico
10. ibidem
11. Vedi:http://www.santamariadellaneve.org/oldsite/doc%20vari/diritti%20dell%27uomo/razzismo.htm
12. Tratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Razzismo_negli_Stati_Uniti_d%27America nonché http://www.santamariadellaneve.org/oldsite/doc%20vari/diritti%20dell%27uomo/razzismo.htm
13. Tratto da http://it.pschitt.info/page/Xenofobia
14. Tratto da https://medium.com/@michaeldelong/the-jeff-sessions-of-his-day-senator-henry-cabot-lodge-and-immigration-restriction-8b3910c7d036
15. Tratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_sulla_razza_(UNESCO_1950)
16. Tratto da http://it.pschitt.info/page/Xenofobia
   
     
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